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Storia delle Olimpiadi: Tommie Smith, John Carlos e l’iconica protesta alle Olimpiadi del 1968

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Ci sono momenti in cui le Olimpiadi si intrecciano con la storia, scrivendo pagine che trascendono lo sport e diventano cultura da trasferire nei banchi di scuola. Questa è la storia della finale dei 200 metri di Città del Messico ai Giochi Olimpici del 1968 ma, soprattutto, la storia di ciò che avvenne durante la premiazione, davanti agli occhi del mondo.

Le Olimpiadi di Città del Messico si disputano nel periodo caldo delle rivolte studentesche e sociali. Negli anni precedenti in America alcuni fatti avevano sconvolto il Paese: c’erano state le marce di Selma, l’uccisione a Memphis di Martin Luther King e del suo sogno, l’uccisione a Los Angeles di Bob Kennedy, ed infine la dolorosissima e tragica guerra del Vietnam.

Sono grandi Olimpiadi quelle messicane, che soprattutto nell’atletica vivono momenti epocali, come il salto nel futuro di Bob Beamon (un’altra pagina pazzesca di sport) e l’impressionante finale del salto triplo con cinque record del mondo. E poi i 200 metri. Ci sono tutti i migliori in finale: ci sono gli americani Smith, Carlos e Questad, gli europei Bambuck e Eigenherr, l’australiano Norman, il giamaicano Fray e l’uomo di Trinidad Roberts.

Già in semifinale gli americani Smith e Carlos hanno abbassato il record del mondo e l’attesa per la finale è altissima. Parte fortissimo Carlos, che dopo la prima curva è al comando. I secondi cento metri di Smith sono un capolavoro: recupera e sorpassa il rivale vincendo l’oro olimpico e lo fa correndo gli ultimi dieci metri con il braccio alto in segno di vittoria. Il tempo è clamoroso: 19”83.

Per la prima volta nella storia un uomo ha corso 200 metri in un tempo inferiore ai 20 secondi, una barriera storica è stata infranta (serviranno 11 anni e un tale Pietro Mennea per battere questo record, ma questa è un’altra storia). Al secondo posto arriva un po’ a sorpresa l’australiano Norman, che supera sulla linea del traguardo Carlos. Tommie Smith, Peter Norman e John Carlos sono le tre medaglie olimpiche.

Se l’evento sportivo si chiude con l’eccezionale record del mondo di Smith, la cerimonia di premiazione lascia spazio non solo alla storia dello sport, ma anche del mondo. Quando la bandiera americana si sta issando nel cielo messicano, mentre partono le prime note dell’inno americano “The Star Spangled Banner”, Tommie Smith e John Carlos abbassano lo sguardo e alzano un pugno coperto da un guanto nero: Tommie alza il pugno destro, John quello sinistro.

Entrambi hanno i calzini neri, simbolo di povertà, Smith ha la sciarpa nera, orgoglio del popolo di colore, Carlos la tuta slacciata, come i lavoratori americani, ed indossa una collana di perle come simbolo delle pietre che venivano usate per linciare gli afroamericani.

Il mondo si ferma, ammutolisce di fronte ad una forma di protesta così pacifica ma così forte da diventare, grazie alla foto di John Dominis, una delle immagini simbolo del secolo scorso, una delle immagini più influenti della storia dell’umanità: è la protesta per i diritti umani del popolo nero, forse la protesta più significativa che il mondo ricordi.

L’immagine iconica del podio olimpico cambierà la storia personale dei due americani, ma anche dell’australiano Norman, reo di aver indossato la spilla dell’OPHR, un movimento per promuovere l’uguaglianza anche nello sport. Smith e Carlos vengono immediatamente squalificati dal CIO. Entrambi subiscono minacce ed intimidazioni, ma diventano il simbolo della lotta della comunità afroamericana.

Lo stesso Norman viene allontanato dal Comitato australiano e non partecipa alle successive Olimpiadi del 1972. Quando Norman muore, nel 2001, sono Smith e Carlos a portare la bara durante il funerale, ricreando per pochi minuti quel podio che segnò per sempre la storia del mondo.

È il racconto della forza dello sport, quella forza che 50 anni dopo ha portato le due Coree a sfilare insieme, sotto la fiaccola di PyeongChang. È questa la storia di un incredibile record del mondo nei 200 metri, ma anche la storia di un podio olimpico, di un guanto nero e di un’immagine che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità.

Roberto Vallalta

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Foto: Wikipedia

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