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Biathlon, Nathalie Santer: “Ai miei tempi ero quasi sconosciuta in Italia. Passai al Belgio perché mi consideravano vecchia”

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E’ stata la prima vera pioniera del biathlon femminile italiano, con tre successi in Coppa del mondo raccolti tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 e ben cinque partecipazioni ai Giochi. A quasi quindici anni dal suo ritiro Nathalie Santer si è raccontata ad OA Sport, aggiornando il grande pubblico sulla sua attuale situazione e togliendosi forse anche qualche sassolino dalla scarpa riguardo la celebre fase finale della sua carriera quando passò a rappresentare i colori del Belgio, lasciando a malincuore quelli azzurri.

Nathalie, come sta procedendo la tua vita in questa difficile situazione? Sappiamo che hai sempre avuto la passione per i cavalli e dopo il ritiro sei passata a gestire un bel maneggio

“Esatto, io a casa ci sto meno degli altri proprio perché ho tanto lavoro con i cavalli. Visto che i proprietari non possono venire tocca a noi farli muovere e perciò passo le giornate all’aperto, sono fortunata! Questa passione l’ho sempre avuta, fin da bambina. Durante il biathlon ho dovuto lasciarli da parte, ma appena terminata la carriera sono tornata ad occuparmene”.

Sei ancora collegata al mondo dello sport in qualche modo?

“Dopo la mia carriera sono entrata nell’organizzazione del Tour de Ski a Dobbiaco per parecchi anni e tutt’ora sono ancora tecnico delegato per le gare di sci di fondo, dove ho iniziato prima di passare al biathlon attorno ai 17 anni”.

Hai seguito le gare dei Mondiali di casa quest’anno? Quale gara ti ha emozionato di più?

“Le gare di Anterselva sono sempre state speciali, correre a casa è difficile però è bello perché hai tutti i tuoi amici e parenti con i quali condividere le emozioni. A questo proposito devo fare i complimenti a Dorothea per quello che è riuscita a fare! Ho seguito tutta la rassegna, un paio di gare ero presente in loco ad Anterselva, le restanti sul cellulare o in altri modi. Sono state tutte gare spettacolari, impossibile sceglierne una sola!”.

Buttando un occhio al passato, quando hai vinto le prime gare in Coppa del mondo a Bad Gastein nel 1993 il biathlon era uno sport profondamente diverso, tant’è che hai vinto l’Individuale con oltre due minuti sulla seconda classificata. Quali differenze trovi con la disciplina che è diventata oggi?

“Nelle mie prime gare si andava molto piano al poligono, si aveva tempo per sparare e si restava in piazzola un minuto e anche di più cercando solamente di prendere i bersagli, mentre adesso siamo arrivati attorno ai 20 secondi. Ho avuto la fortuna di passare tutto lo sviluppo del biathlon, io ero più brava nella parte sciata e quando centravo i bersagli vincevo, poi con le tedesche Glagow e Henkel è cambiato tutto, loro puntavano al tiro e quando sono migliorate sugli sci non abbiamo più avuto tante chance! Ora è necessario essere completi tra sci, percentuali e rapidità di esecuzione. Anche a livello mediatico l’interesse era minimo qui, io ero quasi più conosciuta in Germania e in Norvegia che in Italia”.

E la terza vittoria è arrivata sei anni dopo a Ruhpolding. Quanto è stato importante per te tenere duro durante quegli anni ricchi di alti e bassi e poi veder ricompensati gli sforzi con quel trionfo?

“Quando ho iniziato per me era tutto facile, andavo subito forte e vincevo. Sono stata una delle prime ragazze a praticare il biathlon, nel 1992 è stata la prima volta che le donne hanno potuto partecipare ai Giochi e tante nazioni erano molto indietro e anche a me mancava completamente una squadra femminile, tant’è che io mi allenavo più con gli uomini. Questo rende ancora più bello il vedere che oggi invece non c’è solo un’atleta vincente ma c’è un’intera squadra in salute. Negli anni seguenti abbiamo cambiato tanti allenatori e perciò sono venuti meno anche i risultati, penso che il continuo cambiamento anche quando le cose non vanno bene sia la cosa peggiore che si possa fare. È necessario tenere duro e cercare una strada insieme. In questo senso il consiglio che do a Dorothea è lo stesso, se hai un bel team alle spalle non cambiarlo mai”. 

Cosa pensi invece del fresco passaggio di Stina Nilsson al biathlon? Pensi che potrà seguire le orme di Forsberg?

“Secondo me sì perché non si prendono decisioni così alla leggera, lei andava davvero forte nel fondo e ha lasciato una disciplina dove era una vincente per una situazione incerta. Il biathlon è molto affascinante perché non hai certezze. Nel fondo se sei forte lo sei sempre, mentre nel biathlon puoi essere davanti e il giorno dopo, anche se la forma è la stessa, puoi arrivare anche tra gli ultimi! Non si raggiunge mai un limite, si può sempre migliorare e non finisci mai di imparare”. 

Passando al discorso Olimpiadi, visto che hai disputato ben cinque edizioni e che torneranno in Italia a vent’anni da Torino 2006, quali sono i ricordi che custodisci più gelosamente?

La prima ad Albertville 1992 è stata emozionante perché si è realizzato il mio sogno di partecipare ai Giochi e sono anche andata vicina alla medaglia. L’edizione più bella però è stata Lillehammer 1994, dove si è sentita la vera atmosfera di un’Olimpiade perché nelle altre eravamo un po’ troppo dispersi. Lì in Norvegia le discipline erano tutte vicine, anche la gente poteva passare tra gli eventi muovendosi a piedi e campeggiare lì vicino con le tende“.

Per finire una piccola considerazione sul tuo passaggio alla nazionale belga.

“Io avrei voluto finire con l’Italia. Non volevo ancora smettere di gareggiare e in Italia si voleva creare un gruppo con i giovani, in quel momento ero troppo “vecchia” per loro e quindi, siccome avevo il doppio passaporto, ho cambiato per poter avere la possibilità di continuare a gareggiare. E’ stata una decisione davvero difficile da prendere, ma l’Italia non mi ha dato neanche la possibilità di allenarmi da sola e poi provare a qualificarmi in autunno per entrare in squadra. Mi hanno dato il nullaosta e ho potuto gareggiare per il Belgio, una situazione molto difficile senza una vera squadra. All’inizio mi davano una mano i norvegesi ma poi quando battevo le loro ragazze non lo hanno potuto più fare, così ho proseguito da sola e gli ultimi anni di carriera li ho corsi solo per stare un po’ col mio ex marito (Ole Einar Bjørndalen, ndr) e perché il biathlon era la mia vita e non mi sentivo pronta per lasciarla”. 

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michele.brugnara@oasport.it

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Foto: LaPresse

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