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Ciclismo

Firenze 2013: l’Italia bella ma sconfitta

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Nello sport, la sconfitta è un evento molto probabile, più probabile della vittoria (soprattutto nel ciclismo, quando gareggiano in 200 e vince solo uno). Tuttavia, c’è modo e modo di perdere, e questo spesso fa la differenza nelle reazioni dei tifosi e degli appassionati.

Si può perdere come ha fatto la Spagna ieri, o come fece l’Italia di Lisbona 2001:  con un suicidio tattico incredibile, perdendo gara e onore, disseminando la propria strada di dubbi, sospetti e incertezze. Si può perdere come hanno fatto gli azzurri ieri: gettando il cuore oltre l’ostacolo, provandoci intensamente e combattendo fino alla fine. Parliamoci chiaro, l’Italia di ieri non era la favorita numero uno, pur partendo comunque in prima fila. L’Italia sapeva di dover affrontare una corsa generosa, dispendiosa, ben per questo esaltante: tagliare fuori Sagan, evitare la tradizionale sparata di Cancellara nel finale, isolare Gilbert, controllarsi reciprocamente con la Spagna. Ed è per questo che all’ingresso in una Firenze davvero splendida nonostante la pioggia Vanotti e Paolini hanno iniziato a frustare il gruppo, dall’alto della loro immensa esperienza e dell’inarrivabile spirito di sacrificio.

Ed è per questo che a turno ci hanno provato in tutti i modi, da Visconti a Scarponi sino ad un Nibali per il quale è difficile, difficilissimo trovare aggettivi adeguati: ha domato le contingenze avverse, ovvero la caduta che sembrava averlo tagliato fuori del tutto, con uno spirito indomabile, con una doppia azione (il recupero e poi lo scatto) che lo hanno fatto entrare, una volta di più, nel cuore dei tifosi. Tra gli azzurri, sostanzialmente, è mancato solo Pozzato, tradito da un percorso rivelatosi più duro rispetto alle previsioni della vigilia: ma la brutta giornata del vicentino non inficia la valutazione di un’Italia coraggiosa, sconfitta ma bella, giù dal podio ma degna di applausi. Anche perché i ragazzi di Bettini hanno dovuto fare quasi tutto da soli: ben pochi, infatti, hanno dato l’idea di voler fare “corsa dura”, forse perché  si vivacchia fino all’ultimo giro e poi si prova l’attacco, forse perché pioveva troppo…forse perché, come diceva Alfredo Binda, “ghe voren i garun” (ci vogliono le gambe), condizione che solo i migliori sanno soddisfare in una prova così impegnativa. E i garùn, gli azzurri, hanno dimostrato di averceli. Perdere fa male, sì, soprattutto se si gioca in casa propria: ma stavolta si può andare a testa alta.

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

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