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Sci di fondo

L’Italia è grande: Silvio Fauner, i successi di un fondista del XXI secolo prestato agli anni ’90

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Tra le figure più influenti dello sci di fondo italiano vi è senza ombra di dubbio quella di Silvio Fauner, entrato nella storia delle discipline nordiche azzurre soprattutto grazie ai trionfi di metà anni ’90, tra cui spiccano l’oro olimpico nella staffetta di Lillehammer 1994 e il titolo mondiale nella 50 km di Thunder Bay 1995. Andiamo dunque a rivivere la carriera di uno dei fondisti tricolori più titolati di sempre, le cui caratteristiche sarebbero state più adatte a uno sci di fondo arrivato nel III millennio.

Silvio Fauner nasce il 1° novembre 1968 a San Pietro di Cadore, crescendo a Sappada. Eredita la passione per gli sci stretti dal fratello maggiore Aldo e ottiene il suo primo risultato di rilievo in ambito internazionale nel febbraio 1987, quando ai Mondiali junior disputati ad Asiago arpiona la medaglia d’argento nella 30 km a skating, arricchendo poi il suo bottino con il bronzo nella staffetta. Nell’inverno successivo fa il suo esordio in Coppa del Mondo e si mette al collo un’altra medaglia iridata junior in staffetta. Nel frattempo prosegue a formarsi come atleta, potendo beneficiare di importanti punti di riferimento all’interno della squadra azzurra, quali Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta, Gianfranco Polvara e Silvano Barco. La vera e propria esplosione del sappadino avviene nell’annata 1991-92¸al cui principio ottiene il primo podio in Coppa del Mondo, classificandosi terzo nell’inseguimento di 15 km a skating disputato a Silver Star, nel quale recupera sino alla terza piazza dopo essere partito dall’undicesima posizione in cui aveva concluso la precedente 10 km in alternato. Davanti a lui, quel giorno, ci sono solo due mostri sacri della disciplina quali Vegard Ulvang e Bjørn Dæhlie.

Le buone performance gli valgono la convocazione per i Giochi olimpici di Albertville, dove conclude decimo la 10 km a tecnica classica e settimo la successiva 15 km a tecnica libera. Essendo dotato di un ottimo spunto veloce, gli viene affidata la frazione conclusiva della staffetta. È il 18 febbraio 1992 e la favoritissima Norvegia sta dando un’incredibile dimostrazione di forza, dominando in lungo e in largo. La Svezia, campionessa olimpica in carica, è in grossa difficoltà. Dopo le buone frazioni di Giuseppe Puliè e Marco Albarello, Giorgio Vanzetta disputa una prova superlativa e cede il testimone in seconda piazza. Una situazione da far tremare i polsi, soprattutto considerando che Fauner è all’esordio assoluto in una prova a squadre di un grande appuntamento e l’Italia non è mai salita sul podio di una staffetta olimpica. Insomma, la responsabilità è enorme. Eppure il sappadino impressiona per maturità e gestione dello sforzo. Nonostante i ventitre anni, corre da veterano consumato, reggendo la sfuriata di Alexei Prokurorov per poi lasciarlo sul posto e veleggiare in assoluta tranquillità verso la medaglia d’argento. Un risultato storico, proprio perché consente al movimento azzurro di fregiarsi della primo podio a Cinque cerchi in una 4×10 km. La performance di Fauner non passa inosservata. Infatti viene bollato come “l’uomo del futuro” dello sci di fondo italiano. D’altronde è estremamente talentuoso. Quel genere di talento che si può permettere di vivere di rendita, tanto che il direttore sportivo della squadra azzurra Sandro Vanoi non gli lesina qualche tiratina d’orecchie a mezzo stampa, facendo capire che il buon Sissio non si allena quanto lui vorrebbe.

Però, avendo talento da vendere, la sua competitività continua a migliorare e, pur senza grandi exploit, è costantemente tra i migliori. Il 24 febbraio 1993, ai Mondiali di Falun, da’ nuovamente saggio delle sue qualità. Dopo aver chiuso al sesto posto la 10 km in alternato, si lancia all’attacco nella gundersen di 15 km a skating. Mentre Dæhlie e Smirnov battagliano per l’oro (è la famosa gara decisa al fotofinish in favore del norvegese), l’azzurro e Ulvang si sfidano per il bronzo. Se la volata per il successo è incertissima, quella per il terzo posto non ha storia, poiché il sappadino lascia letteralmente sul posto lo scandinavo. Passano due giorni e davanti a 100.000 spettatori l’Italia ribadisce il suo ruolo di seconda forza in staffetta, accalappiando l’argento dietro all’imprendibile Norvegia. Fauner si conferma insuperabile nel finale, tirando una rasoiata che annichilisce Mikhail Botvinov (all’epoca ancora russo). La stagione si chiude con un altro podio e il sesto posto in classifica generale.

L’inverno successivo segue la falsariga di quello precedente. Un podio prima dei Giochi olimpici di Lillehammer, dove nell’amata gundersen di 15 km a skating Sissio acciuffa un altro bronzo. Alla sua maniera, rimontando dall’ottava posizione di partenza e lasciando sul posto gli avversari nel finale. Passano tre giorni e si disputa la staffetta. È il fatidico 22 febbraio 1994, per quella che in Norvegia è vissuta come la madre di tutte le gare. Si parla di 150.000 spettatori assiepati lungo il tracciato e non manca neppure Re Harald. I padroni di casa sono più che favoriti. Negli ultimi tre anni non hanno avuto rivali nelle 4×10 km con medaglie in palio e durante quei Giochi olimpici hanno vinto ogni gara disputata (Thomas Alsgaard ha trionfato nella 30 km, mentre Dæhlie ha fatto doppietta 10km-15 km). Insomma l’Italia è una rivale da non sottovalutare, ma i norge appaiono destinati a primeggiare. Al lancio il finlandese Mika Myllylä mette il gruppo a ferro e fuoco, ma il norvegese Sture Sivertsen tiene le sue code. L’Italia limita i danni, poiché il sempreverde Maurilio De Zolt cede solo una decina di secondi. In seconda frazione Ulvang, che non è in perfette condizioni fisiche, non fa la differenza. Così Kirvesniemi rimane assieme a lui e soprattutto Albarello riesce ad agganciare il duo di testa. La parte in alternato è terminata e l’Italia è lì con Norvegia e Finlandia. Nel 1993, a Falun, i norge avevano vinto proprio staccando tutti in tecnica classica, mentre a skating non erano apparsi trascendentali. Vuoi vedere che… Ma no, è impossibile, hanno ancora in canna i loro uomini migliori. Invece, in terza frazione, la situazione non cambia. Vanzetta rimane con Alsgaard e Räsänen, quindi tutto si deciderà nell’ultimo segmento. I norvegesi adesso hanno paura. Non tanto gli spettatori, bensì gli addetti ai lavori. Sanno bene che bisogna staccare Fauner prima dell’ultimo chilometro, altrimenti si rischia una clamorosa disfatta. Dæhlie è conscio di dover arrivare da solo e si mette a tirare come un demonio. Jari Isometsä non regge il ritmo dello scandinavo e tira i remi in barca, badando a difendere il bronzo. Sissio invece resiste, resta incollato a Bjørn, che non sa più cosa inventarsi. Dæhlie, il più grande di tutti, è disperato perché quell’ombra azzurra lo segue dovunque. Niente, non riesce a seminarlo. Sarà volata. Sul rettilineo finale migliaia di persone urlano “Heja Norge” per spingere il loro beniamino, ma il Fauner di quegli anni allo sprint è imbattibile. Infatti non c’è storia e su Lillehammer cala il silenzio. L’Italia firma una delle più grandi sorprese nella storia delle discipline nordiche, vincendo la medaglia d’oro olimpica in casa di chi lo sci di fondo l’ha inventato. È la consacrazione di un gruppo di cui il sappadino è ormai diventato la punta di diamante.

Nel 1994-95 Sissio vive una stagione estremamente consistente, tanto da concludere la classifica generale al terzo posto. Come sempre, il meglio lo da’ quando ci sono le medaglie in palio. Ai Mondiali di Thunder Bay è argento nella “solita” 15 km gundersen, portandosi a casa la piazza d’onore grazie all’ennesimo sprint vincente, stavolta ai danni del finlandese Isometsä. È il nono podio di una carriera in cui, incredibilmente, manca ancora la vittoria. In staffetta arriva il bronzo, arpionato manco a dirlo con una volata micidiale, in questo caso contro lo svedese Anders Bergström che, conoscendo bene le caratteristiche dell’avversario, tenta addirittura di buttarlo fuori pista a un chilometro dal traguardo! Il sappadino scampa “l’agguato” e brucia lo scandinavo sul traguardo. Possibile che un talento così non sia ancora riuscito a imporsi a livello individuale? Prima o poi l’acuto dovrà arrivare anche per lui. La data del destino non sembra però poter certo essere il 19 marzo 1995, giorno in cui si disputa la 50 km a skating. Qui si parte a intervalli e si gareggia contro il cronometro, non ci sono volate dove “Il Cipollini dello sci di fondo”, come Sissio è stato ribattezzato dalla stampa, può far valere le sue qualità. Infatti tutti si chiedono se Vladimir Smirnov sarà in grado di completare il “Grande Slam”, vincendo anche l’atto conclusivo dopo aver trionfato nelle tre gare precedenti, oppure se Dæhlie avrà un guizzo e riuscirà a imporsi quantomeno nell’ultima gara. I favoriti sono loro due, il resto del mondo sembra poter lottare al massimo per il bronzo. Il norvegese parte fortissimo e arriva addirittura a raggiungere il kazako, partito due minuti prima di lui. Fauner, che ha un pettorale più basso e non ha punti di riferimento, sta intanto proseguendo del suo ritmo. La neve quel giorno è velocissima e i tempi sono irreali per tutti. Che sia un bel segnale per chi la velocità ce l’ha nel sangue? A dieci chilometri dal traguardo Dæhlie è in netto vantaggio, ma ha speso l’inverosimile. Smirnov, che ha invece scelto una tattica attendista, a questo punto lo attacca e lo lascia sul posto. Però ha aspettato troppo prima di fare la sua mossa. Inizia a guadagnare pesantemente sullo scandinavo, che è in grossa difficoltà, ma davanti a loro c’è qualcuno che prosegue imperterrito nella sua gara precisa e regolare. È Fauner, che visto il crollo del norvegese e il distacco accumulato dal kazako, si trova ad avere un margine mostruoso! È medaglia d’oro nella 50 km a cronometro! Un successo del tutto inatteso, che certifica definitivamente il talento e la grandezza del sappadino.

La seconda e la terza vittoria della carriera arrivano nel gennaio 1997, sulle piste olimpiche di Nagano. Sono gare con tante assenze, ma di sicuro le affermazioni fanno ben sperare in vista delle Olimpiadi dell’anno successivo e dei Mondiali di Trondheim. Invece la manifestazione iridata è deludente, a causa di una condizione fisica precaria, e Sissio deve accontentarsi del bronzo in staffetta. Poi, a settembre, Fauner è vittima di un tremendo incidente in mountain bike, a causa del quale si frantuma una clavicola. C’è il serio rischio di vedere compromessa la campagna a Cinque cerchi, ma la condizione atletica giunge giusto in tempo. In Giappone arriva l’inaspettato bronzo nella 30 km a tecnica classica, disputata in mezzo a una bufera. Con un finale poderoso, il sappadino si issa sino al gradino più basso del podio, conquistando anche una medaglia olimpica individuale. Il 19 febbraio 1998 è il giorno della staffetta, in cui la Norvegia vuole a tutti i costi vendicarsi della disfatta di Lillehammer. I norge hanno il dente avvelenato e soprattutto hanno imparato la lezione, spostando Dæhlie in terza frazione e piazzando il loro sprinter più forte, Alsgaard, in ultima. La gara segue un copione ben diverso rispetto a quattro anni prima, perché al lancio il tedesco Anders Schlütter fa il diavolo a quattro, mettendo in difficoltà il norvegese Sivertsen. Quello della Germania è un fuoco di paglia e in seconda frazione emerge Fulvio Valbusa, che prende il comando. Dopo la parte in alternato l’Italia è clamorosamente in testa con 13” di vantaggio sulla Norvegia, che però ha rosicchiato qualcosa. A questo punto Dæhlie raggiunge Fabio Maj, il quale però una volta agganciato dallo scandinavo non lo molla. I due prendono il largo sul resto del gruppo. Quindi, come a Lillehammer, Italia e Norvegia sono assieme all’inizio dell’ultimo segmento. Tuttavia stavolta si gareggia a parti invertite e Sissio lo sa. In volata sarà anche fortissimo, ma Alsgaard è più giovane e più potente. Allo sprint sarebbe un bruttissimo cliente. L’azzurro prova in tutti i modi a staccare il norvegese, ingaggiando un duello rusticano in cui non manca anche qualche colpo proibito. Però i due non si separano e in volata ingaggiano una sfida al fulmicotone che, alfine, vede prevalere proprio Alsgaard. La Norvegia si riprende rabbiosamente il trono perduto, ma l’Italia è comunque d’argento e abdica con onore. Giunto all’età di trent’anni, per il sappadino inizia la proverbiale parabola discendente. Il suo è comunque un declino dignitosissimo, durante il quale arriva il bronzo nella staffetta iridata di Ramsau 1999, nonché qualche podio nelle sprint, le quali iniziano a fare la loro comparsa in Coppa del Mondo (e chissà quali connotati avrebbe avuto la sua carriera se fosse nato qualche anno dopo).

Insomma, Silvio Fauner è stato uno dei fondisti italiani più forti di sempre. L’oro nella 50 km dei Mondiali di Thunder Bay 1995 e quello nella staffetta di Lillehammer 1994 sono sufficienti a consacrarlo come una delle figure più influenti nella storia delle discipline nordiche azzurre. Curiosamente il suo grandissimo talento è, per certi versi, arrivato troppo presto. Infatti, alla luce dell’evoluzione avuta dalla disciplina, un atleta con le sue caratteristiche avrebbe potuto essere devastante con i format di gara dello sci di fondo del XXI secolo.

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Foto: LaPresse

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