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2010: la memorabile Inter del Triplete e del demiurgo José Mourinho

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Se c’è un anno che i tifosi dell’Inter ricorderanno sempre con un sentimento misto tra l’idolatria e la nostalgia è senza dubbio il 2010, stagione in cui José Mourinho condusse la propria creatura a un traguardo storico e tutt’ora ineguagliato in Italia: il Triplete, ossia la contemporanea conquista di Champions League, scudetto e Coppa Italia. Il godimento dell’ambiente nerazzurro per l’annata più vincente della sua storia ha raggiunto picchi talmente elevati da riuscire quasi ad offuscare il decennio successivo, totalmente avaro di soddisfazioni. Andiamo dunque a ripercorrere le tappe di un’impresa destinata a rimanere eterna.

L’Inter del 2009/10 era una squadra ormai abituata a dominare in Italia, dove aveva conquistato gli ultimi tre scudetti, e alla quale si chiedeva soprattutto il salto di qualità in Europa, dove negli ultimi cinque anni non aveva mai superato i quarti di finale. La prima stagione di Mourinho sulla panchina nerazzurra non si era discostata dalla precedente gestione Mancini, finendo con la vittoria agevole del campionato e con l’eliminazione agli ottavi di Champions League per mano del Manchester United. Ecco allora che nell’estate del 2009 la dirigenza optò per un grosso rinnovamento della rosa: fuori Zlatan Ibrahimovic, fino ad allora catalizzatore e al contempo principale finalizzatore del gioco, dentro Samuel Eto’o, Lucio, il duo genoano Thiago Motta-Diego Milito e il colpo last-minute Wesley Sneijder. Apparentemente un buon mercato ma nulla di eccezionale, o almeno così sembrava a inizio stagione.

Sul piano tattico soltanto con il passare dei mesi lo Special One arrivò alla soluzione definitiva, quantomeno a livello europeo. Lo schieramento che diede maggiori garanzie fu un 4-2-3-1 apparentemente molto spregiudicato ma in realtà equilibrato dal duro lavoro degli esterni d’attacco, capaci all’occorrenza di trasformarsi in veri e propri terzini aggiunti. In particolare, uno dei successi di Mourinho fu convincere un centravanti come Eto’o a sacrificarsi in questo ruolo non suo, costringendolo a percorrere tanti metri in fascia e a perdere contatto con la porta pur di apportare beneficio alla squadra. In fase offensiva l’Inter si appoggiava tanto su Sneijder, trequartista naturale in grado di illuminare la manovra e di velocizzarla secondo il principio cardine della verticalità, e su Maicon, nominalmente un terzino ma di fatto un’esterno a tutta fascia, debordante tanto fisicamente quanto tecnicamente; il terminale primario era Milito, che visse una stagione di grazia nella quale riuscì a realizzare la bellezza di 30 reti, molte delle quali decisive. La principale forza di quella squadra era però indubbiamente la solidità difensiva, garantita da un blocco centrale granitico che dava l’idea di esaltarsi nella sofferenza.

La stagione non cominciò però nel migliore dei modi. Ad agosto l’Inter perse la Supercoppa Italiana, sconfitta a Pechino dalla Lazio, e anche la prima partita a San Siro fu tutt’altro che convincente (1-1 contro il Bari). In Serie A la musica cambiò già a partire dalla seconda giornata (roboante 4-0 nel derby contro il Milan) e nel giro di poche settimane i nerazzurri acquisirono la leadership del campionato, laureandosi poi campioni d’inverno con 45 punti, ossia +5 sui cugini rossoneri, +12 sulla Juventus e +13 sulla Roma. La situazione era ben diversa in Champions League, dove l’Inter riuscì a stento a superare un girone abbordabile composto da Barcellona, Dinamo Kiev e Rubin Kazan: dopo tre stentati pareggi la prima fondamentale vittoria fu la rimonta negli ultimi minuti in Ucraina, seguita dal decisivo 2-0 interno contro i russi.

Gli ottavi di finale contro il Chelsea, in particolare il successo nella gara di ritorno a Stamford Bridge, diedero alla squadra di Mourinho maggiore consapevolezza della propria forza anche in campo europeo e, dopo aver superato agevolmente l’ostacolo CSKA Mosca ai quarti (2-0 nell’aggregata), i nerazzurri furono messi di fronti alla prova del nove: la semifinale contro il Barcellona, probabilmente il momento più iconico della stagione. I catalani, allenati da Pep Guardiola, erano i campioni d’Europa in carica ed esprimevano un calcio di una bellezza travolgente, oltre che di grande efficacia, il che li rendeva automaticamente i grandi favoriti per la conquista del trofeo. Nel doppio confronto della fase a gironi l’Inter non era riuscita a segnare neanche un gol ai blaugrana, ragione in più per considerare il Biscione una vittima sacrificale. Il gol di Pedro in apertura del match di Milano sembrava spingere in questa direzione, ma l’Inter tirò fuori un grande carattere e ribaltò il risultato con i gol di Sneijder, Maicon e Milito, mandando letteralmente in estasi gli 80.000 di San Siro. Nel ritorno al Camp Nou, dopo un’intera settimana in cui non si era parlato d’altro che della remuntada, l’Inter giocò una partita stoica, riuscendo, nonostante l’espulsione di Thiago Motta nel primo tempo, ad erigere un muro invalicabile davanti a Julio Cesar: l’1-0 finale non bastò al Barca e scatenò la celebre corsa liberatoria di Mourinho.

Il Triplete si concretizzò di fatto attraverso tre finali, ognuna delle quali garantì un trofeo all’ormai inarrestabile banda nerazzurra e in ognuna delle quali c’è la firma indelebile di Diego Milito. La prima è datata 5 maggio (ironicamente un giorno legato a ricordi piuttosto amari per i tifosi interisti) e fu l’ultimo atto della Coppa Italia: all’Olimpico, in un match estremamente teso, la Roma venne sconfitta per 1-0 con gol del Principe. Fu ancora lui a segnare la rete-scudetto il 16 maggio a Siena e fu sempre lui a realizzare la doppietta che trafisse il Bayern Monaco il 22 maggio al Santiago Bernabeu di Madrid. Fu l’epilogo perfetto di un’annata magica, probabilmente irripetibile. Le lacrime di Mourinho a fine partita furono a metà tra la felicità per l’impresa compiuta e la tristezza per la decisione già presa di lasciare la “famiglia” nerazzurra per accettare la proposta del Real.

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antonio.lucia@oasport.it

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Foto: LaPresse

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