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Basket 3×3, Andrea Capobianco: “Andiamo alle Olimpiadi per giocarcela con tutte. D’Alie ha una mentalità vincente”

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Andrea Capobianco è uno dei nomi più stimati della pallacanestro italiana. Ha lasciato un segno ovunque è andato in una carriera di club che ha toccato il suo vertice a Teramo, negli anni della Serie A per la società abruzzese, e poi ha iniziato il suo lavoro nel Settore Squadre Nazionali. I fatti parlano per lui: tra gli altri, quarti agli Europei femminili, finale mondiale con l’Under 19, e adesso sta per viaggiare verso il Giappone: c’è l’esordio olimpico della Nazionale 3×3 femminile da lui guidata. Abbiamo raggiunto Capobianco telefonicamente, durante il raduno alla Stella Azzurra: dai tempi dei club alle vicende attuali del 3×3, c’è tutta la storia di un allenatore per cui al primo posto ci sono, sempre, i valori umani.

Come sta procedendo la preparazione?

La preparazione procede bene, nonostante il caldo, ma penso sia una cosa normale e umana, è il periodo. Le ragazze sono molto motivate, del resto andare alle Olimpiadi non è da tutti i giorni. Sappiamo di aver raggiunto un sogno, ma una volta raggiunto il sogno bisogna lavorare e divertirsi, bisogna provare a far sì che questo sogno sia il più bello possibile. Quindi ci stiamo allenando anche a cercare di ‘provare a superarci’. Le ragazze si stanno impegnando molto, ma non avevo assolutamente dubbi. Stiamo sciogliendo qualche nodo che si è formato dovuto al fatto che siamo stati ‘fermi’ per un periodo di tempo, anche se le ragazze avevano un programma di allenamento e sono state brave a seguirlo“.

Un sogno bloccato a metà per Sara Madera e Mariella Santucci per la vicenda dell’eleggibilità della FIBA. Loro come l’hanno presa?

Loro hanno dimostrato di essere mentalmente delle campionesse. La campionessa è colei o colui, per me, che riesce a far giocare, a dare un grande contributo alla squadra per far sì che questa possa vincere. Queste ragazze, pur sapendo che ci sono delle regole che non dipendono dalla Federazione, sono venute perché far essere questa squadra più forte. E sanno che il loro contributo può essere notevole, cosa che è stata fatta anche nel Preolimpico. Se la squadra è arrivata alle Olimpiadi il merito è sicuramente di chi ha fatto canestro, ma anche di tutte le persone che sono state coinvolte in questo progetto. Parliamo di medico, fisioterapista, preparatore fisico, funzionari, Federazione. Parliamo di ogni singola giocatrice, che ha dato il suo contributo pur non essendo presente a Debrecen per far sì che questa squadra potesse diventar forte. Questa filosofia è molto profonda, e fa la differenza tra le persone: loro l’hanno subito colta al volo. E’ la filosofia di Santucci e Madera: la squadra aveva bisogno di loro, per far sì che potesse migliorare la propria qualità di gioco, e loro hanno detto presente. Io penso che sia un messaggio molto importante, nel senso che quando la squadra ha bisogno, gioco o non gioco, devo dichiararmi pronto a dare il mio contributo. Ho avuto la fortuna di allenare grandi campionesse, parlo di Macchi, Ress, Masciadri. Non posso mai dimenticare quando Macchi, infortunata, agli Europei, è venuta in Italia, si è operata, e poi è voluta tornare per dare il suo contributo alla squadra nonostante un infortunio molto serio alla mandibola per aiutare anche fuori dal campo. Certe giocatrici sono campionesse“.

Chicca Macchi che fu Lei a riportare in nazionale dopo tanto tempo.

Chicca è stata ed è un punto di riferimento secondo me importantissimo. Non penso di dover essere io a dire che stiamo parlando di una giocatrice che è una campionessa. Questa è la parola giusta. Non lo è solo perché fa un canestro. Campione, che poi se ci pensiamo nel momento attuale è anche una cosa profondamente educativa, è chi riesce a far giocare meglio i compagni e le compagne. Questo lei l’ha fatto in tutta la sua carriera. Non ho fatto nulla di eccezionale. Ho chiesto a Chicca, grazie al contributo della Federazione e al Presidente Petrucci che poi parlò con lei e tutto il resto, che tornasse a vestire la maglia più bella che è quella della Nazionale. Io non potevo non convocare Macchi“.

Al tempo era incredibile come riuscisse a far giocare meglio la squadra, ma anche a dominare le partite facendo semplicemente quello che le pareva.

La grande capacità di queste giocatrici, e oltre a parlare della singola a me piace parlare di tutte le giocatrici che la pensano in questo modo, è quella di giocare in modo semplice esaltando le caratteristiche delle compagne e nello stesso tempo le proprie“.

In questo senso, qual è il parallelo che Lei può fare, sebbene siano quasi due sport diversi, tra gli Europei del 2017 e questa squadra che sta guidando verso le Olimpiadi?

Penso che il 3×3 non sia uno sport diverso. Penso che abbia delle regole diverse. Com’è successo nella maschile, quand’è venuto un giocatore ha fatto la Serie A maschile e un avversario gli ha chiesto ‘Da quanti anni giochi nel 3×3?’, lui gli ha risposto ‘Da stamattina alle 10:30’. Però era talmente forte che la spiegava anche su un campo di 3×3, quindi non penso che sia un gioco molto diverso. Ci sono solo regole, situazioni diverse, ma il 3×3 alla fine si gioca in tutte le palestre italiane. Una mia filosofia da cui nascono le mie convocazioni e il mio modo di lavorare è mettere sopra tutto il cuore della gente, delle ragazze, il cervello, la capacità di lettura, e sfruttare gli strumenti tecnici come linguaggio per dimostrare queste cose, per mettere in pratica il cuore e il cervello. Io penso che in questo ci sia grandissima similitudine. C’è una squadra che non molla mai, una squadra che l’alibi lo ha lasciato fuori dalla porta. Tutti sappiamo che abbiamo avuto l’infortunio di D’Alie a Graz: non se n’è parlato, pur sapendo che potevamo essere abbastanza attaccate in certi momenti. Non se n’è parlato perché l’infortunio è stata bravissima a curarlo la fisioterapista Irene Munari, insieme al consulto del medico, ma noi volevamo togliere alibi per essere forti e sostenere partite dure, cosa che le ragazze hanno fatto in modo egregio. Ricapitolando: cuore e cervello, togliere tutte le lamentele, perché con alibi e lamentele non si va da nessuna parte. Nessuno ha mai vinto trovando alibi e lamentele. E questo è uguale sia nel 5 contro 5 che nel 3×3, e in tutte le squadre che ho allenato“.

Lei parla della pallacanestro come di uno sport tecnico, ma soprattutto psicologico, perché è vero che uno sport in cui c’è il discorso della tattica, ma è anche vero che assume un fortissimo piano mentale.

Assolutamente sì. Penso che la tecnica sia i linguaggi con cui una persona si esprime. Io alleno persone. Non gioco alla playstation con i miei giocatori. La giocatrice o il giocatore che alleno devono essere autonomi nel giocare. Quindi credo che l’espressione mentale sia basilare dietro il tipo di comportamento. Perché combatto gli alibi? Perché fondamentalmente li usa chi mentalmente non ha voglia di soffrire, di fare il passo avanti, di essere un vincente. Credo invece che l’attore principale sia l’essere umano, la persona, con le sue caratteristiche emotive, razionali, poi tradotti con le capacità tecniche e fisiche“.

Sull’infortunio di D’Alie, l’avete di fatto nascosto un po’ magari per non farlo capire alle altre, un po’ per questo discorso degli alibi e perché per lei stessa è arrivata da quel momento difficile la soddisfazione più grande, l’ultimo tiro a Debrecen.

Quando si ha una difficoltà si sta a un bivio. Il bivio ci porta da una parte ad acquisire forza e mentalità vincente, dall’altra parte a diventare deboli ed essere perdenti. Penso che queste ragazze abbiano scelto, in questo caso, di essere. E’ normale che ne abbiamo parlato e abbiamo insistito. E’ normale che fossi sicuro del grande lavoro di Irene Munari. Io penso che piangersi addosso non serve a niente. Da allora tutta la squadra ha preso forza. Rae, che ha una mentalità vincente, una mentalità splendida per attitudine, per amore della maglia, per tutto, ha fatto quello che sa fare. E la cosa stupenda di questa squadra è stata l’ultimo tiro. Ma non perché Rae ha segnato, è logico che quello è il premio, bensì perché la squadra aveva ancora avuto grandissima fiducia e ha fatto un isolamento per farle giocare l’1 contro 1. E lei, che ripeto, è una ragazza straordinaria, stupenda, mentalmente un esempio da portare alle giovani, ha fatto quello che sa fare. Io penso che lo sport sia un po’ una metafora della vita, e premia anche il coraggio della gente. Penso che lì lei abbia avuto coraggio, abbiamo avuto coraggio. E nonostante una grande difesa su Goree, lei aveva segnato il pari. Noi non abbiamo abbassato la testa, ma l’abbiamo alzata, davanti a tanta gente che ci tifava contro. Un po’ quello che è successo alla Nazionale di calcio, senza paragonare“.

O all’Italbasket maschile in Serbia.

Esatto“.

In quel momento non c’è stato soltanto il tiro, ma la presenza di spirito della squadra: mancavano tre secondi, palla fuori per il tiro da tre, raddoppio istantaneo.

Ma questa è la bellezza di queste ragazze. Una volta tolti tutti gli alibi, le ragazze hanno giocato in modo più libero di esprimere il loro potenziale“.

Ed è come se fosse un po’ anche il riscatto per tanti episodi di mancata attenzione, per cui può essere sfuggito ad esempio l’unico o quasi bronzo mondiale maschile che si poteva catturare, più di quarant’anni fa. E’ come se aveste ripreso in un colpo quello che non è riuscito ad andare negli ultimi tempi.

Io sono responsabile delle Nazionali giovanili maschili. Abbiamo vinto a Mannheim dopo trent’anni, siamo arrivati secondi al Mondiale con l’Under 19 dopo un tempo simile. Dobbiamo un pochino, tutti noi, vedere la storia della pallacanestro, ma vederla un po’ più con i dati oggettivi. Che dicono che ci sono delle mancanze, ma anche che ci sono tanti aspetti positivi nel maschile e femminile. E non parlo solo di vittorie. Zandalasini a 21 anni, nel 2017, è entrata nel miglior quintetto d’Europa“.

Da esordiente.

Questa cosa non capitava da tantissimi anni, che un’esordiente italiana entrasse nel miglior quintetto. Oppure, dopo Masciadri, Macchi e Ress, torna in WNBA una giocatrice italiana. Zanda. Oppure parliamo del maschile: giocatori che vanno in NBA, allenatori che allenano le Nazionali e sono medaglie olimpiche, allenatori che hanno allenato in tutta Europa, giocatori che vengono richiesti da squadre di altissimo livello in Europa, vedi Polonara che è cresciuto con me a Teramo e ha esordito in Serie A a 22 minuti di media a 18 anni. La pallacanestro italiana, per dati oggettivi, non penso che sia un disastro come tante volte si vuole far credere, non so perché“.

In quei due anni Lei portò Teramo in Europa, facendole vivere il punto più alto di una pallacanestro in cui, in Abruzzo, c’è una passione importantissima. Ma lì non era mai stata a livelli così alti.

Teramo era arrivata terza in campionato, perdendo per quei famosi quattro secondi di Milano, è arrivata per la prima volta nei playoff e in Europa. E condivido al 100% il fatto della passione pazzesca in Abruzzo. Ho vissuto degli anni stupendi lì. La società ha avuto il coraggio di affidarmi una squadra molto giovane e con molti esordienti, perché Moss era al primo anno in A, Poeta era la prima volte che giocava play titolare e tanti altri giocatori, appunto Polonara nell’anno del mio esonero. E allenatori giovani. Di quella nidiata di allenatori che io avevo scelti come miei assistenti c’erano Ramondino che dall’A2 è andato in A a Tortona, c’è Di Paolantonio che ha allenato in A2, Vincenzo Di Meglio che è uno degli allenatori che è riuscito a portare più giocatori in A1 e in A2, Pino Di Paolo assistente in A1. Questo era il mio staff. Ma erano tutti esordienti allora. Quindi un ricordo veramente pazzesco“.

Ramondino che fa parte di un progetto di Tortona che non si ferma con la promozione.

Ma la cosa bella è che noi quando lavoriamo, e lo dico spesso anche alla ragazze, dobbiamo pensare anche al come. L’esempio di Madera e Santucci è fantastico. Loro sono volute venire lo stesso al raduno perché sanno di essere utili alla squadra, pur sapendo che non avrebbero potuto farne parte non per regolamenti della FIP, e ci tengo a dirlo più volte. Loro volevano esserci perché sanno di essere utili per la squadra. E a me piacerebbe che tanta gente potesse venire a vedere gli allenamenti, e come Santucci e Madera provano ad allenare al massimo le ragazze che andranno alle Olimpiadi. Questo significa che sto parlando di due grandi persone. E sono degli esempi importanti. Parliamo di Teramo, parliamo di queste ragazze. Noi parliamo di messaggi che si danno alle persone. Questi sono quelli veri, non il chiacchiericcio dei social“.

Ma parliamo anche di Giulia Ciavarella. Che non è stata dentro la squadra vera e propria, ma era nel gruppo da tanto tempo e, quando c’era da festeggiare, è stata lì.

Ma questa è la grandezza di questa squadra. Se io penso a certe giocatrici che ho avuto in Nazionale qualche anno fa che non partivano titolari, pur essendo grandi campionesse, ma che ogni volta che ho chiamato in mezzo al campo giocavano con qualità incredibile. Questa è la grandezza della squadra, delle persone. Il giorno in cui riusciremo a vedere così le cose, significa far crescere un mondo che noi amiamo. Che è quello della pallacanestro, e non solo“.

Parlando sempre di livello psicologico, e nella pallacanestro normale, secondo Lei che cos’è successo negli ultimi Europei nella partita con la Svezia in cui è girato tutto storto?

Gran bella domanda. Ma il problema più grosso è che si può parlare solo quando si conosce bene la situazione. Non è scappare dalla domanda, ma perché, per dire qualcosa di serio, bisogna conoscere molto bene le situazioni. Io penso che una partita si possa sbagliare mentalmente. Ma so che lì c’è chi ne sa molto più di me, chi può analizzare la situazioni e le cose è colui o coloro i quali hanno vissuto le cose. Cerco di parlare solo quando conosco realmente le situazioni, altrimenti non voglio essere il qualunquista che parla tanto per parlare, sapendo che purtroppo lo sport, come la vita, ha dei momenti in cui uno può fare un giorno un errore e ci può stare. Credo che questa valutazione la debba fare chi deve, chi ha vissuto quel momento. Non si può fare al di fuori“.

Tornando al torneo olimpico: la formula di Tokyo è un po’ un unicum nel 3×3. Come pensa che si potranno approcciare le squadre a una formula con girone unico (contrapposto ai tanti gironi normalmente usati) dove prima e seconda vanno in semifinale e dalla terza alla sesta vanno ai quarti?

Io non so perché sia stata fatta una simile scelta. Forse per lanciare maggiormente questo sport, farlo conoscere, far sì che tutte le squadre potessero giocare tra loro. Io accetto le regole, e cercherò di dire la mia così come col fatto di Madera e Santucci. Dobbiamo accettare il girone unico e andare là cercando di giocarcela contro tutte. Anche a Debrecen ci avevano dato in partenza come sconfitti, perché contro Ungheria e Olanda non avevamo mai vinto nella storia. Alla fine abbiamo dimostrato, al di là di tutto, che bisogna andare in campo, rispettare il proprio lavoro e sé stessi per dare il meglio“.

In Giappone il pubblico non ci sarà. Se n’è parlato, come e quanto ha influito?

Le squadre non sono degli enti impermeabili a ciò che accade fuori. Chi pensa così credo abbia una visione superficiale della cosa. Il non avere il pubblico influisce. Però non influisce solo per noi, ma per tutte le squadre. La capacità di ogni singola giocatrice dovrà essere quella di andare a trovare le motivazioni intrinseche e interiori e, nello stesso tempo, nel momento di difficoltà, sapere di poter contare sulla squadra che è vicina“.

Sono passati due anni dall’ultimo confronto mondiale, quello del 2019. Ne sono passati tre dal trionfo iridato del 2018. Possono essere esperienze che si portano dietro, utili anche contro la Francia e le ottime giocatrici USA?

Devono essere d’aiuto le cose positive e le negative, che vanno trasformate in positive. Certamente le cose positive fatte a Debrecen sono state fatte in passato, e anche nella prima partita a Graz contro la Spagna, un mostro sacro, che non ci sarà alle Olimpiadi, abbiamo giocato in modo superlativo. Quelle cose vanno tenute ed esaltate. Le cose negative sono una ricchezza che la persona deve avere per tradurle in cose positive e non trascurarle. Se noi abbiamo perso una partita perché abbiamo lasciato tirare l’Austria con buone percentuali da due, non possiamo ripeterlo. Errare è umano, ma se uno non impara dal proprio errore, non ha voglia di diventare migliore. Il messaggio che do sempre è che dagli errori bisogna imparare per cercare di diventare migliori. Voglio prendere tutto il passato, tutta la storia, per cercare di analizzare aspetti positivi e negativi per fare di ogni aspetto un insegnamento“.

La cosa che l’ha colpita di più in questo percorso fatto con il 3×3 qual è?

La mentalità di volersi migliorare. E poi come una che non aveva mai giocato il 3×3 come Chiara Consolini sia stata la miglior giocatrice a livello spettacolare di Debrecen. Questo grazie alle compagne di squadra che hanno aiutato Chiara e all’umiltà di Chiara nel sentire i consigli delle ragazze. Queste due cose mi hanno fatto piacere“.

Questo è un gruppo di persone: D’Alie con la personalità da far conoscere in tutt’Italia, Consolini con il sorriso, Madera grande lavoratrice, Santucci con l’esperienza USA, Trucco che cresce bene, Ciavarella con il vissuto Mondiale, Filippi altro bel personaggio, Rulli idem. Personalità che riescono a fondersi insieme con le qualità che hanno.

Fondersi insieme, o integrarsi, è la parola più bella. E’ il concetto di squadra. Si dice che il 3×3 sia uno sport molto individuale. Non c’è cosa più sbagliata che si possa dire. Il 3×3 è talmente di squadra che nel momento di difficoltà le giocatrici si devono parlare tra di loro per uscirne fuori. Quando una giocatrice è in difficoltà, ha una responsabilità individuale talmente alta che va a ricadere su quella di squadra. Se una giocatrice viene battuta in 1 contro 1, crea un grave danno a tutta la squadra. Quindi, addirittura, a livello mentale è un gioco di squadra ancora più alto. Se qualche volta, quando si gioca a 11, nel calcio, l’errore di uno può essere immediatamente coperto dagli altri, qui non esiste copertura“.

A livello tattico, il 3×3 rispetto al basket normale quanto è veramente diverso?

Sono dell’idea che non sia tanto diverso. Ad esempio abbiamo lavorato tanto sul ritmo della partita, vedi l’ultimo tiro di D’Alie. Il ritmo della partita esiste nel 3×3 come nel 5 contro 5. Gli strumenti che vengono usati per comandare il ritmo sono difesa e passaggi, gioco di squadra, le non forzature. Non vedo queste differenze clamorose, e lo dimostrano giocatrici come Consolini, di Serie A, che ha giocato in Nazionale, con me è stata l’ultima tagliata a suo tempo prima degli Europei. Ed è stata la migliore a Debrecen. E gioca in A1 da non so quanti anni. E’ la capacità di adattamento a regole diverse che fa la differenza“.

Credit: Ciamillo

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