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Giulia Ciavarella, basket femminile: “Ai Mondiali 3×3 2018 in trance agonistica. Giusto rinviare le Olimpiadi. San Martino di Lupari è una famiglia”

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Aver già vinto un titolo mondiale, all’età di 23 anni, non capita in fondo a tantissime persone. Ci è riuscita Giulia Ciavarella, insieme al resto del quartetto che ha trionfato nel 2018 a Manila nella rassegna iridata femminile del basket 3×3. Romana, classe 1997, dopo due anni a Campobasso ha preso la strada della sua prima stagione in Serie A1, a San Martino di Lupari, in cui ha saputo inserirsi molto bene, una volta tornata dall’infortunio patito in estate. Nell’intervista che ci ha concesso ha raccontato non soltanto aspetti della sua stagione attuale e delle precedenti, ma anche qualche simpatico retroscena della cavalcata nelle Filippine.

Questa stagione per te si può dire che sia iniziata male e finita peggio con la sospensione.

“Sicuramente come esordio in A1 non è stato dei migliori, perché comunque già mi sentivo di dover recuperare, dato che giocando in A2, e salendo in A1, dovevo già abituarmi ai nuovi ritmi. In più dovevo recuperare l’handicap della spalla, quindi già all’inizio ero molto preoccupata. Poi stavo riuscendo a entrare nei ritmi del gioco quel minimo indispensabile, arrivando a giocare 20 minuti contro la Reyer. E infatti dopo la partita ho pianto, non solo per com’è finita, ma anche per l’emozione di aver giocato così tanto. Lo stop due mesi prima non ci voleva per niente, ma è anche giusto così, data la situazione”.

Com’è stato vivere i giorni di attesa in cui era difficile capire cosa stesse succedendo, al netto del fatto che le società si sono sempre più unite sul fatto che non si poteva andare avanti?

“È stato sicuramente un periodo critico, perché riuscire a entrare nel gameday, quindi nella mentalità del gioco, è stato veramente complesso. L’ultima trasferta l’abbiamo fatta a Ragusa, siamo partite il sabato per giocare la domenica e in 24 ore ci hanno detto “giocate, non giocate, giocate, non giocate”, con almeno 3-4 cambi di decisione in 24 ore. Dopo pranzo teoricamente si doveva giocare, tant’è che noi la mattina della domenica ci siamo anche allenate al palazzetto, però si percepiva il fatto che nessuna fosse con la testa pronta per la partita, perché era un continuo non sapere cosa dover fare. Poi siamo andate a riposarci e ci hanno detto, dalla riunione, che a quanto pare non si andava a giocare. E noi eravamo pronte, in divisa da gara. Ogni settimana abbiamo preparato ogni singola partita con la testa, ma sapevamo comunque che non avremmo giocato. Per questo è stato abbastanza destabilizzante come periodo”.

Quest’estate come si è concretizzato il passaggio a San Martino di Lupari?

“In realtà è stato abbastanza di facile scelta, perché il mio sogno già da quando ho cominciato a giocare da piccolina era di fare il mio primo anno di A1 lì, che poi si è avverato”.

Come mai proprio San Martino?

“Perché sentivo voci del fatto che fosse un ambiente ideale per crescere, perché puntavano sulle giovani, e infatti ne ho avuto la prova nel vedere come sono cresciute Martina Fassina e Jasmine Keys, ma anche altre giocatrici soprattutto italiane che giocavano tanto e crescevano. Il mio sogno era avere un ambiente ideale dove crescere e poter avere minuti, e così è stato. Il fatto che Larry (Gianluca Abignente, coach del Fila che nell’ambiente è così conosciuto, N.d.R.) sia stato in grado in 10 partite a farmi giocare da 0 a 20 minuti contro una squadra come Venezia è una cosa che io non mi aspettavo di poter fare, o riuscire a farmi concludere la partita con Empoli, facendomi stare in campo negli ultimi minuti di gioco. Per me è stata un’emozione unica”.

Abignente ti ha, in pratica, fatto assaporare le partite importanti e dato responsabilità.

“Esatto. E non ti fa saltare le tappe, riesce a velocizzare il processo di crescita in poco tempo. Basta essere pronte con la testa e prendersi le giuste correzioni”.

Un campionato che fra l’altro San Martino ha vissuto praticamente sempre nelle zone di testa.

“Tranne Schio che era già a 6 punti, con Venezia e Ragusa potevamo benissimo giocarcela. Oltre alla classifica, il fatto che ce la siamo giocata contro la Reyer fino all’ultimo secondo e che contro Ragusa fino a metà dell’ultimo quarto eravamo sotto di 4-5 è un elemento importante per dire che nei playoff ce la saremmo potuta giocare bene”.

E del resto già l’anno scorso il Fila aveva raggiunto la semifinale scudetto.

“Poi c’erano anche aspettative per la Coppa Italia. L’anno scorso ha perso contro Schio in quattro partite. Tanta roba”.

Un passo indietro nel tempo. Tu hai fatto tutta la trafila romana con una bella fetta delle squadre esistenti: Athena, San Raffaele, Belize.

“Io amo il creare squadra, quindi il fatto di cambiarla ogni anno era abbastanza un trauma, solo che sono anche una ragazza che approfitta delle opportunità. Quindi ogni anno, in ogni squadra, c’era un’occasione di crescita diversa. Per esempio l’anno dell’Under 15 era forte l’annata delle Stele Marine a Ostia, quindi sono andata lì. All’Under 17 lo era l’annata del San Raffaele, tant’è che siamo andate anche a fare le finali nazionali arrivando terze, all’Under 19 c’era la possibilità di fare l’A2 con l’Athena. Quindi ogni anno ho colto l’occasione per poter avere il massimo rendimento compensato dal massimo miglioramento possibile, tant’è che la mia crescita c’è stata anche grazie al fatto che di ogni allenatore ho preso qualcosa”.

Poi c’è stato il periodo di Viterbo e poi le stagioni di Campobasso. Due stagioni a livello personale positive, ma a livello di squadra soprattutto la seconda è stata un po’ amara perché dopo una stagione regolare dominata la corsa si è fermata nei playoff promozione.

“La fase dei playoff è comunque sempre un campionato a sé stante, quindi vince chi è preparato dal punto di vista mentale, e non fisico. Noi eravamo preparatissime dal punto di vista fisico, come squadre non ce n’erano di più forti rispetto a noi, però in quel caso ha vinto chi ha avuto meno pressioni al tiro, chi si è sentito più calmo e meno agitato. Noi in questo abbiamo subito forse un po’ di pressione a livello di aspettative, perché tutti volevano che salissimo e quindi c’era un po’ di tensione. Non siamo riuscite a gestirla”.

Tu hai parlato delle stagioni under, in cui c’è stato anche il discorso delle Nazionali giovanili. E tu con l’Under 20 a Matosinhos sembravi sempre nel posto giusto al momento giusto.

“In quegli Europei del 2017 una partita che mi ricordo è stata quella con la Lettonia, del doppio supplementare, in cui volevo arrivare tra le prime cinque ed è poi successo. Con le Nazionali, tranne ai Mondiali 3×3, non ho mai vinto granché, sono sempre arrivata quarta, fissa. Quindi volevo almeno non retrocedere troppo come Under 20. Eravamo anche una squadra molto molto forte, secondo me. Il problema penso sia stato il continuo cambio di allenatori. Noi, come annata 1997, non abbiamo mai avuto lo stesso coach per almeno tre anni consecutivi”.

Tante volte, però, le annate perpetuano questo vizio.

“Secondo me bisognerebbe avere un progetto di lunga durata con le giovanili, e non annuale”.

Anche perché poi cambiare allenatore porta spesso a rischiare incomprensioni.

“Ma magari anche il fatto di lavorare sugli stessi schemi invece di doverli cambiare ogni anno. Per dire, cominci con l’Under 15 con un allenatore, fai quegli anni e anche dopo ti basi sempre sulla stessa struttura di gioco e sai com’è improntato”.

Nell’estate 2018, due mesi dopo Manila, hai vestito la maglia della Nazionale maggiore in estate a La Spezia.

“Non me l’aspettavo. Io la convocazione in Nazionale maggiore non me l’aspettavo, poi con Marco Crespi. Io avevo un po’ di timore nei suoi confronti, primo perché era l’allenatore della Nazionale e secondo perché già dall’incontro aveva cominciato a fare molti discorsi psicologici. Abbiamo parlato tantissimo, e a me quando si parla tanto e ci si confronta sulle idee piace tantissimo. Quindi mi ero già trovata molto a mio agio, poi ero emozionatissima perché potevo stare ad allenarmi con gente che vedevo in tv, che comunque stimavo. Non potevo credere al fatto che mi stessi allacciando o togliendo le scarpe vicino a una Sabrina Cinili, per esempio”.

Come hai scoperto il 3×3?

“Non ho mai fatto tantissimi tornei estivi. La prima esperienza ce l’ho avuta con i Mondiali Under 18 in Ungheria, nel 2015. È sempre stata una disciplina che mi ha affascinato tantissimo, quindi quando Angela Adamoli mi ha convocata è stato veramente un nuovo approccio allo sport, perché è completamente diverso dal 5 contro 5 e secondo me ne è la base. Mi spiego: è vero il fatto che sei o giocatrice di 3×3 o di 5 contro 5, però se vuoi allenarti per il 5 contro 5 puoi farlo con il 3×3, ma non il contrario“.

Che è un po’ il concetto, sotto diversi aspetti, che esprimeva Steve Nash con il calcio. Lui diceva che se non avesse giocato a calcio non avrebbe mai avuto quella visione di cui era dotato.

“La stessa cosa. Solo che secondo me è più legata all’intensità di gioco in questo caso, e non alla visione”.

Anche perché i contatti sono veramente ‘tosti’, con azioni di 12 secondi compresse in 10 minuti.

“Esattamente, è uno sprint di 10 minuti continuo, in cui non puoi letteralmente respirare. E oltre alle botte, è proprio l’intensità con cui palleggi, prendi i contatti, tiri, corri. A livello di 5 contro 5 fai canestro e rientri in difesa, anche corricchiando. Nel 3×3 appena fai canestro devi difendere subito, come una dannata, perché non devi far uscire l’avversaria dall’arco, per farle perdere tempo”.

A Manila, a un certo punto, hanno iniziato tutti a tifare per voi.

“Perché noi, prima di ogni partita, durante il riscaldamento facevamo il ‘gioco ninja’. Ce l’aveva spiegato Rae (D’Alie, N.d.R.), e lo facevamo come mentalità. Ci dicevamo ognuna una parola che descrivesse quel momento, che poteva essere intensità, libertà, o quello che fosse. Ognuna in quel momento pensava a una parola e la diceva, e poi giocavamo a questo gioco. I filippini sapevano di questa nostra abitudine e venivano a filmarci. Eravamo diventate un po’ le mascotte delle Filippine. Poi a ogni canestro c’erano queste migliaia di persone che tifavano per noi, ed eravamo in trance agonistica totale”.

Il giorno in cui avete poi centrato il bersaglio grosso il percorso è stato USA-Cina-Russia. Peraltro USA che avevano una squadra abbastanza giovane, ma sempre di una squadra a stelle e strisce si parlava.

“E tutte le amichevoli le avevamo perse contro di loro. Durante il raduno, contro quella squadra ci avevamo perso sempre. Loro erano abbastanza sicure di vincere i quarti, noi avevamo il dente avvelenato e ci abbiamo messo l’anima. Inoltre Angela quella partita ce l’aveva preparata perfettamente, ci aveva descritto ogni singola giocatrice anche quante volte andava in bagno. Noi ci siamo segnate perfettamente le cose che ci ha detto ed è stato semplice giocare quella partita, perché l’avevamo studiata alla perfezione”.

E poi di lì lo slancio.

“A quel punto non sentivamo nemmeno più l’inizio delle partite. Eravamo così in trance agonistica che non sentivamo più niente, andavamo come treni. Infatti secondo me abbiamo vinto di intensità, di preparazione fisica, grazie a Federica Tonni, perché va detto che senza di lei non saremmo mai arrivate in finale, così come senza quella mentale di Angela non avremmo mai fatto nulla. Quindi c’è tutto un lavoro pazzesco dietro”.

Il 3×3 da, il 3×3 toglie, perché poi l’anno dopo con la Cina, durante le Women’s Series, ti sei procurata l’infortunio schiantandoti sul blocco di una cinese.

“Avevo pure fatto canestro! Stavo recuperando in difesa e ho preso in pieno il blocco di quest’enorme giocatrice cinese”.

Cosa pensi del rinvio delle Olimpiadi?

Penso che sia stata la cosa migliore da fare, dato il periodo, in quanto è meglio limitare il più possibile la possibilità di una ricaduta. La saluta sempre prima di qualsiasi altra cosa“.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri come giocatrice?

“Quello di poter cominciare come ho finito il campionato di A1. L’ho finito con 13 punti contro Empoli giocando anche gli ultimi minuti. Ricominciare dalla consapevolezza di poter avere una determinata percentuale da tre, perché ho avuto un anno, prima di San Martino, in cui avevo totalmente perso la fiducia in me stessa. Il Fila mi ha aiutata da morire a recuperare la fiducia nel tiro e nella giocatrice che posso essere, quindi ripartire da quello che è stato alle Lupe. Il mio obiettivo principale, specifico, è quello di migliorare la mia visione di gioco e di poter accelerare le mie scelte”.

Ed è particolare che a Campobasso, nonostante avessi giocato anche diverse belle partite, stessi perdendo fiducia. Come mai?

“È successo che in varie partite non riuscivo più a metterla dentro, quindi ad avere le mie percentuali, la mia costanza nel tiro, a prendere delle scelte che mi ero presa fino a quel momento. Da lì ho avuto veramente una discesa clamorosa, in cui non riuscivo più a leggere le situazioni di gioco. Ero entrata in un blocco mentale pazzesco, in cui non riuscivo più a fare nessuna scelta tattica e non sapevo come uscirne. L’unica decisione da poter prendere era quella di bloccarmi, vedere cosa stesse succedendo e ricominciare da zero un’altra stagione, e così è stato”.

Spesso se non giochi studi. Questa è una realtà molto comune già solo nel basket femminile.

“Credo che ormai, se non si è Zandalasini, non si possa campare di basket. Credo che lo studio sia la base di qualsiasi cosa, prima dello sport. Io ho tardato ad andare in A1 perché volevo fare bene l’università. E ora che sono al terzo anno di fisioterapia ho detto ‘ok, il terzo anno me lo posso fare con tranquillità in A1 perché sono arrivata all’ultimo’. Ho sempre messo davanti lo studio allo sport, o quantomeno in parallelo”.

Per te quali sono stati gli allenatori più importanti?

Carlo Scaramuccia di Viterbo. Lui è stato l’allenatore che mi ha dato più fiducia. Tutti mi hanno sempre fatto giocare e crescere, ma lui mi ha insegnato i valori dello sport, ossia: importa sì vincere, e fa rodere perdere, però se perdi con dignità devi essere contenta di come hai giocato e del fatto che a fine partita devi pensare alle cose che sei riuscita a migliorare in quella. Se tu vinci una partita di 30 punti, e hai fatto le tue stesse cose che fai sempre, sì, hai vinto, però a livello di giocatrice o di campionato non c’è tanta differenza. Se invece hai perso una partita, ma migliorato molti aspetti, hai più probabilità di vincere ai playoff dopo, perché hai già acquisito cose in più. Ciò che mi ha insegnato Carlo è stato giocare, essere contenta di come gioco, fare quando gioco male e gioco bene, saper sfruttare le mie caratteristiche lealmente, senza autodistruggermi”.

Sembra una filosofia zen.

“È un nonno-allenatore. Lui riesce a crearti un ambiente professionale e allo stesso tempo familiare. Amo Viterbo come fosse la mia famiglia, ed è un ambiente che si merita il meglio per qualsiasi annata. A Viterbo devo tantissimo”.

Quali sono le giocatrici con cui ti sei trovata meglio?

“Mi sono sempre trovata bene con tutte. Come punto di riferimento ho avuto Marcella Filippi. Lei giocava a Pomezia, io ero Under 14 e l’andavo a vedere in A2, ogni domenica al palazzetto. Poi quando quest’anno ho saputo che ci avrei giocato insieme sono esplosa di felicità e ci ho anche vissuto insieme in casa per un periodo. Come compagna lei. Poi con Elena Fietta quest’anno mi sono trovata benissimo, studiavamo insieme, preparavamo il cioccolato insieme, di tutto. Loro due”.

L’impressione che spesso si ha di San Martino non è tanto quella di una squadra, quanto di un gruppo di amicizie.

“Vero. San Martino è una famiglia, perché anche quando esci con la squadra non trovi differenze di età. Esci con la straniera che ha trent’anni, esci con l’italiana che ne ha 18, è la stessa cosa. Tutte si divertono allo stesso modo stando insieme”.

E non è una cosa scontata.

“Non succede in molte squadre. San Martino ha una capacità di creare un vero e proprio gruppo ed è questo che, comunque, aiuta tanto nelle partite. Se ci sono problemi non vedi dei gruppetti che si parlano, ma tutta la squadra si prende e si parla a cuore aperto dicendosi magari anche delle critiche, però le si accettano e anzi si migliorano”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: fiba.basketball Europe Cup 3×3 2019 Qualifiers

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