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Basket femminile, Beatrice Attura: “La Nazionale è sempre stata un sogno. Adoravo Kobe Bryant, è stato il Michael Jordan della mia età”

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Tra Roma e gli States, tra una famiglia italiana e una vita americana. Beatrice Attura, classe ’94 da questa stagione all’Umana Reyer Venezia, ha nel proprio corpo una sorta di doppia origine: quella di nascita, che viene dalla Capitale, e quella umana, con il lavoro del padre che ha portato la famiglia negli USA. La sua crescita cestistica e non solo è così stata di impronta a stelle e strisce, ma in Italia è tornata con Vigarano, nella stagione 2019-2020, prima di approdare alla Reyer e di debuttare in Nazionale, in entrambi i casi con ottimi risultati (7.8 punti di media in Serie A, 20 nella vittoria dell’Italia contro la Repubblica Ceca nella bolla di Riga). L’abbiamo raggiunta telefonicamente per un’intervista in cui ha raccontato diversi temi tra passato e presente.

Come nasce il primato da imbattute e come ti trovi a guardare tutte dall’alto in basso?

Sì, per ora siamo imbattute e siamo molto contente, perché non è mai facile nel giro di una stagione vincere così tante partite consecutive. Questo però è il risultato di un lavoro durissimo che facciamo durante la settimana con tutta la squadra, e i risultati si vedono subito in campo“.

Come ti sei trovata, a livello di impatto, nel cambiare dal sistema di Vigarano a quello della Reyer, progettata per altri obiettivi?

Il sistema di Vigarano era molto diverso da quello di Venezia. Ci sto ancora lavorando, perché preferisco giocare in velocità e questa era l’unica cosa che facevamo in attacco a Vigarano: giocavamo per prendere un tiro veloce. A Venezia non è sempre così, c’è un altro modo di giocare a pallacanestro, più ‘col cervello’. Ci sto lavorando, non è il mio primo modo di giocare a pallacanestro. L’istinto mi dice di giocare veloce, però gli allenatori, lo staff e le mie compagne di squadra mi aiutano, quindi mi trovo molto bene“.

In sostanza: a Vigarano tutto catch and shoot, a Venezia quasi si cambia sport.

Sì, è così (ride). Vigarano era una squadra di più basso livello, quindi dovevi fare altre cose per cercare di vincere contro squadre di più alto livello. Invece qui a Venezia per ora siamo prime in classifica, quindi ci sono altri modi per mettere la palla nel canestro“.

Giulia Natali a parte, perché già la conoscevi, come ti sei trovata con le tue nuove compagne e con Giampiero Ticchi?

Con le compagne mi sono trovata benissimo sin dall’inizio, e questa è una cosa che non è scontata, perché tante volte in squadra non vai d’accordo con tutte, ma qui a Venezia andiamo tutte d’accordo e siamo tutte contente ogni volta che ci rivediamo, anche dopo un giorno libero. Questo aiuta nei momenti difficili, perché essendo distante dalla famiglia i tuoi compagni sono la famiglia in quel momento, quindi è molto importante avere una buona relazione. Devo dire che Giampiero è una persona super dentro e fuori dal campo, sempre disponibile. Ti chiede sempre come stai, ha interesse non solo di te come giocatrice, ma anche come persona. Questo non lo trovi sempre in un allenatore, quindi dico che è una persona super“.

Quali sono i tuoi ricordi degli anni di NCAA a Northwestern State University e che tipo di vita era, quella da student-athlete?

Ci devi mettere molto impegno perché non hai molto tempo di fare niente. Devi solo andare all’allenamento a fare pesi e andare in classe. E’ molto impegnativo, però è un’esperienza che non cambierei. Con il mio ateneo abbiamo vinto due campionati in quattro anni (Southland Conference, nel 2014 e 2015, N.d.R.), che sono tanti secondo me. Dal punto di vista dello studio, la mia scuola era molto disponibile per le atlete. Certe volte non potevamo sempre andare alle lezioni perché avevamo una partita. Era impegnativo da un punto di vista organizzativo e di tempo, però ci hanno sempre aiutato tantissimo per cercare di fare il meglio“.

Parlando proprio dell’organizzazione del tempo: questo ti ha aiutata nel resto delle cose, quelle che sono fuori dalla pallacanestro?

Certamente. Ma anche la pallacanestro in generale mi ha aiutato molto dal punto di vista della disciplina, perché una volta che sei abituata a non arrivare tardi per un allenamento, un team meeting, tutte queste cose, diventano abitudini. Certe volte, quando sono un po’ in ritardo per un allenamento, faccio le cose un po’ di fretta, mi viene un po’ d’ansia ed è la stessa cosa quando devo vedere un amico a un bar per un caffè. Questo secondo me è il risultato della disciplina che ho sempre avuto giocando a pallacanestro“.

Poi però te le avranno fatte pagare le paste o quello che era, se arrivavi in ritardo…

Esatto!” (ride)

Tu hai anche giocato due anni in Germania: che tipo di campionato è, quello tedesco, e che tipo di livello c’è?

Il campionato tedesco devo dire che è a livello un po’ più basso di quello italiano, però in Germania mi sono trovata benissimo. Era uno step per me, sono maturata tanto da un punto di vista fisico, perché, venendo dal college, lì si gioca una pallacanestro meno fisica, quindi mi sono dovuta abituare alla fisicità di tutti i campionati europei. Mi sono abituata benissimo in Germania, al secondo anno abbiamo vinto il campionato e la coppa, quindi sono stata anche molto fortunata ad arrivare in due anni buoni“.

A proposito della differenza tra NCAA e basket europeo, quanto è importante il discorso fisico della NCAA e quello europeo e in quale dei due ti trovi meglio?

Devo dire che preferisco i campionati europei, perché secondo me un po’ di fisicità ci vuole nella pallacanestro. Nel college diciamo che appena tocchi una persona è fallo, quindi è molto più difficile giocare in difesa, più difficile esprimere un gioco più atletico, perché se non puoi toccare una persona perché è subito fallo il gioco diventa un po’ più soft rispetto a quello europeo. Per cui preferisco quest’ultimo da questo punto di vista“.

Tornando al presente: il fatto che l’anno scorso sia stato sospeso il campionato e il fatto che l’EuroCup quest’anno sia stata spostata a gennaio 2021 quanto cambia e quanto pesa?

Secondo me è stata una cosa positiva per noi. Abbiamo avuto una pausa di 6-7 mesi e abbiamo ripreso a fine agosto. Penso che ci abbia aiutato tantissimo avere una sola partita a settimana, perché c’era meno rischio di infortuni. Penso che questa cosa ci abbia aiutato. Dal punto di vista della bolla dell’EuroCup, penso che funzioni. Sono stata nella bolla della Nazionale ed è tutto organizzato benissimo, quindi penso che per una questione di salute sia la cosa migliore. Sono in favore della bolla“.

A proposito della bolla di Riga, puoi raccontare com’era la giornata al suo interno?

Prima di tutto avevi stanze singole, quindi stavi sempre in stanza da sola. Ti svegliavi a colazione, poi subito dopo un allenamento, poi tornavamo per fare la doccia, perché non si poteva fare in palestra. Doccia, pranzo, un riposino dopo pranzo, poi c’era o un team meeting o scarico coi fisioterapisti, avevi 3-4 ore a giornata per riposare e poi c’era un altro allenamento la sera e cena molto tardi. Ci hanno dato degli orari non buonissimi perché pranzavamo e cenavamo molto tardi, quindi non era ideale. Però facevamo anche colazione tardi e quindi potevi dormire un po’ di più“.

Te l’aspettavi la chiamata della Nazionale?

No, in realtà. E’ sempre stato un sogno per me, ci speravo, però non mi metto a guardare queste cose perché se no impazzisco. Io faccio il mio lavoro, gioco per la Reyer e cerco di fare il meglio per la mia squadra, e di conseguenza se queste cose arrivano le accetto volentieri. Non ci sto lì a pensare tantissimo“.

Che impatto hai avuto con Lino Lardo?

Buono, sin dall’inizio, anche nel raduno di agosto di un giorno e mezzo che abbiamo fatto dove l’ho conosciuto per la prima volta. E’ una persona molto tranquilla, trasmette tanta positività, che è una cosa che ci ha aiutato molto nella bolla di Riga anche perché avevamo già perso una partita contro la Repubblica Ceca, quindi erano due partite molto importanti. Sentivamo un po’ di pressione nel vincerle, ma ha sempre trasmesso tranquillità, positività e il suo tipo di gioco, per il tipo di giocatrice che sono, è ideale. Lui vuole difesa aggressiva, gioco veloce, e mi sono trovata bene subito con il suo tipo di gioco. E’ stato molto facile da questo punto di vista per me personalmente“.

Gli obiettivi che hai sono, in genere, più i tuoi o più quelli delle squadre in cui ti trovi?

Sicuramente i miei obiettivi sono collegati alla squadra, perché se trovi egoismo in una squadra, questa secondo me non arriverà mai al top. Nelle mie esperienze sono stata fortunata a vincere diversi campionati, anche al college e in Germania, e adesso un minicampionato con la Supercoppa con la Reyer. Nella mia esperienza se c’è egoismo in una squadra, quasi mai questa arriva al top. Io credo tantissimo nel gioco di squadra. Sicuramente i miei obiettivi sono sempre per la squadra. Poi mi piace far bene in una partita, però non è che entro in una partita o in una stagione e dico ‘ok, quest’anno voglio fare 15 punti di media’ perché magari alla squadra non serve. Voglio essere utile in ogni modo possibile per la squadra“.

Giocare a porte chiuse, rispetto al giocare a porte aperte, in questi mesi difficili, che sensazione è?

Molto strana. Quasi di amichevole. Senza pubblico per me è la prima volta, l’anno scorso con Vigarano non abbiamo mai fatto una partita a porte chiuse. Quest’anno per me era la prima esperienza ed è una sensazione strana, però ci siamo adattate tutte, secondo me, molto bene. Una volta che entri in campo ti concentri solo sulla partita. Tante volte non ci fai neanche più caso che non c’è nessuno in palestra, perché sei concentrato sulla partita e sugli obiettivi della partita“.

Uno dei dati che hanno fatto notare in relazione alle porte chiuse è che è un po’ diminuito il gap casa-trasferta, in mancanza di pubblico e tifo. Per esempio, nell’Eurolega maschile, sono crollate le percentuali di vittorie delle squadre di casa. Tu come vedi questo discorso?

Sicuramente i fan sono sempre d’aiuto per la squadra in campo, però devi essere anche bravo, se sei fuori casa, a concentrarti, ed è più facile dirlo che farlo sicuramente. Anche con il pubblico ti devi concentrare sugli obiettivi della squadra e della partita e non stare a sentire la gente che magari ti insulta, o ti fischia, o quello che sia. S’è visto anche nella bolla NBA che le partite tra una squadra più forte e meno forte erano più combattute, perché senza il pubblico si tolgono tante cose da un punto di vista di ansia, di pressione. Speriamo che nel 2021 possano tornare i tifosi, perché sicuramente anche al Taliercio sono un’arma in più“.

C’è una giocatrice o un giocatore che a te ha dato più ispirazione?

Quando sono cresciuta adoravo Kobe Bryant, perché lui è stato il Michael Jordan della mia età e lo guardavo sempre, lo ammiravo tantissimo, soprattutto per la mentalità che aveva. Lo chiamavano, e chiamano, il Black Mamba. Guardavo sempre le sue partite e cercavo di guardarlo da lontano per vedere com’è diventato il giocatore che è diventato. Tante volte da piccola indossavo anche il 24, avevo la sua maglia. Sono stata molto triste quando c’è stata la tragedia, perché l’ho sempre seguito da quand’ero bambina“.

A proposito di numeri: il 30 perché l’hai scelto?

Il 30 l’ho sempre indossato da quando ho cominciato con la pallacanestro. In America il basket si fa insieme alla scuola, quindi dalla scuola media, quando avevo 13 anni. Non l’ho neanche scelto io il numero, me l’hanno dato a caso e mi sono innamorata subito del 30, perché tante volte le guardie hanno dei numeri piccoli e mi piace che il 30 sia un po’ un numero diverso che può essere anche da pivot, o da qualsiasi posizione. Mi è sempre piaciuto essere un po’ diversa da questo punto di vista, dato che tutte le guardie e i play avevano numeri bassi io ero quasi sempre l’unica con un numero alto. Inoltre è anche il giorno in cui è nata mia madre, il 30 giugno. Quindi l’ho sempre tenuto anche per questo motivo“.

Come te l’immagini il futuro debutto in Eurocup, se ti sei già fatta un’idea?

Non me la sono fatta, ma immagino che sarà molto simile alla bolla di Riga. Noi saremo la squadra italiana, contro squadre di altre nazioni in una bolla. Penso che sarà molto simile alla bolla della Nazionale, solo che conosco le mie compagne di squadra meglio di quelle della Nazionale. Spero di fare lo stesso risultato che abbiamo fatto nella bolla di Riga, e sicuramente sarà una bella esperienza anche questa“.

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federico.rossini@oasport.it

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Credit: Ciamillo

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