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Rugby, Leonardo Ghiraldini: “Smettere? Non so, intanto studio management. E dei ct azzurri vi dico che…”

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Leonardo Ghiraldini, esperto tallonatore dell’Italrugby, racconta in un’intervista esclusiva a OA Sport come sta vivendo questo periodo di stop dello sport a causa dell’emergenza sanitaria. Parlando di presente, futuro, dei tanti ct che ha avuto e di una partita che non ha mai potuto giocare.

Leonardo, prima domanda ormai scontata in questo periodo. Come sono andati questi mesi di quarantena, cosa hai fatto? Sei riuscito ad allenarti?

“Bene dai, compatibilmente al momento. Ero a Bordeaux quando c’è stato il primo blocco e poi mi sono spostato a Tolosa, dove era rimasta la mia famiglia, quando si è chiusa la stagione. Noi avevamo un programma d’allenamento da seguire con il club in previsione di una possibile ripresa della stagione. All’inizio si pensava di poter riprendere con i playoff a fine giugno, quindi avevamo un programma specifico da seguire per quell’obiettivo. Anche perché qui le limitazioni erano minori, quindi potevo andare a correre. Usavo anche il GPS. Poi, con il passare del tempo, sono saltate le fasi finali e anche l’allenamento specifico è andato un po’ a scemare, anche se mi sono sempre allenato. Per il resto ho studiato per un MBA di management dello sport che sto seguendo e ho sfruttato al massimo questo momento. E per godermi la famiglia”.

Dopo la Coppa del Mondo hai raggiunto un accordo con il Bordeaux, ma anche a causa dell’emergenza sanitaria non sei riuscito a scendere in campo. Per l’anno prossimo quali sono i tuoi progetti?

“Con Bordeaux il contratto è finito ed è un periodo importante di decisioni. La mia priorità era scendere in campo, ma purtroppo per una cosa o per l’altra è più di un anno che non gioco. Volevo fare il Mondiale, rischiando tanto da un punto di vista fisico e rinunciando molto a livello contrattuale, poi è arrivata l’offerta di Bordeaux, ma in entrambi i casi non ho potuto giocare. Adesso sto valutando il da farsi, anche in base alle esigenze della mia famiglia. La situazione attuale del rugby mondiale non è delle migliori visto il momento, quindi c’è da considerare anche quello. Poi io sono fermo da 14/15 mesi, quindi non è facile. Mi sarebbe piaciuto finire in un club per poter competere ancora ad alto livello e raggiungere obiettivi importanti, proprio in quella direzione era andata la scelta di Bordeaux”.

A 35 anni lo sguardo va anche oltre al campo da gioco. Tu sei laureato in economia. Che progetti hai per quando appenderai gli scarpini al chiodo?

“Al momento ci sono talmente tante cose che si devono quadrare, il rugby in campo si sta allontanando. Io sono in Francia e sto valutando le opzioni qui. Finito di giocare mi piacerebbe rimanere nel mondo dello sport, ancor di più in quello del rugby. Ho una laurea in economia, una materia che non mi pesava troppo studiare, perché mi è sempre piaciuto l’aspetto di management di gestione aziendale, quindi sto ampliando un po’ la conoscenza in questo campo. Dove mi vedo? Mi piacerebbe fare anche dei corsi allenatori, che al di là di tutto è un’esperienza unica, importante che ti aiuta ad aprire la mente, le conoscenze. Sì, mi piacerebbe restare in questo mondo”.

Tu hai esordito in nazionale nel 2006 e hai superato i 100 caps in azzurro. Che Italia era quella che hai conosciuto 14 anni fa e che Italia è quella di oggi?

“Un’Italia sicuramente diversa, per tante ragioni. Intanto c’era un campionato italiano di un livello diverso da quello attuale, un campionato che portava anche tanti giocatori di alto livello stranieri. Adesso la situazione del movimento è cambiata, anche con la Celtic League. Ero entrato in un gruppo molto forte, come persone e come giocatori, un gruppo solido fatto da persone di un certo spessore. Dove, tra l’altro, non c’era granché come strutture alle spalle rispetto ad adesso. Il rugby in 10/15 anni ha avuto un’evoluzione impressionante. Io a 22 anni non avevo certo tutte le possibili attenzioni, staff e strutture che ci sono adesso per un ragazzo. Questo dappertutto, ma soprattutto in Italia la differenza è notevole. Il sistema attuale permette ai giocatori più giovani di essere inseriti in un contesto professionale al 100%. Senza dubbio ci sono tante cose che vanno ancora migliorate, il momento come risultati è difficile, sono il primo ad ammetterlo, ma allo stesso tempo va fatta un’analisi molto ampia sulla situazione, perché di passi avanti ne sono stati fatti. Pensiamo a Treviso che può puntare al titolo del Pro14”.

Tu hai esordito con Berbizier, hai vissuto l’epoca di Mallett, quella di Brunel e l’ultima di O’Shea. Ora in azzurro c’è Franco Smith, che tu conosci bene dagli anni di Treviso. Un aggettivo per ognuno di loro?

“Berbizier… molto serio e rigoroso.
Mallett… carismatico e molto passionale.
Brunel… direi grande osservatore, stava molto tempo in silenzio per vedere.
O’Shea… grande organizzatore molto attento a una visione d’insieme del movimento. Conor buon manager oltre che allenatore da campo, ottimo nella gestione del gruppo, anche attorno alla squadra.
Franco è sicuramente molto preparato, l’ho sempre visto un po’ anticipatore e innovatore del sistema di gioco, a Treviso preparavamo le partite in un modo diverso rispetto ad altri tecnici, molto sicuro di sé su determinate idee. Il rugby per lui è tanto e vuole dare”.

Cosa può dare Franco a quest’Italia in più, o di diverso, rispetto a chi l’ha preceduto? In particolare facendo un paragone con Conor, visto che parliamo dello stesso gruppo bene o male.

“Può dare di sicuro una nuova visione di gioco, sicuramente darà una sua impronta molto decisa, perché la sua caratteristica è di far credere al massimo ai suoi giocatori in se stessi. Li sprona a dare il massimo in ogni allenamento, anche per comprendere ed assimilare il piano di gioco. È molto attento ai dettagli, non trascura nulla. Nonostante non abbia mai giocato in mischia ha sempre avuto una grande attenzione nel gioco degli avanti, anche negli aspetti specifici come la rimessa o la driving maul. Credo possa dare un imprinting diverso come stile di gioco. Credo che, soprattutto, non sia una persona che può fare la differenza da solo, ma sono convinto che sia fondamentale il ruolo di ognuno nel movimento per ottenere i risultati. Si deve remare tutti assieme. I giocatori in primis, me ne sono sempre reso conto”.

Un’ultima domanda, e scusa se metto il dito nella piaga. Se ti va, vuoi raccontare come hai vissuto l’annullamento del match con gli All Blacks in Giappone e la possibilità di chiudere in campo la tua bellissima carriera?

“Guarda, diciamo che il mio obiettivo come ti dicevo era tornare a giocare al Mondiale. E allo stesso tempo tornare per la partita con il Sudafrica, che era quella decisiva. Per me non era importante solo giocare, o tornare a un livello per entrare in rosa, ma essere a un livello per aiutare la squadra a raggiungere un traguardo mai raggiunto. O almeno sapere di aver dato tutto come squadra e personalmente, senza lasciare alcun tipo di rammarico sul campo. Purtroppo non è stato centrato e a quel punto l’obiettivo era diventata la Nuova Zelanda, dove comunque sulla carta la possibilità di qualificarci c’era.
Eh sì, sai, il momento in cui è stata annunciata la decisione eravamo in campo ad allenarci e quando Conor l’ha detto mi sono passati davanti alla testa gli ultimi 6 mesi di sacrifici, di decisioni prese, i momenti passati a distanza da casa per la riabilitazione. Tutti svaniti così. Non è stato un momento facile, sicuramente.
Poi con il passare del tempo si ridimensiona tutto. Ero comunque molto soddisfatto del percorso fatto, quello che io potevo fare per esserci l’avevo fatto. Al Mondiale ci sono andato, ero pronto, anche se riprendere a giocare dopo un infortunio così importante dopo così poco tempo era dura. Mi è rimasta la soddisfazione di averci provato, con il rammarico di come è andato il Mondiale a livello di gruppo non esserci riusciti a giocarci al meglio la partita decisiva con il Sudafrica. Per un motivo o per l’altro abbiamo perso contro la squadra più forte al mondo, ma il come ci si è arrivati che ha lasciato l’amaro in bocca”.

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duccio.fumero@oasport.it

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Foto: Luigi Mariani – LPS

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