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Pallavolo

Perugia detta la legge: il Mondiale per Club è l’ennesimo trionfo del sistema Lorenzetti

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Perugia Volley
Perugia/Fivb

La vittoria della Sir Sicoma Monini Perugia al Mondiale per Club maschile 2025 non è il frutto di un picco estemporaneo, ma la conseguenza logica di un percorso tecnico coerente, sviluppato nell’arco di due stagioni e culminato in una finale gestita con lucidità superiore contro un avversario estremamente organizzato come l’Osaka Bluteon. Il dato più rilevante non è il risultato secco (con dominio nei primi due set e grande rimonta nel terzo) dell’atto conclusivo, ma la qualità con cui Perugia ha saputo imporre il proprio sistema, adattandolo progressivamente alle caratteristiche degli avversari affrontati.

Fin dalla fase a gironi, la squadra di Angelo Lorenzetti ha mostrato una precisa identità: servizio aggressivo ma ragionato, muro come primo fondamentale difensivo e una gestione del cambio palla che non dipende mai da un solo terminale. Contro avversari di livello inferiore, come Swehly, l’obiettivo è stato chiaramente quello di entrare in ritmo senza snaturare le gerarchie, mantenendo alti i volumi di gioco dei titolari. Scelte apparentemente conservative che, a posteriori, hanno avuto un peso decisivo nella tenuta fisica e mentale nelle partite più complesse.

Il vero snodo tecnico del torneo è arrivato nella prima sfida con Osaka. In quel match Perugia ha evidenziato alcune fragilità (che però sono costate molto più care ad altre squadre che hanno affrontato i nipponici, come il Sada Cruzeiro, ex campione del mondo, e i polacchi della Zawiercie) nella lettura del gioco rapido giapponese, soprattutto nella gestione delle traiettorie di Miguel Ángel López e negli attacchi dell’opposto mancino Nishida. Tuttavia, proprio quella partita ha fornito allo staff umbro le informazioni decisive per costruire la finale: riduzione delle opzioni di Brizard, aumento del carico di muro sugli uomini di palla alta e maggiore pressione sul primo tempo avversario per togliere velocità alla distribuzione.

La finale è stata, sotto questo aspetto, un capolavoro di preparazione. Il muro perugino non ha cercato solo la chiusura diretta, ma ha lavorato costantemente per sporcare le traiettorie, consentendo alla difesa di leggere in anticipo le soluzioni più frequenti. La conseguenza è stata un progressivo isolamento degli attaccanti nipponici, con Tomita di fatto estromesso dal flusso offensivo (e sostituito nel secondo set da un discontinuo Kai) e Nishida costretto a forzare.

In questo contesto, il ruolo di Simone Giannelli è stato centrale non tanto per l’estetica della distribuzione, quanto per la gestione delle priorità. Giannelli ha compreso rapidamente quando accelerare e quando rallentare, utilizzando con intelligenza il gioco al centro per mettere in difficoltà il muro giapponese e liberare spazio sulle ali. La prestazione dei centrali Agustín Loser e Sebastian Solé va letta in questa chiave: non solo punti diretti, ma costante attrazione del muro e grande efficacia nel contenimento delle prime linee avversarie.

L’opposto Wassim Ben Tara ha rappresentato la valvola di sicurezza dell’intero sistema. Anche nei momenti di difficoltà, Perugia ha potuto contare su un attaccante capace di risolvere palloni complessi, soprattutto in situazioni di palla alta e seconda linea. Non è stato un torneo di percentuali clamorose, ma di affidabilità strutturale, elemento fondamentale nelle partite da titolo.

Decisivo anche il contributo delle bande, con Kamil Semeniuk e Oleh Plotnytskyi capaci di alternare fasi di contenimento a fiammate risolutive. In particolare, Semeniuk si è confermato un attaccante “da momento”, in grado di colpire con precisione chirurgica nei frangenti più delicati, mentre Plotnytskyi ha offerto un contributo crescente dopo una fase iniziale più opaca.

Dal punto di vista collettivo, ciò che distingue Perugia dalle altre squadre del torneo è la continuità del sistema muro-difesa. Non si tratta solo di centimetri o atletismo, ma di lettura condivisa, sincronizzazione e fiducia reciproca. Anche quando Osaka è riuscita a rientrare nei set, Perugia non ha mai perso la propria struttura, continuando a giocare la stessa pallavolo senza strappi emotivi. Questo Mondiale per Club certifica quindi un dato chiaro: Perugia è oggi la squadra più completa del panorama internazionale, capace di vincere con stili diversi e contro filosofie di gioco opposte.

La terza affermazione in quattro anni non è un’eccezione, ma la conferma di un modello tecnico vincente. Essere campione d’Europa e campione del mondo contemporaneamente non è solo un titolo onorifico, ma la fotografia di una superiorità costruita con metodo, visione e coerenza. Dove rischiano di più gli umbri? In Italia dove il livello è altissimo e non ci sono certezze anche per le big. La sfida, ora, è proprio quella: tornare a vincere anche dentro i confini italici.