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Tennis, un 2022 sotto una cattiva stella per Sinner e Berrettini. Ma quando sono stati bene…

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Poteva essere il 2022 delle grandi soddisfazioni, è rimasto per misura sostanziale un anno incompiuto. Matteo Berrettini e Jannik Sinner hanno pagato un prezzo rilevante per i moltissimi problemi toccati loro in sorte, tra Covid-19, infortuni e, se vogliamo, anche una decisione fondamentalmente sciagurata dell’ATP. Ma andiamo con ordine.

Partiamo da Berrettini, che ha iniziato la stagione col piede sull’acceleratore in virtù della semifinale agli Australian Open, dove solo un Rafael Nadal inatteso è riuscito a impedirgli di giocare la seconda finale Slam in pochi mesi. Poco dopo, però, sono cominciati i guai, o meglio sono continuati, perché ad Acapulco, contro l’americano Tommy Paul, i problemi agli addominali si sono ripresentati. Ritiro. In più, altre questioni più strettamente personali non gli hanno consentito di avere la mente libera a Indian Wells. Poi, prima di Miami, il mignolo della mano destra si è ribellato: operazione effettuata il 29 marzo e stagione sulla terra saltata.

Una volta tornato sull’erba, il romano ha subito dimostrato di poter essere padrone di questa superficie che, lo scorso anno, gli aveva dato la grande gioia della finale di Wimbledon. Vittoria a Stoccarda, successo (di nuovo) al Queen’s e, in generale, la nomea di secondo favorito per i Championships, dietro al solo Djokovic. A fermarlo, però, ci ha pensato un vecchio “amico”, che non è l’oscurità cantata da Simon e Garfunkel in una delle loro canzoni più celebri, ma il Covid-19. A quel punto, giocata la finale a Gstaad, l’obiettivo è cambiato: States. Dopo i 1000 non andati per il verso giusto, sono arrivati i quarti agli US Open. In certa misura non semplici da raggiungere, ma pur sempre quarti: a quel punto, però, Casper Ruud gli ha dato il secondo dispiacere in poche settimane, con il norvegese che non ha poi fallito l’approdo in finale.

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A quel punto, il ritorno in Europa: la Laver Cup e poi Firenze e Napoli. Gli ultimi tornei, in fin dei conti, perché tra l’esperienza londinese, l’inattesa sconfitta con lo spagnolo Roberto Carballes Baena e il passaggio partenopeo si è ripresentato un guaio al piede sinistro. Finale di stagione compromesso, almeno fino alla Coppa Davis, in cui ha tentato in extremis, e in circostanze di estrema particolarità, di rendersi utile per l’approdo in finale, invano. E, del resto, si è visto che non era ancora un Berrettini così come lo conosciamo bene.

Occupiamoci ora di Sinner. Partito veramente bene, con i quarti di finale agli Australian Open persi in virtù del miglior Stefanos Tsitsipas dell’intero 2022, ha preso una piega decisamente inattesa a causa del divorzio con Riccardo Piatti, cui è succeduto Simone Vagnozzi con l’ingresso in un secondo momento di Darren Cahill. Ci si è poi messo di mezzo il Covid-19, che ha fermato l’altoatesino fino a Dubai. Di lì in avanti malessere a Indian Wells e forfait prima di scendere in campo con l’australiano Nick Kyrgios (ottavi), vesciche contro l’argentino Francisco Cerundolo a Miami (quarti). Finita? No, perché al Foro Italico di Roma è l’anca, nel tie-break del primo set contro Tsitsipas (quarti) a muoversi innaturalmente. Il recupero per il Roland Garros arriva, anche con tanto di ottavi di finale e set spaventoso con il russo Andrey Rublev, dopo il quale arriva però il ritiro. Il ginocchio non va.

A quel punto, i quarti a Wimbledon con due set di vantaggio su Novak Djokovic si portano dietro un retrogusto amaro, perché in questo caso di problemi per Sinner nemmeno l’ombra. Il problema reale, però, è un altro: l’ATP i punti non li assegna perché Wimbledon esclude russi e bielorussi, dovendo rispettare una più elevata legge nazionale. Buona parte di quel che accade dopo, al di là degli infortuni, è naturale conseguenza di tale fatto. In effetti i guai fisici lasciano stare Sinner abbastanza a lungo, tanto da portarlo alla vittoria ad Umago (su Carlos Alcaraz, bis dopo l’ottavo di Wimbledon) e poi al quarto di finale con match point a favore contro lo spagnolo agli US Open. Vero è che, prima del successo croato, un problema alla caviglia aveva suggerito di saltare Amburgo.

Il peggio è arrivato a Sofia, suo torneo “eletto”, viste le due vittorie precedenti. Una scivolata, una caviglia che si gira parzialmente e sono altri giorni di stop e tornei saltati (con particolare dolore per Firenze, nello specifico). Infine, a Parigi-Bercy, il problema all’indice della mano destra inizialmente apparso non così grave, ma foriero poi di una decisione difficile da digerire, eppure obbligata: la rinuncia alla Davis.

Con un simile filotto di infortuni, spesso si fa fatica a rimanere ai piani alti. Pur perdendo alcune posizioni rispetto al loro status di top ten, invece, sia Sinner che Berrettini sono rimasti abbastanza vicini: 15° uno, 16° l’altro. Soprattutto, hanno comunque dato prova di capacità di giocare una buonissima stagione. Jannik ha raggiunto tre quarti e un ottavo Slam e, molto spesso, nei migliori otto dei tornei ci è arrivato, facendo comunque capire di avere grande costanza ad alti livelli. Gli basta solo un po’ di fortuna in più. Matteo, invece, con due Slam saltati ha colto la semifinale in Australia e i quarti a New York oltre a due vittorie e due finali ATP. Il tutto per ribadire che, quando i due di rivali ne hanno pochissimi. L‘augurio è che, per loro, il 2023 possa essere un anno lontano dai guai: ne gioverebbe il movimento italiano, ma soprattutto il tennis, che ritroverebbe a tempo pieno due figure di grande importanza allo stato attuale delle cose.

Foto: LaPresse