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Sci di fondo, l’Italia maschile è viva e lotta per le medaglie olimpiche a squadre. Si lavora verso Milano Cortina 2026
L’organismo dello sci di fondo maschile italiano è vivo. Il cuore pulsa, il diaframma si muove e l’encefalogramma non è piatto. Tanto basta per classificare come “vivente” un essere. Poi, è chiaro, c’è vita e vita. Può essere complessa e meravigliosa, come quella di un corpo umano; può essere semplice e banale, come quella di un batterio. Però, pur sempre di vita si tratta, permeata dall’affascinante mistero della sua stessa essenza.
Dove si colloca, in questa metafora, il fondo italiano? Più vicino all’essere umano o al batterio? Si guarda al dominio Eukaryota, non a quello Prokaryota. “Di Federico Pellegrino ce n’è uno” e siamo tutti d’accordo, però non si può certo proseguire il motto affermando che “tutti gli altri sian nessuno”. Non sarebbe solo irrispettoso nei confronti del resto del movimento, ma anche scorretto e falso.
Ovviamente, lo spettatore medio, quello che guarda ai risultati e non sa andare oltre al numerino indicante la posizione occupata al termine di una gara non sarà d’accordo. Starà già storcendo il naso. Faccia tutte le smorfie che vuole. Non ci si cura della sua opinione e, soprattutto, ci si domanda perché il suo giudizio dovrebbe essere rilevante. Non lo è, infatti.
C’è chi si mette gli sci di fondo ai piedi, sputa bava e talvolta sangue per conseguire il miglior risultato possibile. Da’ tutto ciò che ha in corpo, svenandosi pur di onorare la tuta della nazionale italiana che si è guadagnato. L’analista da divano può dire di fare altrettanto, oppure è troppo impegnato a digerire il pranzo domenicale per alzare qualcosa in più del ditino con il quale emette la sua irrilevante sentenza?
A chi pratica sci di fondo in termini agonistici, mettendo sulla neve il 100% delle proprie risorse biochimiche, va il massimo rispetto. For Those About to Rock, we Salute You cantavano gli AC/DC. Di italiani che lo fanno, ce ne sono parecchi. Giovani (da Davide Graz a Elia Barp, passando per Martino Carollo, giusto per citare i nomi più in vista) e meno giovani (dal purtroppo incompiuto Francesco De Fabiani a chi, come Michael Hellweger, Paolo Ventura e Simone Daprà lavora silenziosamente).
Tre saranno i prescelti per accompagnare Federico Pellegrino nella staffetta olimpica, uno quello che si appariglierà a lui nella team sprint di Milano Cortina 2026. Il movimento azzurro può uscire dai Giochi con due medaglie al collo. Due medaglie che non possono essere conquistate da un singolo, perché una forma di vita complessa – com’è lo sci di fondo italiano – è formata da molte componenti.
Vedremo se il battito del cuore degli appassionati veri – ben diversi dal tifosotto della domenica, poi sempre pronto a salire sul carro dei vincitori – accelererà tanto quanto accadde a Torino 2006, quando Fulvio Valbusa, Giorgio Di Centa, Pietro Piller Cottrer e Cristian Zorzi scalarono il trono d’Olimpia.
Battere la Norvegia, in Val di Fiemme a febbraio, sarà quasi impossibile. Però, affiancarsi a essa non è utopia. In tal senso bisognerà faticare, lavorare, sputare bava e sangue. Sapendo che questi fluidi biologici, una volta toccata la neve, possono generare una reazione chimica capace di tramutarsi in metallo.
