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MotoGP, per l’Italia c’è una “Lost Generation” di piloti dopo la “Golden Generation” del 1997-1998?
La stagione 2025 del Motomondiale ha raggiunto la doppia cifra di appuntamenti agonistici. Volgendo lo sguardo alle categorie formative, si evince come la scarsità di risultati dei centauri italiani – cominciata lo scorso anno – si stia facendo sempre più pronunciata. Alla vigilia del Sachsenring si contano due podi in Moto2 e tre in Moto3, senza alcuna affermazione.
Il problema è che i piloti del nostro Paese più competitivi nelle classi inferiori sono, purtroppo, ragazzi per il quale si ha l’impressione che “il treno sia già passato”. Tony Arbolino e Celestino Vietti in un recente passato erano stati considerati papabili per la MotoGP. Il primo accostato a Yamaha e al Team Pramac (nel quale è entrato, ma nella sua divisione cadetta); il secondo al Team VR46 e ad Aprilia. Però, l’ingresso in top-class non si è concretizzato e oggi sia l’uno che l’altro vegetano in Moto2, senza particolari prospettive. In Moto3, uno dei tre podi è stato conseguito da Dennis Foggia, tornato al piano più basso dopo essere stato respinto da quello intermedio (il biennio del romano in Moto2 è stato deficitario).
Arbolino sta per compiere 25 anni, Foggia ne ha 24 e Vietti raggiungerà la stessa età fra qualche mese. Nessuno di loro è “vecchio”, ma il loro problema è che di spazi in MotoGP ce ne sono pochi, mancano i risultati e nel frattempo ci sono tanti teenager più appetibili. Intendiamoci, questo problema non riguarda solo gli italiani. Anche Aròn Canet e Albert Arenas, giusto per fare i nomi di due spagnoli, vivono la medesima situazione.
La differenza è che la Spagna produce centauri competitivi in quantità industriale. In Moto3 sta dominando Josè Antonio Rueda, che con i suoi 20 anni da compiere a ottobre fa già la figura di quello “navigato” rispetto agli esordienti (e subito vincenti) Alvaro Carpe (18) e Maximo Quiles (17)! Un’abbondanza, quella iberica, talvolta fine a sé stessa, perché c’è anche chi non arriva mai a lasciare il segno in MotoGP. Oppure ci arriva e fa da comprimario. Però l’abbondanza garantisce ricambio.
Viceversa, dalle nostre parti, c’è molto meno in termini numerici. Si parlava e si parla bene di Luca Lunetta, il quale però non ha ancora lasciato davvero il segno. Matteo Bertelle si stava proponendo come potenziale rivelazione della stagione di Moto3, ma è sopraggiunto un grave infortunio. Vengono riposte grandi aspettative in Guido Pini, ma l’impatto con il Motomondiale non è stato il medesimo dei già citati Carpe e Quiles. Cionondimeno, si tratta di ragazzi nati fra il 2004 e il 2008, le cui carriere devono ancora svilupparsi.
Al contrario, la generazione precedente, quella del 2000-2002, appare ormai persa (a meno di riuscire a riciclarsi con successo altrove, come fatto da Nicolò Bulega). Una sorta di “Lost Generation” venuta subito dopo la “Golden Generation” del 1997-1998 che tanti successi ha mietuto e sta tuttora mietendo in MotoGP con i vari Francesco Bagnaia, Marco Bezzecchi, Enea Bastianini, Fabio Di Giannantonio e Luca Marini.
