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Basket, Olimpiadi Tokyo: Italia, fine di un viaggio andato oltre le attese

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Si è concluso poche ore fa il viaggio dell’Italbasket alle Olimpiadi di Tokyo, ed è così terminata anche l’estate azzurra cominciata, per certa misura, anche prima della fine della finale scudetto tra Virtus Bologna e Olimpia Milano. Un’estate che ha dato un numero di soddisfazioni che, forse, neanche il più ottimista avrebbe realmente osato sperare.

Ci sono tante sfaccettature, alcune belle e alcune un po’ meno belle, dietro questo viaggio. Quelle belle, naturalmente, si riassumono in una sola cosa: il gruppo. Quella in mano a Meo Sacchetti non è forse stata la squadra migliore disponibile sulla carta, ma lo è stata come spirito che si è vissuto all’interno. Quello spirito senza il quale non sarebbero mai accadute tante cose: l’impresa di Belgrado, gli ultimi minuti con la Germania, l’affondo sulla Nigeria. La squadra che si è creata, in sostanza, è stata in grado di giocarsela con tutti. Senza eccezioni.

E dire che tutto era partito male, anzi malissimo. Un po’ per sfortuna, questo sì: entrare in gara al Preolimpico dopo più 10 giorni di stop forzato perché il Venezuela si è trovato con i casi Covid e il Senegal è stato costretto a rinunciare a sua volta per contagi multipli e impossibilità a lasciare la Germania in tempi utili. Tutto questo non ha certamente facilitato l’approccio alla prima gara, quella con Porto Rico. E così sono arrivati i primi 17 minuti, quelli in cui si è giocato veramente male, seguiti però da una grande reazione. E da lì è partito tutto: il recupero, la prima vittoria, poi la seconda (facile) sulla Repubblica Dominicana, e infine la prova con la Serbia, una delle più grandi partite azzurre di tutta la storia della palla a spicchi.

Nota di merito per Danilo Gallinari. E’ arrivato con lo sforzo della finale di Conference con gli Atlanta Hawks, ma in punta di piedi. Il suo ingresso in luogo di Abass è stato ciò che si è ventilato fin da subito, e che è poi stato confermato alla prova dei fatti. E Danilo ha risposto presente ancora una volta. Ma ha fatto di più. Con la Germania ha tolto le castagne dal fuoco. Si è fatto male, di nuovo al ginocchio. Sacchetti l’ha preservato, tanto con l’Australia quanto con la Nigeria. Aveva bisogno di lui per una partita. Quella ben specifica partita, contro la Francia. 21 punti e 10 rimbalzi. Doppia doppia. Senza paura, provando di tutto per essere decisivo, compreso un tiro dall’equilibrio che definire precario è anche poco, per tentare di sconfiggere i transalpini. Non ce l’ha fatta, ma ancora una volta ha dimostrato perché è il più forte giocatore in Italia. E per tanti versi è spiacevole, e non poco, vedere che nel suo palmares, per una lunga serie di coincidenze, a livello di squadra non c’è nulla.

Ma queste Olimpiadi hanno dimostrato tante cose. Una su tutte: Simone Fontecchio è pronto per l’alto livello. Anche dall’America si sono detti “ma perché questo l’abbiamo ignorato fino ad ora e non gioca in NBA?” e c’è forse della ragione. Bastano le cifre: parliamo di qualcuno che ha messo a segno 18.7 punti con il 57.6% da due, il 45.4% da tre, l’81.8% dalla lunetta, 3 rimbalzi, 1.5 assist e 16.7 di valutazione in media. Al Baskonia saranno ben felici di averlo nella stagione ventura. Gli avversari un po’ meno. Ma è bello che si sia finalmente fatta luce su un giocatore che, in Italia, era stato troppo spesso bistrattato e che, invece, è davvero uno che le partite le può cambiare eccome. Una storia di crescita all’estero, la sua, che ricalca quella di Nicolò Melli (ma non quella di Achille Polonara, che ha seguito un percorso diverso per come si è evoluto, restando nel campo dei giocatori di questo gruppo olimpico). E che deve creare un primo fronte di riflessione sulla crescita dei nostri giocatori in Italia, là dove le big tante volte sono restie a dar loro uno spazio rilevante.

In questo senso c’è l’eccezione notevole di Alessandro Pajola, prodotto della Virtus Bologna senza se e senza ma, protagonista per tutte le giovanili, cresciuto tra l’A2 e poi la A, trovatosi con gente del calibro di Mario Chalmers prima, Milos Teodosic e Stefan Markovic poi, ad imparare trucchi. E, nel frattempo, è diventato uno specialista difensivo di livello europeo. Dimostrazione piena con la Francia, dove non ha avuto paura di nessuno. In senso letterale. Neanche di Rudy Gobert. Sarà lui uno degli uomini del futuro, e sempre di futuro parlando le prospettive esistono e sono buone: Matteo Spagnolo e Gabriele Procida sono solo due dei nomi, senza arrivare a Paolo Banchero che è stato qui bloccato da Duke (problema che Daniel Hackett, a inizio carriera in epoca USC, ricorda bene). Ma la parte forse più luminosa spetta a lui, Nico Mannion, che ha sì sbagliato la partita con la Francia al tiro, ma ha dato un contributo fondamentale. Della serie: senza di lui, molto probabilmente, non saremmo arrivati fin qua. E tornando alle big e agli spazi ai giocatori, è da notare come Stefano Tonut sia stato sostanzialmente sempre cresciuto dalla Reyer Venezia, al punto tale da resistere anche agli assalti dell’Olimpia Milano, che voleva fortemente il giocatore per l’Eurolega.

Questi quarti olimpici non devono però far dimenticare diverse cose: per esempio, lo stato dell’arte della pallacanestro italiana, in situazione davvero complicata. Se da una parte anche i club hanno ritrovato competitività in Europa, dall’altra ci sono tante questioni che vanno risolte, che poi sono tutte quelle di cui si parla sui giornali e non solo dai palazzetti ai problemi economici delle squadre e, fattore fondamentale ancor più, alla capacità di dare ai giocatori il lancio giusto tra le formazioni giovanili e quelle senior. Perché il vero salto avviene in quel momento, e va gestito bene. Avremo anche bisogno di tornare a costruire centri di livello, perché di quelli si sente terribilmente la mancanza. Non può essere il pur lodevole Amedeo Tessitori a coprire questo buco, o Nicolò Melli riadattato (con tutte le conseguenze del caso), o addirittura gli stessi Polonara e Gallinari. Di nuovo senza arrivare a Banchero, basterebbe riuscire a trovare due giocatori che poi possano avere minuti di qualità in Eurolega, o perlomeno in EuroCup. I tempi di Denis Marconato e Roberto Chiacig non sono troppo lontani, ma non sono neppure vicinissimi.

Non dev’essere un punto di arrivo, ma una ripartenza-continuazione, questo obiettivo raggiunto. Ci sono tre quarti di finale agli Europei, i Mondiali ritrovati, le Olimpiadi ritrovate, la consapevolezza di avere un alto livello possibile e delle generazioni che possono progettare di mantenerlo una volta che buona parte della generazione dei Gallinari, Belinelli, Datome (a proposito di questi ultimi due, additarli quasi come avessero sputato sul tricolore solo per aver detto no al Preolimpico per problemi chiari, visibili e spiegati di natura fisica è parso quantomeno eccessivo), Melli si sarà ritirata dall’azzurro o in generale. I prossimi obiettivi sono gli Europei 2022, i Mondiali 2023, eventualmente anche le Olimpiadi 2024. Per allora buona parte dell’attuale generazione di giocatori sarà sopra i 30 anni, chi più chi meno. Ecco perché il ricambio è importante e bisognerà prendersene cura davvero bene, per non disperdere quello che di buono si è creato in quest’occasione. Perché l’impressione è che, rispetto al dopo-2004, la base sia migliore. Essendo però una base, sopra ci vanno le fondamenta. E sopra le fondamenta, la casa. Non dev’essere, il punto a punto contro una delle favorite per la medaglia d’oro, forse la favorita, qualcosa che poi resta lì. Abbiamo tre anni per dare continuità a tutto questo.

Foto: LaPresse

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