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Ciclismo

Ciclismo su pista, Mondiali 2015: l’Italia c’è e può migliorare

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In casa Italia, due medaglie iridate, peraltro proprio un argento e un bronzo, non si vedevano dall’edizione 2011 dei Campionati del Mondo, con Elia Viviani e Giorgia Bronzini sul podio rispettivamente di scratch e corsa a punti ad Apeldoorn. Da allora ad oggi, il ciclismo su pista italiano ha avuto un’evoluzione interessante. Noi crediamo nettamente positiva, sebbene molto resti ancora da fare.

Partiamo da Viviani, appunto. Con una volontà ed una professionalità incredibile, seguendo un preciso progetto tecnico, Elia è diventato uno dei migliori interpreti dell’omnium, la specialità più completa e più difficile. Il bronzo di Saint-Quentin-en-Yvelines non è un punto d’arrivo: il veronese ha un obiettivo ben preciso, simboleggiato dai Cinque Cerchi di Rio dove sarà indubbiamente tra i favoriti di questa gara, perché ad ogni manifestazione internazionale termina puntualmente in zona podio. Da questo punto di vista, il trasferimento in Sky, che può sembrare negativo per ragioni “logistiche” rispetto al centro di Montichiari, è al tempo stesso molto positivo perché dai britannici abbiamo solamente tanto da imparare per quanto concerne la pista: dunque siamo convinti che, se Elia continuerà su questa strada, niente e nessuno potrà distoglierlo dall’obiettivo di una vita.

Il velocista di Isola della Scala e l’ottimo Liam Bertazzo, guidati dal tecnico Marco Villa, hanno poi conquistato uno splendido argento nell’americana. Certo, il rimpianto per aver mancato l’oro di appena un punto è forte, però….era dai tempi di Silvio Martinello che l’Italia non saliva sul podio di una disciplina così imprevedibile e spettacolare, purtroppo esclusa dal programma olimpico. Proprio Bertazzo è un altro atleta su cui puntare, perché è uno dei pochi a svolgere attività su pista in modo regolare e continuativo da ormai parecchi anni, nonostante sia solo un ’92: il padovano, già argento europeo della corsa a punti, ha sicuramente ulteriori margini di miglioramento.

Veniamo ai due inseguimenti a squadre. Promosso quello femminile, sia per il risultato in sé (un ottavo posto che rafforza le chance di qualificazione olimpica), sia per la conferma di poter far giostrare almeno cinque atlete nel trenino titolare (Bartelloni-Frapporti-Confalonieri-Guderzo-Valsecchi). Ah, e poi dietro ci sono Arianna Fidanza, Claudia Cretti, Martina Alzini, che promettono grandi soddisfazioni non solo nella gara a squadre, ma anche in svariate discipline individuali. Tempo al tempo, dunque, perché qui il lungo e silente lavoro di semina svolto da Dino Salvoldi sta iniziando a dare frutti prestigiosi. Frutti da raccogliere ancora nel quartetto maschile: con la formazione titolare schierata, la prestazione non è certo stata quella voluta, anche a causa di quell’inconveniente tecnico – i manubri femminili – derivato da una scelta della giuria. Se è vero che anche qui ragazzi come Filippo Ganna e Davide Plebani lasciano ben sperare, bisogna comunque provare a compiere un salto di qualità già nell’immediato: il trenino femminile si è definitivamente lanciato in corsa con l’innesto di due “cronowomen” stradiste di comprovata esperienza come Guderzo e Valsecchi. Perché non fare un tentativo con Adriano Malori o Manuele Boaro, tanto per fare due nomi?

Per quanto riguarda le altre discipline, un plauso va sicuramente ad Annalisa Cucinotta, brillante nello scratch e sempre pronta quando viene chiamata in causa sfruttando una notevole poliedricità. Oltretutto, la friulana è anche la prima alternativa a Simona Frapporti, che comunque si è guadagnata sul campo, anche in questo caso con un lavoro intenso e continuo, il posto da “titolare” nell’omnium. Probabilmente la bresciana della Valle Sabbia si aspettava qualcosa in più del tredicesimo posto finale: una partenza zoppicante nelle prove della prima giornata le ha impedito di cogliere un piazzamento migliore, ma non sarà la gara iridata ad interrompere i notevoli progressi, step by step, compiuti da una Simona comunque in piena corsa per il pass olimpico.

Un capitoletto a parte lo dedichiamo a Giorgia Bronzini e alla sua corsa a punti nella quale in tanti sognavano una medaglia. Qui il punto è semplice e non è certo quello di mettere in discussione una fuoriclasse di tale genere: la corsa a punti è una di quelle discipline accantonate dal programma olimpico e, a partire da questa stagione, anche da quello di Coppa del Mondo. Sempre meno possibilità, dunque, di gareggiare e confrontarsi: per una stradista impegnata tanto e con risultati sotto gli occhi di tutti come lei, diventa difficile anche svolgere una preparazione specifica in vista dei pochissimi grandi appuntamenti rimasti. Bisogna dunque ragionare, a livello federale, per non disperdere l’immenso potenziale (un altro nome? La plurimedagliata Elena Cecchini) che l’Italia vanta in queste gare un po’ bistrattate: le discutibili decisioni al momento della stesura dei calendari internazionali non devono impedire alle azzurre e agli azzurri di ottenere i risultati di sempre dove c’è una tradizione così intensa.

Nei primi paragrafi parlavamo di volontà non a caso. Perché è questo, davvero, il grande motore di chi pratica pista in Italia. Ciò che si incassa bazzicando per velodromi non è paragonabile nemmeno ad una corsa di medio-basso livello su strada: pochi sponsor e copertura mediatica prossima allo zero rendono poco conveniente dedicarsi a questo sport, soprattutto nel settore femminile che già patisce una pesantissima disparità di trattamento nel ciclismo su strada. No, non siamo un paese anglosassone e nemmeno la Francia o la Germania: da quelle parti la pista è un’altra cosa e permette ad alcuni di alternarla con la strada, ad altri di dedicarsi esclusivamente ad essa.

Se è vero infatti che l’integrazione tra i due settori risulta fondamentale soprattutto in età giovanile, portando cospicui vantaggi ad entrambe le attività, è altrettanto vero che, per determinate discipline, si deve puntare tutto o quasi sull’indoor. Nessuno dei funamboli della velocità o del keirin gareggia con una certa continuità su strada: sarà un caso che qui l’Italia patisce le difficoltà maggiori? Francesco Ceci, che ai Mondiali ha disputato con alterne fortune il keirin e il chilometro da fermo, va avanti perché il velodromo scorre nelle vene della sua famiglia da sempre e perché, solo di recente, le Fiamme Azzurre hanno deciso di credere in lui. Ma senza la possibilità di potersi allenare in serenità e con le dovute sicurezze, non ultime economiche, molto difficilmente l’Italia potrà scalare posizioni anche in questi settori che, comprendendo la gara a squadre, mettono in palio qualcosa come 18 medaglie olimpiche. Certo, guardiamo con grandissima attenzione ad Elena Bissolati o Miriam Vece, talentuosissime lombarde che fanno proprio delle gare sprint il loro punto di forza nelle categorie giovanili: se non vogliamo perderle, però, dobbiamo supportarle. Noi come giornalisti, noi come tifosi, poi la Federazione e i corpi militari, soprattutto, e sottolineiamo soprattutto, gli sponsor, quelli che possono e vogliono investire nello sport.   Il punto è che la pista è spettacolare e la velocità non fa eccezione. Guardatevi le immagini di Saint-Quentin-en-Yvelines, con la struttura piena in ogni ordine di posti e una cornice di pubblico straordinaria, piuttosto che quelle delle tournée in Inghilterra: se gli investimenti vengono fatti (punto primo) e calibrati bene (punto secondo), i risultati ci sono. Nel pubblico e nelle medaglie.

foto: Federcicilsmo

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marco.regazzoni@olimpiazzurra.com

7 Commenti

1 Commento

  1. Gabriele Dente

    23 Febbraio 2015 at 22:54

    Ho apprezzato molto l’articolo di Marco e il commento di ale sandro ma alle fine, “scampagnate” domenicali a parte, non mi sembra che questo presidente e questa federazione abbiano fatto molto di più di Ceruti (certo nessuno aveva mai concepito i famosi discorsi sull'”omino michelin”… ma lasciamo stare!).
    Mi chiedo sempre quando vedremo un Coni che mette una federazione davanti alle proprie responsabilità. E’ triste pensare che, senza tornare troppo indietro, nel ’96 vincevamo 3 ori in pista ad Atlanta e oggi, invece, paesi senza NESSUNA tradizione ci guardano dall’alto in basso. Ma è ancora più triste rendersi conto che in fondo alla federazione e al Coni sta bene così…

    • Marco Regazzoni

      24 Febbraio 2015 at 00:23

      Il livello di competitività, in questa e in altre discipline, si è incredibilmente alzato: la globalizzazione dello sport, purtroppo o per fortuna, porta a questo, ovvero a premiare chi investe di più e non chi ha più tradizione. Anche per me la Federazione e il Coni sembrano ancora un po’ distaccate dal mondo della pista, però va dato ai tecnici che è un certo lavoro è stato fatto: probabilmente senza tutti i supporti necessari, ma alcuni obiettivi sono stati raggiunti. Per il resto, forse sopravvaluto il ruolo di noi giornalisti, ma penso che parlare tanto di uno sport sia il modo migliore per fargli acquisire importanza anche a livello di politica sportiva. Mi fa enormemente piacere che le due medaglie iridate abbiano avuto risalto persino sui quotidiani nazionali generalisti e non solo su quelli sportivi e sono convinto che questo possa fare molto bene all’ambiente. Dal mio punto di vista, continuerò a scrivere di ciclismo su pista come e più di prima 😉

      • Gabriele Dente

        25 Febbraio 2015 at 23:23

        Il lavoro dei nostri tecnici è stato senz’altro encomiabile. Quanto a te, a Federico e agli altri, dico solo che senza di voi, preso dai notevoli impegni professionali e familiari, probabilmente negli ultimi due-tre anni non sarei riuscito a seguire lo sport quasi per niente. E di questo vi ringrazio 🙂

    • Federico Militello

      26 Febbraio 2015 at 13:36

      Grazie a te Gabriele, di cuore!

  2. ale sandro

    23 Febbraio 2015 at 15:23

    Ho avuto lo stesso identico pensiero su Boaro e Malori. Non penso che siano totalmente digiuni di pista,anzi. In ogni caso il discorso della multidisciplinarietà raggiunge il massimo proprio in questa ottica : per la pista l’inseguimento, per la strada la crono. Anche perché è un qualcosa che nella storia del ciclismo e di quello italiano, è sempre esistito. Confido che un responsabile tecnico, molto attento come Davide Cassani possa favorire questa doppia fase, anche perché non vedo tali controindicazioni da impedirne la prosecuzione.
    Anche per tutto il resto sono completamente d’accordo con quello che hai scritto, disamina migliore non poteva esserci, aggiungo che la Federazione (parlo di dirigenti , non di tecnici) ha avuto negli ultimi 20 anni, quando ancora si vinceva e bene, le sue colpe.
    Ha dormito quando c’era da “monetizzare” i successi dei nostri campioni in termini di seguito , anche con gli sponsor. Ha “fatto fuori” il settore della velocità maschile con discorsi farneticanti da parte dell’allora presidente Omini, proseguendo con Di Rocco. Ha “bruciato” due commissari tecnici in pochissimo tempo come Antonella Bellutti e Silvio Martinello, il quale portò avanti il discorso di creare un ciclista completo su più discipline in stile anglosassone, e all’epoca gli fu fatta terra bruciata intorno. Salvo poi ,per fortuna riprendere quei discorsi e farne un mantra. Ma solo negli ultimissimi anni quando c’erano soltanto le macerie.
    La ricerca degli sponsor e un progetto valido per far crescere gli juniores validissimi che abbiamo come pistard, o recuperare qualche stradista desideroso e affamato di vittorie nella pista, deve essere il primo punto per Federazione e Coni, che dovranno per dirla brutta , anche metter mano al salvadanaio, ma soprattutto saper progettare bene a medio e lungo termine. Solo loro possono fare in modo che diminuisca lo scetticismo di vari tecnici/società e dell’ambiente in generale, nei confronti dell’attività dei velodromi ,compreso il “lasciare” in pace l’atleta nel programmare la stagione su pista, di questo ne sono convinto.
    Condensa del condizionatore a parte 🙂 l’impianto parigino è un autentico gioiello, ma mi viene il magone alla visione di vecchi filmati sul Vigorelli e l’entusiasmo/interesse davanti ad un autentico spettacolo dato anche dai grandi campioni della strada che si cimentavano in quelle gare.
    Comunque ora si cerchi di risalire perché le risorse umane ,come atleti e tecnici ci sono. Ovviamente come ho detto più volte a piccoli passi.

    • ale sandro

      23 Febbraio 2015 at 16:18

      EDIT : Pardon , grave errore mio. I discorsi farneticanti erano di Ceruti, il presidente Omini, che ci fu in precedenza non c’entrava nulla, anzi. Sto invecchiando male 🙂

      • Marco Regazzoni

        23 Febbraio 2015 at 17:35

        Certe dimenticanze sono accettabili ;). In ogni caso il Vigorelli manca anche a me, sebbene non abbia vissuto in prima persona l’epoca delle sfide tra Messina, Maspes e gli altri fenomeni del tempo: chiacchiere da anni su una possibile ristrutturazione, ma fino alla fine dei lavori non conviene farsi illusioni. Per il momento accontentiamoci di Montichiari e di un gioiellino come Fiorenzuola sul quale sembra che si voglia investire; per il resto, solo piste in cemento soggette agli agenti atmosferici che cadranno a pezzi l’una dopo l’altra. Ne ho un esempio a Varese, la città in cui vivo: cade a pezzi lo stadio, ma ancora di più la pista intitolata al grande Luigi Ganna.

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