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Sci di fondo, per l’Italia suona campana a morto. Fisi, sveglia! Ormai siamo i peggiori persino sulle Alpi!

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La stagione 2020-21 dello sci di fondo è definitivamente andata in archivio con le competizioni dell’Engadina. Si è trattato di un appuntamento estemporaneo a causa dei format di gara creativi e della posta in palio pressoché nulla. Una tappa senza pathos, che ha segnato la conclusione di un inverno complicato, durante il quale ha tenuto sovente banco la polemica, vuoi per la rinuncia a diverse tappe di Coppa del Mondo da parte dei Paesi nordici, vuoi per scontri e contatti in pista tra gli atleti. In tutto questo, come esce l’Italia dalla sofferta annata agonistica appena finita?

In campo femminile l’Italia chiude la stagione con 10 ingressi nelle prime quindici posizioni, sei dei quali firmati da Lucia Scardoni, che peraltro ha anche ottenuto il miglior piazzamento azzurro in assoluto, ovvero il 6° posto nella sprint di Dresda. Cerchiamo di contestualizzare tutto questo andando ad analizzare i risultati di ogni gara individuale dell’inverno, in maniera tale da avere un’idea dei rapporti di forza. Quanti Paesi hanno fatto meglio? Ebbene, in termini di piazzamenti nella top-fifteen l’Italia (arrivata come detto a quota 10) si colloca alle spalle di Svezia (88), Russia (70), Norvegia (62), Stati Uniti (55), Germania (26), Finlandia (24), Slovenia (18), Svizzera (17), Repubblica Ceca (14) e Austria (12).

Pertanto, si contano la bellezza di dieci nazioni con un bilancio indiscutibilmente più ricco di quello azzurro, anche perché ognuno di essi può vantare almeno un piazzamento tra le prime sei posizioni, cosa che invece non si può dire dell’Italia. Attenzione però, perché a uno sguardo più attento la situazione è ancor più grama. La Francia, che ha rinunciato a schierare una staffetta a Oberstdorf, vanta comunque un podio e quattro top-ten grazie a Delphine Claudel. Come se non bastasse, la Lettonia ha in carniere gli stessi piazzamenti nella top-ten rispetto alle azzurre! Infatti Patricija Eiduka ha arpionato un ottavo e un decimo posto.

Già, avete letto bene, la ventunenne Patricija Eiduka basta e avanza per eguagliare l’intero movimento italiano, che mette a referto un totale di undici atlete inserite nelle squadre nazionali, seguite da sedici membri dello staff tecnico tra allenatori, aiuto allenatori, tecnici dei materiali, fisioterapisti, masso fisioterapisti e osteopati, come facilmente verificabile da chiunque tramite il sito ufficiale della Fisi. Una poderosa armata che, in termini di risultati, fa pari e patta con uno scricciolo di 160 centimetri proveniente da Koknese, ridente borgo di circa 2.800 abitanti situato a 100 km da Riga. Forte solo di una fionda e di un sasso raccolto dalle rive del fiume Daugava, la piccola Patricija ha fermato il “Golia” azzurro.

Signori, piaccia o non piaccia questa è la realtà dei fatti. A seconda di come la si guarda, in campo femminile ci sono tra le dieci e le dodici nazioni ad aver fatto meglio dell’Italia durante l’annata 2020-21. Chi scrive non si permette di giudicare, ma si limita a porre due domande al Presidente della Fisi Flavio Roda. Questi risultati Le vanno bene? È soddisfatto delle performance del movimento che rappresenta in giro per il mondo la Federazione che Lei presiede? I quesiti, ovviamente, possono essere estesi a tutti i membri del Consiglio Federale, nelle persone del vicepresidente vicario Angelo Dalpez; del vicepresidente Pietro Marocco; dei consiglieri laici Carmelo Ghilardi, Stefano Longo, Enzo Sima, Dante Berthod e Alfons Thoma; dei consiglieri atleti Gabriella Paruzzi e Mauro Mottini; nonché del consigliere tecnico Carlo Dal Pozzo. A voi tutti ci si permette di chiedere se i risultati del settore femminile italiano possono essere definiti soddisfacenti.

Passi non poter competere ad armi pari con i Paesi nordici, gli Stati Uniti d’America e la Russia. Però a questo punto è doveroso riflettere sul fatto che le fondiste azzurre siano oramai diventate l’ultima ruota del carro persino sull’arco alpino. E questo, francamente, appare difficilmente giustificabile con dinamiche relative al numero di praticanti o a presunti investimenti inferiori rispetto a chi detta legge. Perché ormai non sono più solo norvegesi, svedesi e compagnia cantante a mangiare sistematicamente in testa alle italiane, bensì anche le vicine di casa provenienti da ogni valle d’oltralpe.

Per fortuna, però, ci sono anche gli uomini! Ormai Pasqua si avvicina e sarebbe quantomeno cortese da parte dell’Italia inviare un presente a chi, in Norvegia, a fine novembre ha deciso di disertare gran parte delle sprint di Coppa del Mondo. In questo modo Federico Pellegrino ha sfruttato magnificamente la ghiotta occasione di mettere le mani sulla classifica di specialità, approfittando al meglio anche di un calendario diventato oltremodo favorevole nel momento in cui tutte le prove veloci successive a Ulricehamn sono state cancellate. Infatti, anziché avere i punti equamente divisi tra tecnica classica e tecnica libera, il mancato recupero di qualsiasi sprint ha fatto sì che più del 60% del punteggio venisse determinato dallo skating, passo prediletto dal trentenne valdostano. Dunque si prende la Coppa e la si porta a casa, con buona pace di Alexander Bolshunov e Gleb Retiykh, peraltro rimasti a secco di medaglie pure ai Mondiali.

Infatti la prova veloce iridata, una delle poche con tutti i migliori del mondo al via, è stata dominata in lungo e in largo dai norvegesi, che hanno conquistato a mani basse la medaglia d’oro, quella d’argento e quella di bronzo. Pellegrino, invece, si è fermato in semifinale, proprio come accaduto in tutte le sprint con la Norvegia presente in formazione tipo. Pazienza, non può andare sempre bene, e comunque non bisogna dimenticare come si gareggiasse in alternato. Dunque non vi sono mai stati scontri diretti a skating, poiché i norsk hanno disertato tutte le sprint disputate in questa tecnica durante l’inverno. Quindi fra i maschi l’Italia può legittimamente vantarsi di essere uno dei tre Paesi ad aver vinto qualcosa di pesante nell’annata 2020-21, unica nazione a spezzare in qualche modo il dualismo Norvegia-Russia, che per il resto ha stritolato ogni avversaria, accaparrandosi Sfere di cristallo e ori iridati.

Certo, a parte Pellegrino non si è visto granché. Magari qualche lampo di Francesco De Fabiani in gare senza norvegesi o in format che non assegnano medaglie a Olimpiadi e Mondiali, dove peraltro l’alpino di GressoneySaint-Jean è clamorosamente venuto meno. Tuttavia non si può certo pretendere di vincere sempre e comunque, soprattutto se ci si presenta un po’ tutti leggermente appannati all’appuntamento clou della stagione, quando invece la crème de la crème è tirata a lucido. Dietro ai due valdostani si aprono praterie sconfinate, tanto che per trovare il terzo azzurro nella classifica generale di Coppa del Mondo si deve scendere addirittura alla sessantatreesima posizione, detenuta da Giandomenico Salvadori.

Però, come si suole dire, “la squadra è giovane e si farà”, almeno secondo gli standard del versante meridionale delle Alpi, evidentemente diversi da quelli del resto del mondo. D’altronde, cosa ci si può aspettare da un sistema in cui Davide Graz viene schierato per la prima volta in una gara su 15 km quando è ormai prossimo al diciottesimo compleanno, mentre i coetanei Gus Schumacher e William Poromaa fanno il loro esordio sulla stessa distanza rispettivamente a 15 anni e mezzo oppure a 16 anni appena compiuti? Con il risultato che, dopo averli sfidati ad armi pari in età giovanile, ora l’azzurro arranca e deve accontentarsi di raccogliere qualche episodico piazzamento in zona punti, mentre l’americano e lo svedese, lanciatissimi in ambito internazionale, possono già vantare ingressi nella top-ten in Coppa del Mondo o ai Mondiali.

Norvegia e Francia cominciano ad affidarsi con forza ai classe 1998 come Harald Østberg Amundsen e Hugo Lapalus, entrambi tornati a casa dai Mondiali con una medaglia al collo. Invece dalle nostre parti si convocano per Oberstdorf trentenni d’assalto che non battono chiodo da un quadriennio, oppure hanno sempre faticato a marcare punti in Coppa del Mondo, mentre si lascia a casa il campione nazionale della sprint, che per inciso ai Mondiali junior del 2016 saliva sul podio dietro a un certo Johannes Høsflot Klæbo e davanti a un certo Denis Spitsov. Tutto normale? Davvero il sistema dello sci di fondo azzurro è gestito in maniera illuminata ed è produttivo? Davvero i giovani vengono fatti crescere nel modo migliore e il panorama da apocalisse nucleare alle spalle delle due punte non deve preoccupare? Davvero non dobbiamo temere di diventare una nazione comprimaria nella geografia del fondo mondiale?

Oh, che importa. Perdonate certi quesiti petulanti da parte chi di scrive. Dopotutto Pellegrino ha vinto la Coppa sprint in contumacia dei norvegesi e con il 60% delle gare disputate nella tecnica a lui più adatta. Quindi, parafrasando Nunzio Filogamo, nel fondo italiano tutto va ben, madama la marchesa. Però l’attende forse una sorpresa che dir non posso fare a men. C’erano i ladri nel castel, la sua parure di zaffiri hanno presa, insieme a tutti i suoi gioiel. Fuggendo un ladro rovesciò una candela sul comò, fece del mobile un falò, così il castello s’incendiò, le fiamme il vento propagò ed alle stalle l’appiccò e fu così che dopo un po’ il suo cavallo le asfissiò. Ma a parte ciò, madama la marchesa, va tutto ben, va tutto ben.

FOTO: La Presse

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