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Rugby, Mondiali 2019: il Sudafrica si laurea campione con la mischia e la tattica

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Quanto è lontano il 2016 del Sudafrica oggi. Gli Springboks hanno domato l’Inghilterra e si sono laureati per la terza volta campioni del mondo e lo hanno fatto solo tre anni dopo il clamoroso ko subito a Firenze con l’Italia e una classifica mondiale che li vedeva solo all’ottavo posto. In due anni, però, Rassie Erasmus ha ribaltato una squadra perdente e l’ha trasformata in una macchina cinica e implacabile. E anche oggi a Yokohama i sudafricani hanno vinto usando quelle che tradizionalmente sono le loro armi migliori.

Non spettacolari come altre Nazionali, gli Springboks sono però abrasivi, duri, giocano un rugby fisico che piano piano sgretola gli avversari. Come avevamo detto alla vigilia, una delle chiavi tattiche della partita sarebbe stata la mischia. E il Sudafrica ha confermato di avere un pack micidiale, ha messo in difficoltà l’Inghilterra fin da subito e obbligato i ragazzi di Eddie Jones a troppi falli proprio nelle fasi statiche. L’infortunio, dopo tre minuti, di Kyle Sinckler ha poi peggiorato le cose. Dan Cole ha dovuto fare gli straordinari, restando in campo tutta la partita e subendo la superiorità fisica dei piloni avversari.

L’Inghilterra con gli All Blacks aveva vinto la sfida nei punti d’incontro, ma oggi a Yokohama non è stato così. Maro Itoje, ma soprattutto Sam Underhill e Tom Curry non hanno saputo fare la differenza come una settimana fa e la terza linea del Sudafrica, guidata da un magnifico Duane Vermeulen e da un perfetto Pieter-Steph du Toit, ha rallentato in maniera costante il gioco degli inglesi. E questo ha portato anche al terzo tema del giorno. La sfida in mediana è finita con un netto 2-0 per il Sudafrica. Faf de Klerk si è confermato il miglior numero 9 di questo Mondiale e Handré Pollard ha messo in scena un gioco tattico perfetto, surclassando in maniera totale la coppia formata da Ben Youngs e George Ford, irriconoscibili oggi.

Tanta l’indisciplina in campo, con alla fine un totale di 18 falli fischiati dal non impeccabile Jerome Garces, e punteggio che così a lungo è stato mosso solo dalla piazzola. Eppure, dopo un’ora di gioco abrasiva, poco spettacolare e senza grandi occasioni di meta da una parte e dall’altra, anche i trequarti sudafricani hanno dimostrato il proprio valore. Prima un ottimo Makazole Mapimpi ha dato il via con un calcetto all’azione che lo ha portato a segnare la prima meta (ma forti dubbi sul passaggio ricevuto proprio dall’ala prima del calcio), poi nel finale si è confermato uno dei giocatori più forti al mondo Cheslin Kolbe segnando una meta spettacolare che ha, di fatto, chiuso il match.

Insomma, come detto, il Sudafrica ha meritato il titolo per quello che si è visto in campo oggi nella finale. Ma ancor di più lo ha meritato lo staff tecnico, da Rassie Erasmus a Jacques Nienaber (decisiva la difesa sudafricana a Yokohama), passando per Matthew Proudfoot, che in due anni ha saputo rivoluzionare una squadra perdente. Un lavoro in primo luogo mentale, ma anche politico (l’addio all’esclusione dei giocatori impegnati all’estero) e tattico che ha portato il Sudafrica prima a vincere il Rugby Championship quest’estate e poi a conquistare la Coppa del Mondo oggi.

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Foto: Lapresse

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