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Sci Alpino

Sci alpino, 30 anni fa Ulrike Maier moriva in pista. L’anniversario incentiva a riflettere sul presente

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Ulrike MAier

Oggi è il 29 gennaio 2024. Sono passati esattamente 30 anni dal giorno in cui la sciatrice austriaca Ulrike Maier perse tragicamente la vita durante una gara di Coppa del Mondo sulla Kandahar di Garmisch-Partenkirchen. L’incidente fu terribile, perché trasmesso in diretta televisiva e perché non riguardava certo una sprovveduta.

All’epoca ventiseienne, “Ulli” aveva avuto una figlia in giovanissima età, della quale era già incinta quando vinse l’oro iridato 1989 in Super-G. Tornata dalla maternità, riuscì a confermarsi Campionessa del mondo nel 1991, artigliando successivamente cinque vittorie nel massimo circuito. Mancavano pochi giorni ai Giochi olimpici di Lillehammer 1994, dove la salisburghese avrebbe cercato la definitiva consacrazione.

Il destino volle diversamente. Quel sabato, Garmisch-Partenkirchen era sommersa dalla neve fresca caduta dal cielo durante la notte. Proprio quella fu doppiamente fatale alla sfortunata Ulrike. Vittima di una spigolata a oltre 100 km/h, causata verosimilmente dalle gibbosità generate dalla nevicata notturna, si ruppe letteralmente l’osso del collo andando a sbattere con la testa contro un cumulo di neve a bordo pista.

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Inizialmente la causa del decesso venne attribuita all’impatto contro un paletto che reggeva una fotocellula. Difatti il compagno (e promesso sposo) Hubert Schweighofer decise di fare causa agli organizzatori della gara. La successiva inchiesta stabilì la reale dinamica dei fatti e si raggiunse un accordo fra tutte le parti. La vicenda legale fu secondaria. A colpire profondamente furono le agghiaccianti immagini della popolare sciatrice, ormai esanime, scivolare per decine di metri prima di venire inutilmente soccorsa.

Al di là del ricordo in occasione del trentesimo anniversario di uno degli incidenti più drammatici nella storia della Coppa del Mondo, il tema può essere d’attualità proprio perché si sta vivendo una stagione 2023-24 piena di sinistri.

Fortunatamente nessuno fatale, ma sappiamo bene come atleti e atlete del calibro di Petra Vlhova, Marco Schwarz, Alexis Pinturault, Aleksander Aamodt Kilde, Corinne Suter siano tutti incappati in gravi infortuni traumatici. Veniamo poi dallo spavento patito da Mikaela Shiffrin venerdì a Cortina d’Ampezzo.

I decessi possono essere figli della casualità, ma quando ogni settimana (per non dire ogni giorno di gara) ci si ritrova ad attendere notizie da un ospedale, evidentemente la situazione è sfuggita di mano. Agatha Christie insegnava che “tre indizi fanno una prova”. Figuriamoci una pletora di indizi!

Lo sci alpino avrà sempre una dose intrinseca di rischio, ma questo non deve essere eccessivo. Si parla di sport, non di roulette russa. Il trentennale del giorno in cui la vita di “Ulli” venne brutalmente troncata in pista, deve essere un incentivo a effettuare una profonda riflessione durante l’imminente primavera.

Che direzione ha preso la disciplina? Cosa si può fare per ritornare ad avere il controllo sul pericolo, riportandolo all’interno dei confini dell’accettabile? Ai padroni del vapore, quasi tutti connazionali di Ulrike Maier, il compito di ragionarci sopra.

Foto: Wald1siedel, licenza Common Creative

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