Seguici su
LEGGI OA SPORT SENZA PUBBLICITÀ
ABBONATI

CiclismoStrada

Un italiano stacca i migliori in salita in un Grande Giro: Pellizzari ci fa rivivere le emozioni di Nibali e Aru dopo quasi un decennio

Pubblicato

il

Giulio Pellizzari
Pellizzari / Lapresse

L’Italia aspettava da anni un possibile profeta, l’uomo con le doti necessarie ad accendere la scintilla, il ciclista in grado di infiammare i cuori, il talento capace di riportare il grande pubblico a seguire le due ruote. Attendevamo, impazienti, trepidanti, a tratti con scarso ottimismo. Aspettavamo il nostro Godot, con la speranza che si nascondesse da qualche parte e che prima o poi si palesasse nel suo splendore. Ci serviva disperatamente il corridore che riuscisse a stare con i big in montagna e a lottare per un traguardo importante in una grande corsa a tappe, dove i risultati assumono un’eco che raggiunge anche il pubblico generalista.

Servito, su un piatto d’argento. Un italiano ha staccato i migliori in salita in un Grande Giro. Lo abbiamo potuto urlare, a bocca pieno, assaporandone ogni singolo suono. Giulio Pellizzari ha ridestato emozioni che sembravano sopite nei cuori italici e che stazionavano in uno dei quei cassettini della memoria che si aprono quando ci si fa prendere dalla nostalgia, giusto per degustare uno zuccherino destinato a donare la dolcezza necessaria ad equilibrare un momento di amarezza. Una macchina del tempo (per carità, non è servito sorvolare epoche lontane) che porta con sé il sapore della primavera, anche se stiamo andando verso l’autunno.

Il 21enne marchigiano ci ha ricordato cosa significa attaccare quando la strada si impenna, nel momento decisivo di una frazione di montagna, non andando in fuga da lontano, non piazzando la rasoiata da uomo fuori classifica, ma alzandosi sui pedali quando si è in piena lotta per un piazzamento in top-5 e si può contare su una carta d’identità decisamente verde. Gli occhi saranno brillati a tutti gli appassionati quando ha provato un affondo a quattro chilometri dal traguardo e quando ci ha riprovato 500 metri più tardi, staccando gente del calibro di Jonas Vingegaard, Joao Almeida, Tom Pidcock.

Gli uomini virtualmente sul podio della Vuelta non sono parsi pimpanti e le loro gambe erano un po’ scariche di benzina, invece la pedalata del corridore italiano era fluida, sciolta, tonda, continuamente in rilancio. Ha vinto. In solitaria. In montagna. Alla Vuelta. Ha festeggiato il suo primo successo da professionista in uno scenario di spessore, facendo capire a tutti il suo reale potenziale: l’affondo odierno deve rappresentare anche un chiaro segnale ai piani alti della Red Bull-BORA-hansgrohe, che ora non possono più trattare l’azzurro (a questo punto attenzione alla prova in linea dei Mondiali) come un gregario.

Ci ha fatto rivivere le emozioni di quando Vincenzo Nibali attaccava in salita, con la maglia rosa o con la maglia gialla indosso. Ci ha fatto ricordare le sensazioni degli affondi di Fabio Aru nei suoi giorni migliori. Era solo una tappa della Vuelta, era la prima volta, una rondine non fa primavera. Si può dire. Ma era l’ossigeno di cui tutta l’Italia aveva bisogno. Era dai giorni migliori dello Squalo che non vivevamo un pomeriggio così e l’ottimismo è tornato a fare battere tumultuosi i nostri muscoli cardiaci.

Google News Rimani aggiornato seguendoci su Google News!
SEGUICI