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Basket: Becky Hammon, la storia della prima donna ad allenare da head coach in NBA

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Questa notte è successo. A 3’54” dalla fine del secondo quarto della partita tra Los Angeles Lakers e San Antonio Spurs, Gregg Popovich è stato espulso. Uscendo dal campo, ha detto “Adesso pensaci tu” a una persona. Quella persona è Rebecca Lynn Hammon, ai più semplicemente nota come Becky Hammon, una leggenda della WNBA e dal 2014 nello staff dello stesso Popovich: era già diventata, in quel momento, la seconda assistente allenatore donna nella storia della massima lega professionistica americana, ma prima a tempo pieno.

43 anni, di Rapid City, nel South Dakota, la sei volte All Star della WNBA è anche legata all’Italia, sebbene oggi siano in pochi a ricordarlo. Le stagioni della WNBA e della pallacanestro del resto del mondo, infatti, non coincidono: questo fa sì che una giocatrice possa scendere in campo in estate negli States e nel resto del tempo in qualunque altro luogo. E quel luogo, nella stagione 2001-2002, per Becky Hammon fu Rovereto.

Frattanto, le erano già capitate parecchie cose. Non scelta al draft del 1999, con nessuna delle 50 scelte all’epoca a disposizione delle franchigie, riuscì a ottenere un contratto dalle New York Liberty, andando a scuola da un’altra play che l’Italia l’aveva vista da vicino (con stagioni di vertice alla Pool Comense): Teresa Weatherspoon. Dopo un ottimo 2000 facente parte di quattro anni di apprendistato, prese in mano le chiavi della squadra, prima di diventare una leggenda delle San Antonio Stars. Rimasta in campo dal 2007 al 2014, ha avuto l’onore di vedersi ritirata la maglia numero 25 che ha sempre indossato.

Pur senza mai riuscire a portare le sue squadre al titolo, si è guadagnata la stima e il rispetto di tutto il mondo della pallacanestro, inteso in maniera generale e non solo femminile. Due volte nel miglior quintetto stagionale, nel 2011 è stata inserita tra le 15 giocatrici migliori di sempre nella lega professionistica femminile, un club esclusivo del quale fanno parte parecchie che hanno già un posto nella Hall of Fame intitolata all’uomo che ha creato il mondo della palla a spicchi, James Naismith.

Eppure, nel 2008, le qualità mostrate in campo di realizzatrice soprattutto quando contava (“Big Shot Becky”, sulla scia di “Big Shot Rob”, alias Robert Horry, nacque per questo) non bastarono per entrare nelle 12 che componevano il team americano per le Olimpiadi. Anne Donovan l’aveva snobbata, di nuovo. In breve tempo, arrivarono sia il rinnovo col CSKA Mosca, dove allora giocava, che la conseguente naturalizzazione da russa. Scoppiarono le polemiche, con parecchie accuse di aver tradito la sua patria, rispedite al mittente a più riprese. E dire che, pur con la parata di stelle che c’era (Lisa Leslie, Candace Parker, Cappie Pondexter, Diana Taurasi, solo per citarne quattro), un posto per Becky Hammon ci sarebbe stato con ogni probabilità. Ad ogni modo, il sogno olimpico lei l’ha vissuto due volte: sia nel 2008 a Pechino (con annesso bronzo) che nel 2012 a Londra.

Durante lo stop del 2013 causa rottura del legamento crociato, si è avvicinata al mondo dall’altra parte del campo, chiamato panchina. Grazie a una buona serie di rapporti costruiti nel tempo all’interno dell’organizzazione dei San Antonio Spurs, prima con Tim Duncan, poi con Tony Parker e ancora, soprattutto, con Gregg Popovich, e a tante sessioni di allenamento e meeting cui aveva assistito, il posto di assistente se l’è preso.

E per lei, più di tante cose, valgono le parole di un gigante del basket NBA a cavallo tra i primi due decenni del secolo, Pau Gasol: “Ho giocato con alcuni dei migliori giocatori della mia generazione, e sono stato allenato da due delle menti più avanzate nella storia dello sport, Phil Jackson e Gregg Popovich. E vi dico che Becky Hammon sa allenare. Non dico che può allenare piuttosto bene. Non dico che può allenare abbastanza per cavarsela. Non dico che può allenare quasi al livello degli allenatori maschi della NBA. Dico: Becky Hammon può allenare il basket NBA. Punto“.

Nel 2015, ha allenato in Summer League, diventando la prima donna a farlo. Nel 2017, è ancora diventata la prima donna a far parte di un coaching staff dell’All Star Game. E questa notte ha vissuto il momento più bello del 2020. Prima donna ad allenare in NBA. E poco importa che i Lakers abbiano vinto sugli Spurs. La storia è stata fatta appena fuori le linee del campo.

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Foto: LaPresse

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