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Rugby, il problema ventennale del n.10. Mai un mediano di apertura di livello internazionale. Per il futuro, però, ecco quattro nomi in cui sperare

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Parafrasando il titolo di un libro di grande successo, nel rugby italiano degli ultimi 20 anni si è vissuta la solitudine dei numeri 10. L’Italia ovale, infatti, è entrata nel gotha ovale del Sei Nazioni sospinta dalla guida di Diego Dominguez, ma da quel momento ha annaspato per anni alla ricerca di un mediano d’apertura che non facesse rimpiangere il leggendario campione italoargentino. Una solitudine, quella dei numeri 10, che è al tempo stesso una moltitudine.

In questi anni, infatti, hanno vestito la maglia numero 10 (da aperture pure, o in esperimenti più o meno riusciti) Andrea Scanavacca, Ramiro Pez, Rima Wakarua, Roland De Marigny, Luciano Orquera, Andrea Marcato, David Bortolussi, Kris Burton, Paolo Buso, Luke McLean, Craig Gower, Mirco Bergamasco, Riccardo Bocchino, Alberto Di Bernardo, Andrea Masi, Tommaso Allan, Kelly Haimona, Carlo Canna e Ian McKinley. Sperando di non aver scordato qualcuno per strada. 19 giocatori che in 20 anni hanno provato a conquistarsi una maglia che scotta.

Una lista lunga, dove troviamo giocatori che sono riusciti – seppur magari per un breve periodo – a ritagliarsi un ruolo importante, mentre per altri l’esperimento azzurro è durato veramente poco, meteore apparse e scomparse nel giro di una manciata di partite, subito accantonati. Ci sono giocatori, come Andrea Scanavacca o Andrea Marcato, il cui oggettivo potenziale non è mai riuscito a esprimersi al punto da conquistare stabilmente la maglia numero 10 azzurra, mentre altri, come Andrea Masi o Mirco Bergamasco, erano giocatori più che affermati in altri ruoli, ma che nell’emergenza vennero adattati, con risultati non sempre in linea con le speranze del ct di turno.

Come si vede, come spesso capita nel rugby italiano, molti di questi nomi non arrivavano dalla filiera del rugby italiano, ma erano stranieri chiamati a fare i salvatori della Patria. Così abbiamo avuto giocatori come Craig Gower o Kelly Haimona, meteore passate per la maglia azzurra senza lasciare un’impronta tale da giustificare la scelta di “italianizzarli”. Insomma, 20 anni di esperimenti e tentativi che, alla fine, lasciano una manciata di nomi che hanno saputo conquistare un ruolo duraturo in azzurro. Ramiro Pez, Luciano Orquera e nell’ultimo periodo Tommaso Allan sono stati i giocatori che con più costanza hanno vestito la maglia azzurra.

19 aperture in 20 anni di Sei Nazioni (in realtà 16 edizioni, visto che fino al 2003 titolare era il già citato Diego Dominguez) dimostrano come quello del numero 10 sia un problema che non si è mai riuscito a risolvere. Basti pensare che tra i 10 giocatori con più presenze in nazionale negli ultimi due decenni troviamo piloni, seconde linee, terze linee, mediani di mischia, ali, centri ed estremi, ma nessuna apertura pura (Masi, Bergamasco e McLean furono esperimenti estemporanei, ndr.). Una situazione drammatica e che è uno dei talloni d’Achille che hanno reso difficile all’Italia del rugby fare quel salto di qualità tanto atteso.

E il futuro? Resta incerto, anche perché già in passato – come detto – si erano riposte tante speranze su giovani che parevano poter risolvere il problema, ma che poi per un motivo o per l’altro non hanno mantenuto le promesse. I nomi “in rampa di lancio” per la nazionale sono quelli di Antonio Rizzi e Michelangelo Biondelli, già parte integrante delle rose di Benetton e Zebre, ma anche Paolo Pescetto (permit player delle Zebre) o Paolo Garbisi, numero 10 dell’Italia Under 20. Il nome più interessante, per età e potenziale di crescita, è sicuramente quello di Garbisi, che secondo le voci dalla prossima stagione dovrebbe esordire in Guinness Pro 14 con la maglia della Benetton Treviso. È su di lui, ma senza scordare Antonio Rizzi (il cui passaggio alle Zebre dovrebbe venir annunciato a breve), che l’Italia punta per il prossimo futuro.

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Foto: LaPresse

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