Tennis
Da Shelton-Khachanov a Mboko-Osaka, storie di finale tra Toronto e Montreal
Questa notte si giocheranno due finali. E sono due casi che hanno dei motivi unici per avere attenzione di fronte ai propri occhi. Da una parte Ben Shelton contro Karen Khachanov, la finale del Masters 1000 di Toronto, dall’altra Victoria Mboko contro Naomi Osaka, l’ultimo atto del WTA 1000 di Montreal. Sono scontri uniti dalla difficile prevedibilità e anche dal fatto che, per tutti e quattro i protagonisti, si può a buon diritto parlare di storie di varia natura che si presentano all’orizzonte.
Iniziamo dalla finale maschile. Shelton-Khachanov, va detto, non è un inedito: si è già vista a Indian Wells, ma quello era un terzo turno e fu vinto dall’americano per 6-3 7-5. Qui siamo di fronte a una finale, la prima a livello di 1000 per il classe 2002 di Atlanta, che ci è arrivato riuscendo a irretire Taylor Fritz che pareva anche piuttosto ben lanciato verso un atto conclusivo che molto avrebbe detto, in positivo, nella sua rincorsa verso quegli US Open dei quali difende la finale. Invece ci arriva Shelton a questo punto, in un giovedì che, va detto, è un giorno strano per ospitare una finale. Tutto merito (o demerito) di una formula dei 1000 contro la quale stanno progressivamente schierandosi tutti, nessuno escluso. Quanto al diretto interessato, è diventato il più giovane americano dai tempi di Andy Roddick a raggiungere una finale 1000 (Toronto 2004 nel caso di A-Rod). Ed è anche il più giovane USA a vincere due partite di fila contro top 10 in un 1000 nei quarti e in semifinale da tempo infinito. Da Pete Sampras a Cincinnati nel 1992. Pistol Pete era a un nonnulla dal compiere 21 anni.
Dal canto suo, Khachahnov la sua grande sorpresa l’ha messa in piedi, riuscendo a impedire ancora una volta ad Alexander Zverev di aggiungere un altro tassello ai suoi giorni del post-infortunio. Quanto al suo, di tassello, è quello che mette insieme anche un pezzo di storia: mai c’era stato un intervallo più lungo tra due finali Masters 1000 in una carriera in Era Open e da quando esistono questi tornei. Tra il suo precedente di Parigi-Bercy 2018 e Toronto 2025 passano 6 anni e 9 mesi, superando il precedente “primato” dello slovacco Dominik Hrbaty, che ballava tra le finali perse di Montecarlo 2000 (Pioline) e Bercy 2006 (Davydenko, una delle ultime giocate 3 su 5 fuori dagli Slam). Quel 2018, per Khachanov, fu peraltro felice, perché si concesse il lusso di battere Novak Djokovic. Si tratta peraltro del suo ritorno in una finale a dieci mesi da Vienna (perse l’ATP 500 austriaco solo per mano di Draper). Resta da capire se, e cosa, gli è rimasto in corpo dopo quasi tre ore e un match point annullato. E certo è che contro Zverev è stata la prima volta in cui ha battuto la testa di serie numero 1 in un torneo dopo 18 tentativi falliti.
A proposito di match point annullati: Mboko. Sembrava una parabola impossibile, ma per la canadese nulla lo è stato fino ad ora. Mai a una rappresentante del Paese era successo di battere tre campionesse Slam (Kenin, Gauff, Rybakina) sul proprio cammino, e siamo di fronte alla settima giocatrice in grado di raggiungere la finale in Canada prima di compiere 19 anni (precedenti: Capriati due volte, Seles, Hingis, Serena Williams, Ivanovic, Bencic). E a tal proposito, parliamo della quarta canadese dopo Faye Urban, Vicky Berner e Bianca Andreescu in grado di raggiungere l’ulimo atto nel torneo di casa. Questa storia ha perfino una coda italiana. Dopo la wild card a Matteo Gigante si era parlato dell’accordo FITP-Tennis Canada: all’Italia un invito per il main draw maschile a Toronto/Montreal, al Canada uno per il main draw femminile a Roma. Quest’anno è toccato proprio a lei, Victoria Mboko, dalle qualificazioni. Che passò, arrivando al secondo turno e infastidendo già allora Gauff. Da allora, a suon di vittorie, ha scalato classifica e speranze nelle menti dei canadesi. Fino a questo momento.
Dall’altra parte troverà Osaka. Una che l’abitudine ad affrontare questo tipo di finali sembrava averla persa da un po’: basti pensare che era dal 2020 che non arrivava a giocare due volte l’ultimo atto in una stagione (oggi Auckland e Montreal, allora Cincinnati e US Open che, in tempo di Covid, si giocarono tutti e due a New York). Stavolta ce la fa e con un altro primato particolare: è la prima asiatica a raggiungere cinque finali a livello 1000 (o le vecchie Tier I) nella storia, sorpassando anche Na Li che era arrivata a quota 4. Per lei la notte odierna rappresenterà un’occasione di vero e proprio rinascere dal lungo periodo che le è stato necessario per ritrovare la continuità ad alti livelli. Ogni obiezione sul livello delle avversarie va respinta con forza: Samsonova, Ostapenko, una Sevastova ritornata d’improvviso a buoni livelli, Svitolina e la versione attuale di Tauson non si possono ignorare, ancor meno nel modo in cui la nipponica è riuscita a liberarsene. In breve, per la settima finale 1000 senza teste di serie ad affrontarsi c’è da aspettarsi di vederne delle belle.
