Seguici su

Tennis

Sinner in finale agli Australian Open: tutti gli italiani che erano approdati all’atto conclusivo di uno Slam

Pubblicato

il

Jannik Sinner

Jannik Sinner è ufficialmente nella storia, diventando il primo italiano a raggiungere, in tutta la storia del nostro tennis, la finale agli Australian Open. Un momento che arriva presto nell’anno, e che sa già di grande gioia. Con la consapevolezza che, però, non è finita qui: l’ultimo atto sarà di quelli da giocare. Guardando anche con l’occhio al passato di chi ci è già arrivato.

E, al maschile, in questo senso il primo ricordo è del 1932, con Giorgio De Stefani. Si era ben lontani dall’Era Open, e la mentalità del tempo era profondamente diversa. Tra i pionieri del tennis tricolore, De Stefani fu colui che più avanti di tutti riuscì a portarsi nei tornei più importanti, anzi in quello che al tempo era una sorta di campionato mondiale sul rosso. Edouard Leven, Léonce Aslangul, André Martin-Legeay (tutti francesi), Bela von Kehrling (ungherese) furono gli avversari battuti nei primi quattro turni, poi ai quarti venne il britannico Harry Lee. In semifinale, invece, toccò al cecoslovacco Roderich Menzel, poi diventato scrittore. Contro Menzel e Aslangul perse un set, ma la finale, contro Henri Cochet, uno dei mitici Quattro Moschettieri, fu troppo. De Stefani si batté bene, ma perse 6-0 6-4 4-6 6-3.

Vennero poi gli anni di Nicola Pietrangeli, che tra il 1959 e il 1961 era semplicemente il più forte giocatore del mondo sulla terra rossa. In questa veste vinse il Roland Garros sia nel 1959 che nel 1960. Nel primo caso perse un solo set verso la finale, in un percorso che lo vide battere il messicano Mario Llamas, lo spagnolo Juan Manuel Couder, il danese (dalla carriera infinita per lunghezza) Torben Ulrich, il britannico Billy Knight (cui concesse solo quattro game) e Neale Fraser, uno dei grandi di quell’epoca d’Australia. Dall’altra parte ci fu Ian Vermaak, il sudafricano capace di sorprendere il cileno Luis Ayala in semifinale: nessuna sorpresa vi fu per Pietrangeli che vinse l’ultimo atto 3-6 6-3 6-4 6-1. Nel tabellone a 86, se nel 1959 l’italiano dovette affrontare sei match, nel 1960 ne dovette sostenere sette. Verso la finale superò il francese Alain Bresson, Martin Mulligan, che da aussie sarebbe diventato italiano anni più tardi, ancora Llamas, l’altro transalpino Gerard Pilet, uno dei miti di Spagna, Andres Gimeno e ancora un francese, Robert Haillet. Fu mancato di poco il derby con Orlando Sirola, che Ayala sconfisse: la grande finale ci fu. E Pietrangeli la vinse in cinque set, veramente duri.

SINNER SPODESTA IL RE! Capolavoro indelebile agli Australian Open: l’azzurro domina Djokovic e vola in finale!

Sembrava fatta anche nel 1961, dopo le vittorie sul francese Daniel Contet, su un  John Newcombe a disagio (l’australiano non fu mai terraiolo), sullo jugoslavo Nikola “Niki” Pilic (pezzo di storia importante del tennis, leggere alla voce sciopero di Wimbledon 1973), su Pilet e sullo svedese Jan-Erik Lundqvist. Ci si mise però di mezzo Manolo Santana: l’iberico batté in sequenza Roy Emerson, Rod Laver e proprio Pietrangeli, rimontando quest’ultimo di rabbia negli ultimi due set e chiudendo in cinque. Australia-Australia-Italia, due mondi diversi e vicini in quel momento. Meno pronosticabile fu la finale del 1964: Nicola ci arrivò battendo gli USA Glenn Solomon e Norman Perry, poi il francese Pierre Barthes, quindi travolse Emerson e risconfisse Lundqvist. Anche stavolta Santana gli impedì di trionfare, ma ci fu una superiorità più netta dello spagnolo.

12 anni dopo, toccò ad Adriano Panatta. Che, in quel torneo, si salvò già al primo turno con il cecoslovacco Pavel Hutka. Non pago di aver salvato 11 match point a Roma (all’aussie Kim Warwick), gliene toccò un altro, con una volée in tuffo immensamente difficile solo di recente ripescata dagli archivi degli internauti. Poi fu tutto più tranquillo con il giapponese Jun Kuki, l’altro cecoslovacco Jiri Hrebec, il noto jugoslavo Zeljko Franulovic. E poi venne Bjorn Borg: lo svedese ha perso due sole volte in vita sua a Parigi. Entrambe con Adriano. E questa fu una (l’altra nel 1973). Di slancio, gli USA Eddie Dibbs e Harold Solomon furono sconfitti. Della finale col secondo si conoscono tante storie, tra cui lo spirito di Panatta di dare tutto nel quarto set per evitare un quinto che lo avrebbe lasciato stremato. Fu 6-1 6-4 4-6 7-6(3).

Infine, Matteo Berrettini. E questa è la storia più recente, Wimbledon 2021, quando le stelle si allinearono in un parallelo che legò a doppio filo con la Nazionale di calcio a Wembley. La sequenza fu senza rivali e con pochi ostacoli: caddero l’argentino Guido Pella, l’olandese Botic van de Zandschulp, lo sloveno (che giocò per qualche tempo per la Gran Bretagna) Aljaz Bedene, il bielorusso Ilya Ivashka. Il match più difficile fu quello col canadese Felix Auger-Aliassime, ma, superato quello, arrivò la vittoria sul polacco Hubert Hurkacz (ultimo avversario di Roger Federer in carriera due giorni prima). Fu finale, e fu anche illusione, subito spezzata da Novak Djokovic: il serbo vinse 6-7(4) 6-4 6-4 6-3.

Ma non di soli uomini ha vissuto la storia Slam italiana. Ci sono stati alcuni anni, quelli tra il 2010 e il 2015, in cui le donne hanno fatto sognare. La prima fu Francesca Schiavone al Roland Garros 2010. Arrivò a sette punti dalla sconfitta con la russa (al tempo in odor d’Italia) Regina Kulikova, poi non concesse più nulla. Molti dei nomi che seguono fanno venire in mente tanti ricordi: l’australiana Sophie Ferguson, la cinese Na Li, l’altra russa Maria Kirilenko, la danese Caroline Wozniacki (che non replicò le tre ore con Flavia Pennetta) e, con ritiro dopo un set, l’ulteriore russa Elena Dementieva. Fu poi spezzato anche l’apparentemente inscalfibile servizio dell’australiana Samantha Stosur. L’anno successivo sembrava possibile il bis, con più brividi: battute l’USA Melanie Oudin, la russa (poi serba) Vesna Dolonc (già Manasieva), la cinese Shuai Peng, la serba Jelena Jankovic (in un match spettacolare), la russa Anastasia Pavlyuchenkova (da 6-1 4-1 sotto e poi rischiando di buttare un 5-1 nel terzo set) e la francese Marion Bartoli. Fu di nuovo Na Li in final. 6-4 7-6, ma stavolta per la cinese e non per l’italiana, e non si saprà mai se un errore della giudice di sedia, la svedese Louise Engzell, abbia cambiato o meno il corso della storia.

Nel 2012, invece, fu la volta di Sara Errani. Che, per l’occasione, tirò fuori un cammino impressionante: rimontò l’australiana Casey Dellacqua al primo turno, poi sconfisse Oudin. Di qui, il gotha: la serba Ana Ivanovic, campionessa 2008, la russa Svetlana Kuznetsova, campionessa 2009, la tedesca Angelique Kerber, esplosa nove mesi prima a New York, e poi Stosur che quegli US Open li aveva vinti. Non ci fu nulla da fare con Maria Sharapova, con la russa che completò il Career Grand Slam. Ma la strada fu tracciata.

Nel 2015, invece, il punto più alto del tennis femminile italiano. Da una parte Flavia Pennetta batté, fino ai quarti, l’aussie Jarmila Gajdosova (già Groth), la rumena Monica Niculescu, la ceca Petra Cetkovska, Stosur (con cui non perdeva mai) e la ceca Petra Kvitova. Dall’altra, Roberta Vinci rispose superando l’USA Vania King, la ceca Denisa Allertova, la colombiana Mariana Duque Marino, agli ottavi non giocò con la canadese Eugenie Bouchard (forfait per un incidente del giorno prima con annessi, lunghissimi strascichi legali con la USTA) e, ai quarti, superò la francese Kristina Mladenovic. In semifinale, accadde l’apparentemente impossibile: Flavia batté la rumena Simona Halep, numero 2 al mondo, 6-1 6-3, Roberta spezzò il sogno Grande Slam di Serena Williams per 2-6 6-4 6-4 di fronte a un’America che attendeva soltanto quel momento. Finale tutta italiana, Pennetta vittoriosa per 7-6(4) 6-2 e Malika Ayane dagli altoparlanti dell’Arthur Ashe Stadium.

Foto: LaPresse

Pubblicità

Dalla Home

Pubblicità

Facebook

Pubblicità