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Ciclismo

Parigi-Roubaix, nel 2021 l’ultimo successo epico dell’Italia con Sonny Colbrelli cosparso di fango

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Sonny Colbrelli
Colbrelli / LaPresse

È tempo di Parigi-Roubaix. Una delle corse più emozionanti dell’intero panorama ciclistico internazionale, l’Inferno del Nord. In cui non conta soltanto lo stato di forma dei protagonisti, il percorso, ma ogni minimo dettaglio. Dietro ogni curva, dietro ogni pietra può esserci un’insidia che può tagliarti le gambe o lanciarti verso la vittoria, verso l’ormai iconico velodromo. E tre anni fa il ciclismo italiano ha registrato una delle affermazioni più eclatanti della sua storia, quella di Sonny Colbrelli.

Fu un’edizione particolare, la numero 118. A partire dal periodo in cui si svolse, il 3 ottobre, a causa delle restrizioni della pandemia di Covid-19 che, ai tempi, faceva ancora tanta paura. Correre la Roubaix in ottobre significava esporsi alle possibili intemperie dell’autunno. E di fatti il percorso transalpino venne condizionato proprio dal maltempo, con i corridori che, chilometro dopo chilometro, divennero delle vere e proprie maschere di fango. Ma ci ritorneremo.

Sonny arrivava alla Classica Monumento con il vento in poppa: da giugno in poi aveva collezionato successi al Giro del Delfinato e al Benelux Tour, oltre alla maglia di campione italiano ed europeo il mese prima, battendo allo sprint nientemeno che Remco Evenepoel. Una vera e propria breakout season per l’allora trentunenne di Desenzano del Garda, che poteva essere inserito tra i papabili outsider della corsa. Ma darlo come favorito certo per interrompere un digiuno alla Roubaix che per l’Italia durava ventidue anni, dal 1999 firmato Andrea Tafi, quello no.

Anzi, per lungo tempo gli spettatori tricolore erano tutti per Gianni Moscon, ai tempi in maglia Ineos-Grenadiers. Entrato nella fuga di giornata, accelera nel settore 12 lasciandosi alle spalle i compagni di giornata. Mentre dietro inizia la rumba, dove Colbrelli rimane sempre attento ai tentativi del solito Mathieu van der Poel, ormai una costante del grande ciclismo, Gianni arriva a Templeuve con 1’10” di vantaggio sui migliori. Prima che la sfortuna, uno di quei dettagli fortuiti che non puoi curare, non ci mette lo zampino.

Prima una foratura a Cysoing, poi una successiva caduta a causa delle ruote troppo gonfie della nuova bicicletta (!) gli fanno bruciare tutto il vantaggio sul gruppetto di Colbrelli, van der Poel e Boivin, su cui c’è anche un Florian Vermeersch rimasto a ruota dei grandi nonostante fosse anche lui in fuga dal mattino. Moscon viene ripreso al Carrefour de l’Arbre da uno scatto di VdP, Colbrelli e Vermeersch reagiscono: sono loro tre a giocarsi la vittoria.

Il terzetto arriva insieme al velodromo, pare tutto apparecchiato per la volata con Vermeersch che prova ad anticiparlo nemmeno troppo convinto. Colbrelli prima lo riprende, poi si mette a ruota di van der Poel, con i tre che si sfidano tra sguardi da far west per un intero giro. Di nuovo è Vermeersch a rompere gli indugi, ma il campione europeo è attento, lo supera con una gran volata da seduto, non avendo quasi le forze di alzarsi sui pedali, e può esultare a braccia alzate e bocca spalancata. Una bellissima maschera di fango, che prima alza la bicicletta al cielo come una coppa e poi si lascia andare ad un pianto quasi disperato. Forse consapevole che, con quel successo, ha scritto una pagina indelebile del ciclismo italiano e mondiale, in una Parigi-Roubaix dal sapore eroico. 

Un peccato che, alla fine, quello sia stato l’ultimo successo di Sonny Colbrelli. Che pochi mesi dopo, alla Volta a Catalunya, vide la sua carriera interrompersi per un attacco di cuore subito dopo il traguardo, costatogli fortunatamente solo l’attività agonistica. Ma rimangono le immagini di quel trionfo, di lui che alza con un sorriso smagliante la pietra data a tutti i vincitori della Roubaix. Ma soprattutto, quell’urlo di fango con cui celebrò un successo inaspettato, ma sognato dopo una carriera in cui in pochi credevano potesse diventare un uomo da grandissimi appuntamenti. E Sonny ha dimostrato, poco prima del traguardo, di poterlo essere per davvero.