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Boxe: Oleksandr Usyk, Anthony Joshua e quei due round del 2021. Lo sfondo dei nuovi orizzonti

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Manca un giorno e mezzo alla sfida più attesa dell’anno nel pugilato, il combattimento tra Oleksandr Usyk e Anthony Joshua a Jeddah, Arabia Saudita, che definirà chi sarà ancora un passo più avanti nell’obiettivo di riunificare totalmente le cinture iridate dei pesi massimi.

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Per comprendere come l’ucraino sia riuscito a prendersi gli scettri WBO, IBO, WBA e IBF il 25 settembre 2021 vanno considerati due numeri, anzi due round: il 7° e il 12°. Sono quelli che definiscono la misura di Usyk, un pugile che, quando può picchiare, lo fa e anche con grande forza. Non è un caso, del resto, che “The Cat” abbia un record di 13 vittorie su 19 per KO, così come non è un caso che la massima parte di esse sia giunta nella seconda metà dei combattimenti.

Il 7° e 12° round, si diceva. Sono quelli in cui i pugni che si è trovato a ricevere Joshua sono stati tanti, tantissimi. Usyk, infatti, ha raggiunto percentuali del 43.4% in un caso e del 42.6% nell’altro, equivalenti a 23 pungi a segno su 53 e a 29 su 68. Per comparazione, “AJ” non è mai andato oltre il 28.4% dell’ottava ripresa, e nelle ultime due è sceso al 10% e al 12%, travolto soprattutto in quella finale da un avversario ormai pieno della propria furia agonistica.

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E c’è di più: quelle 149 volte a segno dell’ucraino mai nessuno era riuscito a trovarle contro il britannico, uno che difensivamente se l’è quasi sempre saputa cavare (quel quasi si chiama Andy Ruiz). Ma “Rage on the Red Sea”, com’è stato rinominato questo sabato, non avrà solo queste caratteristiche.

Sarà un confronto che deciderà, nei fatti, due carriere, una passata dai massimi leggeri e proseguita con l’imbattibilità totale al piano superiore, l’altra con il marchio della capacità di rialzarsi dopo la caduta di New York. Tutti e due hanno vinto l’oro olimpico, e lo hanno fatto nella stessa edizione (Londra 2012), battendo pugili italiani (Clemente Russo in un caso, Roberto Cammarelle nell’altro).

E sullo sfondo c’è sempre quell’ultima sigla chiamata WBC. Ufficialmente Tyson Fury ha detto addio, ma qualcuno non ci crede così tanto. Parlando a Sky Sports, il promoter americano di Fury, Bob Arum, ritiene che l’odore di un combattimento per la riunificazione sarebbe abbastanza forte per convincerlo a rimettere i guantoni. Questo, però, è un possibile futuro: di fronte, ad ora, c’è il certo (quasi) presente.

Foto: LaPresse