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Pallavolo

I tre segreti dell’Italia campione del mondo. Romanò e Michieletto decisivi, ma la vera forza è il gruppo

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Alessandro Michieletto
Michieletto/Fivb

Era iniziata con una vittoria 3-1 contro la Bulgaria ed è finita con una vittoria 3-1 contro la Bulgaria la stagione dell’Italia che si è da poco laureata per la seconda volta consecutiva campione del mondo di volley maschile. Nel Mondiale più pazzo di sempre, in cui le teste di serie sono cadute come mai era accaduto nella storia di questo sport, è spuntata la squadra di Ferdinando De Giorgi che ha rischiato di cadere al primo tranello ma poi ha trovato la retta via ed ha disputato una seconda parte di Mondiale impeccabile, facendo leva su una preparazione atletica impeccabile e una qualità tecnica indiscutibile.

L’Italia oggi è, assieme alla Polonia, la squadra più forte del mondo e non è un caso che queste due squadre si siano imposte nelle due manifestazioni di questa stagione: ai polacchi la VNL, all’Italia il Mondiale. La prima considerazione è su Ferdinando De Giorgi, messo un po’ in croce dopo la sconfitta con il Belgio e un avvio di torneo nel quale sembrava avesse perso il filo di una formazione, quella azzurra, che nel frattempo aveva perso un personaggio fondamentale come Daniele Lavia.

Il filo non lo aveva perso e, semmai gli fosse sfuggito in qualche modo di mano, lo ha ritrovato immediatamente e non c’è stato bisogno di cambi, di rivoluzioni, di scenate. Lui sa come si caricano le batterie a ragazzi che in carriera sono abituati a giocare sotto pressione, lo fanno praticamente ogni settimana e anche stavolta hanno dimostrato che chi mette piede in Italia per giocare in Superlega raggiunge il massimo del livello possibile. Riaccendere la fiammella è molto più difficile che tenerla accesa, De Giorgi c’è riuscito in fretta e con vigore, facendo affidamento sui ragazzi in cui ha creduto fin dall’inizio della stagione.

La forza di questa Italia in campo è stata ancora una volta l’equilibrio. Non una squadra trascinata da un solo fuoriclasse, ma un collettivo in cui ognuno ha avuto un ruolo ben definito. È chiaro però che il Mondiale ha consacrato definitivamente Yuri Romanò come punto di riferimento offensivo: l’opposto azzurro è stato il miglior realizzatore in quasi tutte le gare, con percentuali sempre solide e la capacità di firmare i break decisivi nei finali di set, soprattutto con servizio e contrattacco.

Accanto a lui si è confermata la qualità di Alessandro Michieletto, che pur tra qualche alti e bassi ha messo il suo marchio nei momenti chiave. Nei quarti contro il Belgio e in semifinale contro la Polonia ha trovato colpi di classe purissima, mentre in finale ha garantito equilibrio in seconda linea e discreta continuità in attacco. Fondamentale anche il contributo di Mattia Bottolo, sempre più importante nello scacchiere azzurro: meno appariscente di Michieletto, ma preziosissimo in ricezione e capace di tenere altissime percentuali in attacco, oltre a incidere dai nove metri con battute velenose.

Se gli schiacciatori hanno dato qualità, i centrali hanno garantito sostanza. Roberto Russo, Giovannimaria Gargiulo e Simone Anzani hanno lavorato nell’ombra, ma con numeri eccellenti: oltre il 55% in attacco e tanti muri pesanti nei momenti che contano. Russo in particolare ha firmato diversi break cruciali, mostrando progressi notevoli anche al servizio.

Il vero motore del gruppo resta Simone Giannelli. La regia del capitano è stata ancora una volta il fattore che ha permesso all’Italia di avere soluzioni imprevedibili: distribuzione varia, coraggio nei momenti difficili e una capacità unica di coinvolgere tutti gli attaccanti. Quando la ricezione ha retto, Giannelli ha potuto esaltare i suoi centrali; quando invece la palla è stata staccata, si è affidato con lucidità alle bocche da fuoco principali, scegliendo sempre la soluzione più efficace.

In seconda linea, Fabio Balaso si è confermato una garanzia assoluta. Leader silenzioso, ha dato stabilità a un fondamentale che, pur con percentuali non sempre altissime, è cresciuto nel corso del torneo fino a reggere l’urto delle battute più insidiose. La sua regolarità in ricezione e la sua capacità di difendere palloni impossibili hanno permesso all’Italia di restare incollata ai set anche nei momenti più complicati.

Il servizio, spesso arma decisiva nei tornei di altissimo livello, è stato un altro punto di forza: non solo per gli ace messi a segno, ma soprattutto per la continuità nel mettere in difficoltà le ricezioni avversarie. Romanò, Bottolo e Russo hanno trovato strappi decisivi, mentre Michieletto e Giannelli hanno garantito costanza nel lungo periodo.

In definitiva, l’Italia ha vinto il Mondiale perché è stata più squadra di tutte le altre. Ha saputo reagire all’unica sconfitta subita nel girone, contro il Belgio, trasformandola in una lezione utile; ha mostrato personalità nei match a eliminazione diretta, dominando la Polonia in semifinale e gestendo con maturità la pressione della finale con la Bulgaria. È il successo di un gruppo che continua a confermarsi, costruendo un ciclo vincente che ricorda da vicino i fasti degli anni Novanta, ma con un’identità nuova: quella di una squadra moderna, equilibrata, senza un solo campione a trascinare ma tanti leader silenziosi capaci di brillare insieme.