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Tennis

Sara Errani, i momenti di vent’anni di singolare. E in doppio si continua a gonfie vele

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Sara Errani
Errani / Alexandre Martins/DPPI / IPA Sport

Ci sono dei momenti, nella carriera di Sara Errani, che val bene tenere a mente. E non solo per i risultati, perché quelli possono contare fino a un certo punto. In alcune occasioni, infatti, sono state vere e proprie lezioni di vita quelle offerte dalla nativa di Bologna, ma romagnola tout court, che è stata il simbolo della definizione inglese “against all odds”.

Non credevano in lei come prospettive e si è qualificata a Roma nel 2006, non veniva data più avanti delle prime 30 quando cominciò a salire di livello, e invece cinque anni buoni li ha vissuti nelle zone alte, anzi altissime, della classifica mondiale. Prendiamo alcuni di questi momenti dalla sua carriera in singolare, visto che quella in doppio è ancora in corso e ha davvero vissuto due vite. E facciamo un’avvertenza: non sono necessariamente scontati, non sono per forza i successi di maggior grido.

Primo momento: metà iniziale del 2008. Vero, aveva già lanciato segnali niente male nel 2007, ma è qui che ha cominciato a mettere insieme la carriera che poi ha costruito. A Melbourne lottò alla grande con Lindsay Davenport, non una qualsiasi, poi a Miami batté la russa Maria Kirilenko (poi ci fu Justine Henin, ma pazienza), e poi venne Roma. Nella quale infilò Shuai Peng e un’Agnes Szavay allora al top (l’ungherese era 11 del seeding). Poi perse da Serena Williams, sul Centrale che al tempo era il Pietrangeli e sotto lo sguardo di Rino Tommasi e Gianni Clerici, al tempo ancora compagni di viaggio su Sky.

Secondo momento: Palermo-Portoroz. Non è neanche un momento, ma un’accoppiata di anni. 2008, quello in cui il nome di Sara Errani per la prima volta si associò a quello dei tornei vinti. Prima in Sicilia, con un cammino che la vide battere in semifinale Flavia Pennetta e in finale l’ucraina Mariya Koryttseva, poi in Slovenia, dove la sequenza fu Kirilenko-Wozniacki-Medina Garrigues. Una già forte, l’altra in rampa di lancio, la terza sempre complessa. L’anno dopo finale palermitana persa contro Pennetta e, a Portoroz, il primo grande momento contro una big. E che big: Dinara Safina, al tempo numero 1 del mondo. Perse 7-5 al terzo set, ma fu un segnale.

Terzo momento: Ana Ivanovic. Sì, fino ad allora c’erano stati tre tornei vinti, i quarti agli Australian Open (con un grandissimo torneo, va detto: Petrova-Cirstea-Zheng una in fila all’altra, ai tempi, non era cosa da poco). La svolta, però, venne lì. A Parigi, al Roland Garros. Non aveva mai battuto una tra le prime 14 del mondo prima di allora, ma quello era il 2012 del cambio di racchetta (da Wilson a Babolat). 1-6 7-5 6-3: un punteggio dietro il quale si nasconde tutta la voglia di una Sara Errani che lottò e vinse facendo impazzire la serba, che il torneo l’aveva vinto. Di lì la sequenza fu impressionante: Kuznetsova-Kerber-Stosur. Una con un 6-0 nel primo set, l’altra con una gran partita sul Lenglen, l’ultima facendo emergere la psicologia sullo Chatrier. Ci volle una Maria Sharapova lanciata verso il numero 1 del mondo per fermarla. I quarti sarebbero comunque tornati: 2013 (con annessa partita incredibile con la spagnola Carla Suarez Navarro negli ottavi e poi semifinale raggiunte), 2014, 2015.

Quarto momento: Istanbul 2012. Ok, non è una vittoria. Ma quelle 3 ore e 30 dei WTA Championships contro Agnieszka Radwanska sono probabilmente piene di un tennis tra i più belli mai visti negli ultimi 25 anni. Partita vergognosamente poco ricordata anche dalla stessa WTA, vide le due utilizzare tutti i trucchi possibili e immaginabili sul campo, in un susseguirsi incredibile di emozioni. Il nome “Sara Errani” stava per essere associato alla semifinale di quelle che oggi sono le Finals. Le mancavano un turno di servizio e quattro punti. Quelli in cui la polacca accelerò e in un amen si trovò sul 3-0 nel terzo set. L’italiana quasi rimontò. Non ce la fece, ma quella partita è nella storia anche se in pochi, purtroppo, ricordano cosa fu.

Quinto momento: Roma 2014. Perché dopo la semifinale dell’anno precedente, e un 2013 a vette altissime continuate, fu il momento di fare qualcosa di più. I quarti di finale, in un pomeriggio piuttosto freddo di Roma, la videro sfatare il tabù Na Li (o Li Na che dir si voglia), mentre in semifinale fu Jelena Jankovic a cedere. Centrale pieno, carico, per la finale, poi, però, sul 4-3 arrivò l’infortunio. Serena Williams ebbe strada libera, ma lei, la più forte del mondo, che pure l’anno dopo andò a una palla corta (riuscita) dal confine tra la vittoria e la sconfitta in Fed Cup, tributò gli onori che ha sempre tributato a Sara Errani. Fin dal 2012: “I love Sara”. Ne ha sempre riconosciuto la voglia, sapendo perfettamente chi era ed è.

Sesto momento: non è un torneo vinto. Non è nemmeno il suo migliore. Ma è la lezione di vita forse più grande. US Open 2015, secondo turno. Sara Errani contro Jelena Ostapenko. L’azzurra entra in campo, ma non pare lei. Niente rumore, che stia poco bene si vede. Del resto, New York in quei giorni significa passare da una condizione all’altra in un attimo, a seconda di dove ti trovi. E lei non fu fortunata. Perse male il primo 6-0, ma trovò chissà dove la forza di star lì, lasciare l’avversaria incapace di capire dove arrivassero tutte quelle forze. Lo spirito da lottatrice: 0-6 6-4 6-3. La storia quell’anno la fecero altre, ma dentro ce n’è un’altra che racconta tutta Sara.

Settimo momento: Dubai. Dove nel 2013 fece letteralmente impazzire Petra Kvitova, finendo per tentare dei serve&volley fuori da qualsiasi schema e da qualsiasi idea, una follia per chiunque, non per lei. Anche se perse. E dove nel 2016 portò a casa quel sospirato Premier, in finale con la ceca Barbora Strycova. Vendicando parecchie cose: il golden set di Shvedova a Wimbledon (6-3 6-0 in questo caso) prima di tutto. Un luogo un po’ particolare, teatro dello storico WTA che adesso è diventato 1000 senza più doversi alternare con Doha ogni volta.

Ottavo momento: il dopo. Perché, al di là di tutto, la vicenda che ha avuto lei come protagonista non fu bella per diversi motivi. Soprattutto per come fu gestita a tutti i livelli e, di fatto, lasciandole addosso più dei mesi di squalifica: due anni spesso passati con una spada di Damocle sopra la testa e le difficoltà enormi al servizio, che al tempo erano soprattutto mentali, a diventare a volte condizionanti. Ma non mollò: vinse a Roma all’Antico Tiro a Volo un ITF da 60.000 dollari che oggi è diventato WTA 125, poi in Paraguay ebbe il sostegno di tutti quando la vedevano nei guai col servizio. In Italia questo non lo sentiva (e lo fece notare).

Nono momento: Roland Garros 2023. Sì, è vero, c’è il terzo turno degli Australian Open 2021 di mezzo, ci sono diversi momenti particolari, ma qui c’è una ratio personale. Rimontò una partita di quelle sue, indomabili, con la svizzera Jil Teichmann. 3-6 6-4 6-2. Ma, dietro, c’era qualcosa. E non di piccolo. Era morta da poco la nonna, e fu il suo momento più difficile. Lei, a Parigi, sui “suoi” campi, e un dolore enorme con il quale è scesa in campo. E, nonostante tutto, ce l’ha fatta. Ognuno ha la propria storia per affrontare le problematiche personali. Questa è la sua, e ha qualcosa che di banale non ha nulla.

Decimo momento: US Open 2024. L’ultimo terzo turno Slam. Quello che racconta di una Sara Errani ormai visibilmente libera nel suo tennis, totalmente imprevedibile in varie occasioni, capace di superare due in un buon momento come Bucsa e Dolehide. E pazienza se poi arriva il 6-2 6-2 firmato Diana Shnaider. Quello è il picco finale di una carriera nella quale, per 18 anni di fila, in un modo o nell’altro, ha raggiunto almeno un quarto di finale in un torneo sul circuito maggiore.

Come già detto, si è lasciato fuori tutto il discorso legato al doppio. Con quello i momenti diventerebbero tanti: l’accoppiata con Roberta Vinci, i cinque Slam vinti, la battaglia incredibile con le Williams a Melbourne 2013, fino al nuovo viaggio con Jasmine Paolini. Qui sta la chiave: quel viaggio è tuttora in corso. Non è finito con le due vittorie consecutive a Roma, non è finito con l’oro olimpico. Questo può ancora regalare diverse emozioni. Per quelle sarà il tempo a decidere.

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