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Basket
Basket: Gigi Datome, d’Italia e non solo. Una carriera da ricordare davvero
9 settembre 2023. Nell’Italia cestistica, questo sarà ricordato come il giorno di un’ultima volta. Quella di Gigi Datome, un giocatore che ha inevitabilmente segnato tutta la storia recente della pallacanestro tricolore. E non lo ha fatto soltanto per quanto fatto in campo, ma anche per quello che ha spesso lasciato trasparire: intelligenza, carisma e una capacità di guardare anche oltre i problemi del suo sport. Un tratto, questo, che per buonissima misura condivide con Nicolò Melli, non a caso tra quelli con cui meglio si è trovato nel suo percorso agonistico.
Che sia nato a Montebelluna, nel trevigiano, è solo un caso: Datome è, e sempre sarà, sardo. Orgogliosamente sardo, di Olbia, quell’Olbia dove da giovane sognava, fino a quando non finì nelle giovanili di Siena. Le differenze di trattamento si videro e ci furono: Charlie Recalcati, che insisteva sul fatto di sviluppare i settori giovanili e, dalle vette prima di Stoccolma e poi di Atene, cercava di lanciare un ragazzo dalle doti fisiche spettacolari per un ragazzo come lui. Con Simone Pianigiani inizialmente fu tutto poco roseo, perché fu sotto la sua guida che a Siena durò solo un’altra mezza stagione, dopodiché la sua meta, per due annate, divenne Scafati.
Non ha mai fatto mistero, non dalle pagine del suo libro “Gioco come sono” e nemmeno in altri lidi, del fatto che a lanciarlo siano stati spesso allenatori stranieri. Quelli che, a Roma, hanno avuto maggiore presa su di lui sono stati Jasmin Repesa e Saso Filipovski. In particolare, si sentì letteralmente lanciato dall’ultimo, che ne sfruttò appieno il grande potenziale in un’annata difficile e chiusa senza playoff, dopo che, in maniera quantomeno curiosa, fu mandato via Matteo Boniciolli che stava iniziando a ingranare dopo un inizio non semplice.
Alla fine dei conti, tutto tornò sempre a Marco Calvani, perché è tramite la sua persona che Datome ebbe una bella spinta, una crescita importante come giocatore a Scafati, e poi esplose definitivamente a Roma, sia nella stagione 2011-2012 che, soprattutto, in quella rimasta celeberrima nella Capitale, quella 2012-2013. Tanto fu bello il rapporto con gli allenatori in Italia, tanto fu pessimo quello con quelli NBA, con un mondo che per tutta la permanenza ai Detroit Pistons sembrava stregato, salvo poi vedere un cambiamento di rotta deciso con Brad Stevens in quei pochi mesi ai Boston Celtics che lo hanno rigenerato come giocatore. E hanno creato le premesse per le rivincite al Fenerbahce, negli anni di Zelimir Obradovic, come figura di punta della squadra.
Andato via Obradovic, andò via pure Datome. Gli ultimi anni a Milano li ha vissuti non più come giocatore di primo piano, ma come figura d’esperienza, capace di togliere più di una volta le castagne dal fuoco e di crearsi lo spazio giusto nelle partite decisive, quelle che col tempo sono diventate sempre più sue, così come i momenti topici. E sarà proprio a Milano che i nuovi orizzonti lo porteranno, almeno per i primi anni.
Ma il capitolo più bello, per larga misura, resta quello con la Nazionale. Faceva già parte del gruppo che comprendeva anche Danilo Gallinari nelle giovanili, giocò i primi Europei nel 2007 a seguito (e ne è cosciente anche lui) di una sequela di infortuni impressionante di molti altri. Del gruppo azzurro entrò davvero a far parte qualche anno dopo. Ironia della sorte, sotto Pianigiani. Con il quale, nell’estate 2012 delle qualificazioni europee per il 2013, i rapporti migliorarono, se non altro anche perché era scattata finalmente la fiducia dell’uno verso l’altro. Furono i momenti felici, quelli in cui Gigi giocava in azzurro anche con gli infortuni (uno dei quali ha avuto degli effetti anche sull’approdo in NBA). Guai fisici che lo esclusero, a cammino in corso, nel 2015, e che tornarono a presentarsi nel 2019, quando non fu al meglio ai Mondiali, e poi nel 2021. Fu questa l’occasione in cui dovette ingoiare davvero tante, troppe amarezze. Dall’accordo con lo staff medico azzurro per saltare il Preolimpico (era uscito con fin troppi problemi da una stagione pesantissima con Milano) a quello che gli piovve addosso da molti, vertici FIP compresi (incluso quello massimo), fu per lui dura cercare di far capire che i suoi problemi erano reali. Alla fine, comunque, pacificazione e ultimo viaggio tra Europei e Mondiali.
Il tutto, fino alla scena madre: l’ultimo cambio chiamato da Pozzecco, l’abbraccio a metà campo, e Luka Doncic che applaude uno che ha affrontato in più occasioni e del quale conosce bene il valore. Da campione a campione.
Credit: Ciamillo