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Sci Alpino

Sci alpino, Mondiali 2019: la consacrazione di Dominik Paris e la certezza Sofia Goggia, ma nelle prove tecnice è crisi assoluta

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Un oro, un argento ed un bronzo. Si chiude così il Mondiale di Are per l’Italia. Una rassegna iridata che ha visto la consacrazione di un campione come Dominik Paris, che ha ribadito la grandezza di Sofia Goggia, ma che ha confermato anche i grandissimi problemi della squadra azzurra nelle prove tecniche, escluso il gigante femminile, dove comunque le italiane sono competitive.

Era stato un inizio di Mondiale con il botto per la squadra azzurra. Subito l’argento di Goggia e poi l’oro di Paris, entrambi in supergigante. Alla prima occasione le nostre punte di diamante non hanno sbagliato. La bergamasca alla terza gara veloce della stagione ha chiuso al secondo posto per soli due centesimi alle spalle di Mikaela Shiffrin; mentre l’altoatesino ha sancito la sua definitiva consacrazione in quello che è senza dubbio l’anno migliore della propria carriera.

Doppietta di medaglie, però, che è sfumata in discesa. Soprattutto al maschile è davvero tanta la rabbia per una gara “falsata” ed “irregolare” per le differenti condizioni di visibilità con cui sono scesi i vari atleti. Purtroppo sia Paris sia Innerhofer non hanno trovato la luce migliore e alla fine il miglior risultato è stato il sesto posto di Dominik, che poteva davvero puntare al bis d’oro, dimostrando la sua forza anche nella successiva discesa della combinata.

In quella femminile Sofia non è riuscita a ripetersi, al termine di una prova con troppe sbavature. Resta invece la bella prestazione di Nicol Delago, che nella sua prima discesa mondale ha chiuso al sesto posto. Un piazzamento da cui ripartire per la gardenese, atleta che ha dimostrato di avere un’enorme potenziale ed ora serve continuare a crescere in maniera costante, anche passando per alcuni errori e passaggi a vuoto (come nelle ultime gare di Coppa). che possono solo servire a Nicol per migliorare.

La medaglia è poi sfumata anche per altri giorni, con la combinata femminile e quella maschile che non hanno portato fortuna alla squadra azzurra. Al femminile Federica Brignone non è riuscita a prendersi una medaglia che poteva essere alla portata della valdostana, che ha pagato i pochissimi slalom fatti in questa stagione e dunque uno scarso feeling con i rapid gates. Tra gli uomini, invece, si è assistita all’ennesima brutta figura da parte della FIS e alla conferma di come questo format deve essere cancellato, anche per quasi stessa ammissione degli atleti, come ha dimostrato la forte denuncia di Paris. Un tracciato spaccato, che ha premiato gli slalomisti, condannando i velocisti e chi come il nostro Riccardo Tonetti (poi quarto) aveva fatto un capolavoro in discesa.

Prima delle prove tecniche il Mondiale regalava il Team Event ed è proprio qui che è arrivato ed è arrivato uno storico bronzo per l’Italia, prima medaglia importante in questo format per il Bel Paese. Un risultato eccezionale anche perchè ottenuto con una squadra giovanissima. La scelta di puntare su Simon Maurberger, Alex Vinatzer e Lara Della Mea (c’era anche Irene Curtoni) ha pagato tantissimo e sono proprio stati i tre giovani ad essere decisivi.

Gli ultimi quattro giorni della rassegna iridata, però, hanno aperto una ferita già molto profonda nello sci alpino italiano. Nelle discipline tecniche l’Italia è totalmente sparita dal vertice, ad eccezione del gigante femminile, dove comunque la squadra è competitiva e Brignone può recriminare per una brutta prima manche, che sicuramente l’ha privata di una medaglia a cui la valdostana poteva ambire con ampio merito.

Gigante e slalom maschile, slalom femminile, tre discipline in cui da ormai troppe stagioni gli azzurri recitano il ruolo delle comparse. Una situazione di crisi a cui non sembra poter mettere la parola fine. Le colpe sono degli atleti, dei vari staff tecnici e soprattutto della Federazione, che ha sbagliato a lasciar partire alcuni dei migliori allenatori, che hanno portato in trionfo atleti di altre selezioni. Ci si prova ad aggrappare alla giovane età di Vinatzer e Della Mea, ma è davvero troppo poco per guardare con fiducia al futuro.

 

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Foto: LaPresse

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