Tennis
Sinner al TG1: “Mi guardavano in modo diverso, ho pensato di mollare. Pellegrini? Non mi va di rispondere”

Ampiamente anticipata dall’annuncio di ieri, è stata trasmessa in coda al TG1 una lunga intervista a Jannik Sinner, effettuata da Gian Marco Chiocci e svoltasi in quel di Montecarlo, dove il numero 1 del mondo vive e si allena (come, del resto, un buon quinto della top 100 ATP). Di seguito il contenuto delle ampie dichiarazioni rese dall’altoatesino, prossimo al ritorno in campo agli Internazionali d’Italia.
Come sta Jannik? “Abbastanza bene. Sicuramente l’anno scorso è stato molto stressante, siamo riusciti a ottenere dei risultati incredibili e anche quest’anno partiti molto bene, poi è successo quello che è successo. All’inizio è stato un po’ strano, fuori dal campo sono successe delle cose che non mi aspettavo, ma piano piano sto rientrando nel ritmo di allenamenti veri, con un obiettivo davanti. Mi sto allenando con giocatori forti, anche per vedere dove sono, su che livello sto giocando. A volte va molto bene, a volte c’è un calo e non so perché. Sicuramente sono molto contento di rientrare in campo in partita, Roma è un torneo molto speciale per me. Entro con una mentalità molto diversa. Mi manca la competizione. In allenamento non hai la tensione che hai in partita. Sicuramente sono molto contento che questa fase sia terminata, non vedo l’ora di ripartire“.
Sul momento della positività: “In quel momento non ho capito quello che è successo, mi hanno dovuto rispiegare tutto. Da quel momento lì ho accettato, più di accettare non puoi fare. E’ andata com’è andata, abbiamo saputo subito da dove sono venuti quei piccoli milligrammi, ma comunque ho fatto così fatica ad accettare questi tre mesi, perché nella mia testa ho detto ‘non ho fatto niente, perché devo pagare il prezzo?’. Poi il mio avvocato mi ha parlato in modo molto concreto di quello che poteva succedere nel peggiore dei casi. Questo è successo un anno fa, e dunque abbiamo vissuto un anno intero di difficoltà“.
Il senso delle cose si è sentito in campo: “Non mi sentivo in campo come uno si dovrebbe sentire. Andiamo in campo per divertirci quando giochiamo una partita bella, quel divertimento è andato via pian piano. La fortuna che ho avuto è stata di avere persone intorno a me che mi hanno aiutato molto, mi hanno creduto, sono stati molto ad aiutarmi in quei momenti lì: il mio team, le persone vicine, la mia famiglia. Ho costruito una bolla in cui nessun altro entrava. Questo mi ha dato la voglia di prepararmi bene per i tornei del Grande Slam. L’anno scorso ho giocato bene gli Slam, ho avuto un piccolo infortunio prima del Roland Garros, dove però ho giocato bene. Tutto è andato bene anche se non mi sono sentito una persona felice in campo“.
Stoppate, però, idee di rivedere le regole antidoping (anche se ci ha già pensato la WADA per il futuro): “E’ difficile rispondere. Ognuno ha gli stessi protocolli e lo stesso percorso da fare quando è positivo. Nessuno ha dei trattamenti diversi, anche se nel mio caso ho ricevuto delle critiche per questo, ma non sono stato trattato in modo diverso perché ho dovuto fare tante udienze e mi hanno controllato più degli altri. La WADA ha rifatto il processo. Quando hai preso una contaminazione com’è successo a me, perché può succedere, se i dottori lo controllano e dicono che non da più forza, lucidità, è un’altra cosa. Il protocollo è quello lì“.
Sul tema dell’obiettivo della vetta globale: “Non lo vedevo realistico il numero 1. Ho visto quand’ero giovane che non mi allenavo quasi mai, e andavo ai tornei con i ragazzi che si allenavano tutti i giorni, e con loro giocavo alla pari. Lì ho capito che avevo talento, che sapevo giocare a tennis. La scelta fra sci e tennis l’ho fatta perché mi piaceva di più il tennis, uno sport molto più naturale, dove vedi la personalità di una persona. Ho avuto i genitori che mi hanno lasciato molto tranquillo nella scelta. E poi sono cresciuto molto velocemente come persona“.
Per diventare numero 1 cosa serve? “Sacrifici, momenti di difficoltà, fortuna, di non farsi male, di avere le persone giuste al momento giusto, tantissime cose. Il talento è importante se lo combini col lavoro, lì fai il botto“.
Jannik è però umano in campo: “Di scatti di rabbia ne ho anche io e ne ho tanti! Giocare a tennis però è un po’ un gioco di poker. Quando vedi che l’altro sta facendo fatica ti da forza. Quando magari sono stanco o nervoso, a volte non sento la partita, il mio team deve fare dei trucchetti per farmi sentire la partita. A volte sono nervoso perché voglio far vedere a me stesso che sono capace e non ci riesco. Ci sono momenti in cui non va tutto alla perfezione. Ma alla fine è un gioco, e a tennis ci devi giocare“.
Sono state tante le dichiarazioni negative sul suo caso, dal mondo del tennis fino all’esterno (Pellegrini e non solo): “Non ho neanche voglia di rispondere. Ognuno è libero di dire quello che vuole, ognuno può giudicare, ma va bene. Per me è importante che so io quello che è successo, quello che ho passato. Ed era molto difficile. Non lo auguro a nessuno di passare da innocente una roba del genere, perché non era facile. Ognuno può dire quello che vuole, va bene così“.
Il tennis non è la sola cosa presente nella vita di Sinner: “Abbiamo anche una vita fuori dal campo. Come tutti. Abbiamo il nostro lavoro, che vogliamo fare per bene, ma a volte voi vedete solo il giocatore in campo. Ed è giusto così: siete tifosi, volete fare il tifo e tutto. Ma anche la vita fuori dal campo a volte non va bene. Finora credo di aver gestito bene tutte le situazioni che ho avuto. Nella mia testa giocare a tennis è importante, ma là fuori c’è una parte che è la vita privata, familiare, anche quella con il team, perché senza di loro non sarei nessuno“.
Non stila una classifica su Federer, Nadal e Djokovic, affidandosi ai ricordi dei tre che hanno portato il tennis a un altro livello: “Ho avuto la fortuna di conoscerne due meglio e uno, Roger, meno bene. Quando sono arrivato io a giocare gli ATP non l’ho visto spesso, perché lui si è infortunato e poco dopo ha smesso. Posso giudicare meglio Rafa, mi piace molto, grande combattente, si relaziona con le persone in modo molto bello ed equilibrato. Se guardiamo i numeri il migliore è Nole. Ma dobbiamo essere contenti di aver vissuto in questi momenti qui, perché quello che hanno fatto negli ultimi 15-20 anni è pazzesco“.
Punti che restano nella mente: “Ricordo ancora il match point con Alcaraz agli US Open, quando ho sbagliato il rovescio dopo il servizio. Il più bello? Il dritto lungolinea del primo Slam contro Medvedev. Ce ne sono tanti, a volte sbagliamo, ma ci ricordiamo più i punti non fatti“.
L’emozione più grande: “Quando ho saputo che sarei diventato numero 1 al mondo, sensazione incredibile. Ed è il risultato di un anno intero, lo fai risultato dopo risultato e arrivi su. Quello per me è stato un momento incredibile. Altro momento pazzesco: quando entri sul centrale a Roma, o a Torino. Non sembra neanche di stare su un campo da tennis, ma in uno stadio di calcio. Pazzesco, una sensazione difficile da raccontare“.
Scegliere tra Wimbledon e il Roland Garros: “Prima di Wimbledon c’è sempre il Roland Garros, quindi si punta il torneo prima. Per arrivare a quel punto diciamo ‘siamo ok con il livello?’. Servono partite prima“.
Lo stato dell’arte del tennis italiano, che Sinner conosce bene nelle sue sfaccettature passate e presenti: “Abbiamo avuto un cambiamento incredibile a livello maschile con Fognini, al femminile è diverso perché c’erano già campionesse Slam. Poi Berrettini è stato incredibile sull’erba, con finale a Wimbledon. Musetti sta arrivando nei 10, Arnaldi risultati incredibili, Sonego è sempre lì, Darderi. Abbiamo una quantità che da tifoso italiano è bellissimo. Ne perdi uno, ne hai altri 5 e negli Slam siamo 10. 10 su 100 è il 10% di italiani in uno Slam, ti diverti molto di più“.
Inevitabile il tema Darren Cahill: “Lui l’anno scorso mi ha detto ‘guarda, faccio l’ultimo anno con te, poi smetto, questa cosa la devi accettare’. Scelta sua. Abbiamo fatto tanti risultati insieme, ma ogni cosa bella ha una fine, soprattutto nel lavoro. Va bene così, ma in un anno possono cambiare tante cose. Vediamo“.
Ci sono dei gesti scaramantici? “Passo sopra le righe col piede destro, a volte faccio due passi fuori dalla riga da una parte, cose mie. Ma mi fanno star tranquillo, cose normali“.
Recentissima è l’ultima novità con il nome di Jannik inciso: “La fondazione per me è sempre stata importante. Il focus è sui bambini, per me sono molto importanti e sono il nostro futuro. Spero e speriamo di aiutarli“.
Colpo preferito: “Rovescio“. Colpo più solido: “Rovescio“. Colpo da migliorare: “Servizio“. Colpo che invidi a qualcuno dei colleghi: “Il tocco di Alcaraz, di Musetti, sentono molto bene la palla“.
Una (nuova) risposta alle proverbiali, infinite (e, va detto, stucchevoli) parole circa la permanenza a Montecarlo: “Onestamente sto molto bene qua. Mi sento a casa, le persone che vivono qua sanno chi sei, ma sono molto discrete. 3-4 giorni fa parlavo con l’allenatore, se non fossi qua non saprei neppure dove andare. Abbiamo i campi, terra e cemento, palestre incredibili, clima ottimo e tanti giocatori con cui allenarsi. Perfetto vivere qua“.
Il legame con i motori è fortissimo: “Il mio sogno era di diventare un pilota di F1. Non avevo mai avuto soldi, era anche inutile iniziare. Però era il mio sogno. Calciatore? Giocavo, ma non era un sogno, di quelli che dici ‘voglio arrivare lì’. Quella delle macchine è proprio una passione. Milan? Non voglio gufare, vediamo“.
C’è stato mai un momento in cui hai pensato basta, lascio, mollo tutto? “Sì. Prima degli Australian Open ho avuto un momento non felicissimo, perché c’era ancora il caso e a fine anno ho detto ‘ok, è passato quest’anno, vediamo l’anno prossimo com’è la situazione’. In Australia non mi sentivo a mio agio nella locker room, dove mangiavo, alcuni mi guardavano in modo diverso e lì mi son detto che era pesante vivere il tennis. Ero sempre uno che scherzava negli spogliatoi, lì non mi sentivo a mio agio, era diverso. Magari dopo l’Australia, pensavo, un po’ di tempo libero e staccavo un pochettino e faceva bene. Non volevo che andasse così, ma forse in quel momento lì mi ha fatto bene. Tre mesi son troppi, ma una ragione per cui non ho giocato Rotterdam è quella lì, è giusto far riposare il corpo, ma era anche una ragione per cui ho bisogno di un po’ di tempo diverso, con amici, quel che è. Mettere in priorità le persone a cui voglio veramente bene“.
E suona la carica per Roma: “Ormai non manca tanto. Ci vediamo a Roma, speriamo di essere abbastanza preparati per essere lì. Sono contento di fare il mio ritorno a Roma, non c’è posto più bello. Non ci sarò solo io, ma ci sarà tutto il gruppo italiano con giocatori incredibili. Aspettiamo un bel tifo“.