Pallavolo
Scandicci sul tetto del mondo: Conegliano si ferma ancora, ma ha tutto per riprendersi lo scettro
La Savino Del Bene Scandicci è campione del mondo: titolo conquistato battendo in finale per 3-1 la Prosecco DOC Imoco Conegliano, la grande favorita della vigilia. Conegliano che è alla seconda finale consecutiva persa, dopo il 2-3 subito in finale di Supercoppa che aveva interrotto una incredibile striscia di 17 vittorie consecutive delle venete tra tutte le competizioni. Scandicci ha posto fine a una serie di sette sconfitte consecutive negli scontri diretti. Un successo storico, che vale il primo Mondiale per Club della società toscana e che ribalta una narrazione recente che sembrava cristallizzata, soprattutto dopo la finale di Champions League vinta da Conegliano proprio contro le toscane nella scorsa stagione.
La partita decisiva di San Paolo è stata lo specchio perfetto del percorso di Scandicci nel torneo: solidità, continuità e lucidità nei momenti chiave. Il 3-1 finale (30-28, 25-19, 21-25, 25-23) non è figlio di episodi, ma di una superiorità costruita set dopo set, fondamentale dopo fondamentale. Conegliano resta una corazzata, ma questa volta ha trovato di fronte una squadra capace di reggere l’urto, assorbire la pressione e colpire con precisione chirurgica nei frangenti decisivi. Il primo set è stato lo snodo emotivo dell’incontro. Conegliano ha avuto quattro set point, ma Scandicci li ha annullati grazie a una battuta devastante di Antropova e a una ricezione che, dopo qualche difficoltà iniziale, si è stabilizzata. Il 30-28 non è stato solo un vantaggio nel punteggio, ma una vera frattura psicologica: come già accaduto in gara uno della finale scudetto 2024, ultima vittoria di Scandicci contro Conegliano prima di un anno e mezzo di sconfitte, le toscane hanno dimostrato di saper ribaltare l’inerzia nei momenti di massima pressione.
Dal punto di vista tecnico, la chiave della vittoria è stata la continuità offensiva di Ekaterina Antropova, capace di chiudere la finale con 25 punti, ma soprattutto di mantenere percentuali elevate anche quando il muro di Conegliano si è organizzato meglio. A differenza di Isabelle Haak, devastante solo a tratti (20 punti complessivi), Antropova ha garantito volume e stabilità, vincendo il duello a distanza tra opposte. Non è un caso che Scandicci abbia chiuso la finale con un numero di errori contenuto e con una distribuzione offensiva più equilibrata.
Determinante anche la prova di Maja Ognjenović, che ha interpretato la regia con grande intelligenza tattica. Dopo un avvio in cui ha insistito sul primo tempo di Nwakalor, trovando qualche imprecisione, la palleggiatrice serba ha progressivamente allargato il gioco, coinvolgendo con continuità Skinner, Bosetti e le centrali in situazioni di vantaggio. La distribuzione ha tolto riferimenti al muro di Conegliano, meno efficace del solito, come confermato dai numerosi mano out che hanno scandito il match.
Il contributo delle bande è stato un altro elemento decisivo. Skinner ha chiuso il torneo da grande protagonista, con 18 punti in finale e una presenza costante in tutti i fondamentali. Bosetti, pur con numeri più contenuti (7 punti), è stata preziosa in ricezione e nelle situazioni di palla staccata, garantendo ordine e qualità. In seconda linea, la coppia Castillo–Bosetti ha retto l’urto di una Conegliano che vive molto sulle difese prolungate e sulle rigiocate.
La prestazione di Scandicci in finale è stata coerente con quanto mostrato durante tutto il Mondiale. Nel girone, le toscane avevano dominato Zhetysu VC, Osasco e Alianza Lima con tre successi per 3-0, mostrando una crescita progressiva, soprattutto nel rapporto muro-difesa. In particolare contro Osasco, Scandicci aveva già lanciato un segnale forte, vincendo il primo set 31-29 e dimostrando una capacità superiore di gestire gli scambi lunghi e le fasi punto a punto. La semifinale contro Dentil Praia Clube ha rappresentato un ulteriore banco di prova. Il 3-0 (25-23, 26-24, 25-19) non racconta tutte le difficoltà affrontate, soprattutto nei primi due set, ma certifica la maturità di una squadra che non perde lucidità quando il punteggio si accorcia. Ancora una volta Antropova (20 punti) e Skinner (16) hanno garantito continuità, mentre il muro ha iniziato a fare la differenza nei momenti chiave.
Per capire perché Conegliano ha perso, bisogna partire da ciò che di solito la rende dominante: ritmo, precisione, distribuzione rapida e continuità nel cambio palla. In Brasile, e soprattutto in finale, è mancato il flusso. Wołosz non è riuscita a essere la consueta regista capace di tenere alto il livello anche con ricezione imperfetta: diversi palloni sono finiti più lenti e più prevedibili, permettendo a Scandicci (ma anche all’Osasco dei primi due set della semifinale) di leggere con anticipo, organizzare meglio muro e difesa e limitare i punti facili. Quando Conegliano perde velocità, resta una squadra di enorme talento, ma si abbassa l’efficienza complessiva e aumenta la fatica nello scambio.
Il secondo fattore decisivo è stato proprio il rendimento in ricezione, non tanto per il numero di ace subiti quanto per la quantità di prime linee “sporcate”. Scandicci ha battuto con un obiettivo preciso: togliere gioco alle centrali e impedire la distribuzione completa. La conseguenza più evidente è stata l’andamento a strappi di Haak, devastante quando la palla arrivava pulita e Conegliano poteva accelerare in pipe o da seconda linea, molto più contenibile quando la costruzione diventava leggibile. Antropova, al contrario, ha vinto il duello della continuità: dopo un avvio non brillante, ha garantito volume e stabilità, sostenendo carichi offensivi elevati senza crolli di percentuale.
Un altro elemento chiave è stata la gestione delle alternative da parte di Conegliano. Zhu ha vissuto momenti complicati in ricezione e attacco, e le soluzioni dalla panchina non hanno cambiato l’inerzia della gara. Al contrario, Scandicci ha trovato equilibrio costante: Skinner ha dato un contributo continuo (soprattutto in diagonale e in pipe), Bosetti ha lavorato nell’ombra garantendo ordine e qualità nei momenti di pressione, Castillo ha sostenuto una fase difensiva capace di produrre rigiocate decisive. Quando la finale è diventata una gara di azioni lunghe e sporche, Scandicci si è trovata più a suo agio.
Dal punto di vista del muro-difesa, Conegliano ha difeso anche tanto, ma non sempre bene. Diverse azioni prolungate sono state vinte da Scandicci, che ha mostrato una qualità superiore nel trasformare una difesa in punto, soprattutto quando l’alzata era staccata e serviva gestione: mano out, parallela profonda, palla sul block-out. Le toscane hanno costruito il vantaggio proprio lì: non vincendo l’azione perfetta, ma l’azione imperfetta. In una finale durata oltre 130 minuti, questo ha fatto la differenza.
Anche il piano tattico è stato eseguito con grande lucidità. Antropova è stata cercata con insistenza da zona 2 e da seconda linea, sfruttando il muro esterno e le difficoltà di chiusura in parallela. Skinner è diventata la valvola di sicurezza nelle rotazioni più delicate. Ognjenović, dopo qualche forzatura iniziale sulle centrali, ha letto la partita con esperienza, variando la distribuzione per non offrire riferimenti fissi al muro avversario.
Il terzo set ha rappresentato l’unica vera fiammata di Conegliano, quando Haak ha alzato il volume e la squadra è riuscita a spingere maggiormente in battuta. Ma nel quarto, quando serviva riaccendere il motore, sono riemerse le difficoltà di continuità e Scandicci ha ripreso il controllo, chiudendo una partita dove non ha rubato nulla. Questa sconfitta non ridimensiona Conegliano, ma racconta una verità tecnica precisa: contro una squadra capace di reggere lo scambio, sporcare la costruzione e restare lucida nei momenti chiave, anche la Imoco può andare in difficoltà. Scandicci lo ha fatto con merito, qualità e personalità, conquistando il titolo più importante della sua storia e accomodandosi definitivamente al tavolo delle grandi del volley mondiale.
