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Jannik Sinner chiude il cerchio: con Wimbledon l’Italia ha vinto almeno una volta tutti gli Slam!

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Jannik Sinner
Sinner / LaPresse

Jannik Sinner, 13 luglio 2025. Un giorno storico per il tennis maschile italiano, che ha ora il primo campione di Wimbledon dell’intera sua storia. E dire che, fino a soltanto un anno e mezzo fa, tra gli uomini ci si aggrappava a tre precise memorie, di cui si parlerà tra poco. Il tutto, ad ogni modo, senza mai dimenticare che il capitolo Slam l’hanno riaperto le donne, in quei meravigliosi anni che non sono solo 2010 e 2015 e non portano solo i nomi di Francesca Schiavone e Flavia Pennetta, ma che rappresentano anche un’era durata dieci anni nel suo massimo splendore, dal 2006 al 2016 a volerla prendere idealmente.

Si diceva dei ricordi in campo maschile. Ricordi che portavano il nome di due uomini, Nicola Pietrangeli nel 1959 e 1960 e Adriano Panatta nel 1976. L’uno, quando il tennis ancora non era Open, tra quelli che non erano passati (e lui andò vicinissimo a farlo, testimone telefonico del no al salto Gianni Clerici), era semplicemente il numero 1 sulla terra rossa. E lo dimostrò battendo in un’occasione il sudafricano Ian Vermaak in quattro set e in un’altra il cileno Luis Ayala in cinque. Ci avrebbe provato, Nicola, altre due volte, nel 1961 e 1964, ma l’avrebbe fermato Manolo Santana, uno degli uomini che più hanno ispirato il tennis spagnolo nel futuro.

L’altro, nel 1976, disputò un Roland Garros che giungeva da quel che era stata la vittoria agli Internazionali d’Italia di Roma. Dove all’ombra del Colosseo cominciò con 11 match point annullati a Kim Warwick e finì con Guillermo Vilas, sotto la Tour Eiffel partì con un match point (miracoloso) annullato a Pavel Hutka, eliminò Bjorn Borg ai quarti (ed è l’unico che abbia mai battuto lo svedese, due volte per di più, a Parigi) e poi, in semifinale e finale, superò Eddie Dibbs e Harold Solomon, due che sul rosso sapevano come giocare. E contro Solomon ebbe la lucidità di chiudere in quattro perché le energie, nel quinto, non le avrebbe avute più.

Poi è giunto l’autentico tornado Sinner. E giocò un torneo di un livello pazzesco agli Australian Open 2024: batté prima di tutto van de Zandschulp, de Jong e Baez, ma il vero cammino da urlo lo tirò fuori eliminando in successione Khachanov, Rublev e, in una notte italiana clamorosa, Novak Djokovic. Domenica 28 gennaio 2024 segnò l’inizio. 3-6 3-6 6-4 6-4 6-3, rimontando da 1-5 sotto nel secondo parziale, Daniil Medvedev che non poté nulla. Si ripeté agli US Open, andando a “violare” anche quel tabù. In una situazione ancora più difficile, con la vicenda del clostebol che aveva appena preso il via (almeno nel pubblico dominio), mostrò degli autentici nervi di ferro e, arrivato alle fasi finali, tolse di mezzo Paul, Medvedev, Draper (in una partita da sopravvivenza per entrambi, viste le condizioni meteorologiche) e infine Taylor Fritz, l’idolo di casa cresciuto tantissimo negli ultimi tre anni.

E quest’anno è arrivato il bis a Melbourne, ancora sostanzialmente dominando fin dalla risoluzione positiva dell’ottavo contro Holger Rune. Battuto il danese, sei game a de Minaur, dieci a Shelton e un 6-3 7-6(4) 6-3 di immensa superiorità contro Alexander Zverev, il tedesco allora 2 del mondo, che tutte le ha finora provate per vincere uno Slam ancora senza successo. E ora, con il primo Wimbledon della storia d’Italia, è il tricolore che ha ufficialmente messo piede almeno una volta dalla porta principale in ognuno dei quattro tornei maggiori. Testimoni: il Centre Court, Carlos Alcaraz, chiunque abbia potuto osservare un altro pezzo di storia.