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Internazionali d’Italia 2024: a Roma si rinnova una lunga storia tricolore. Ma il successo manca da Adriano Panatta

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Adriano Panatta
Adriano Panatta / LaPresse / Olycom

Lunga, molto lunga è la storia degli Internazionali d’Italia. E non necessariamente tutta romana. Il principale torneo italiano, infatti, non sempre ha avuto come sede il Foro Italico. Anzi, al Foro Italico nemmeno è nato.

Il 1930, anno di nascita, vide infatti i grandi nomi di tutto il tennis sfidarsi al Tennis Club Milano, quello che oggi è intitolato ad Alberto Bonacossa. Fu proprio lui a dar vita alla manifestazione. Al tempo si disputavano tutti i tornei, quelli di singolare e quelli di doppio, finanche misto (che non si gioca più da quando è nata l’Era Open).

Nelle cinque edizioni milanesi, di luce italiana ce ne fu parecchia. Già nella prima, infatti, arrivò in finale Uberto de Morpurgo, il grande pioniere del tennis tricolore, solo che dall’altra parte della rete c’era Bill Tilden, che gli lasciò quattro game. Tanto meglio non gli andò in doppio con Placido Gaslini, ma nel misto, con la spagnola Lili de Alvarez, ebbe a prevalere, là dove l’altra coppia finalista comprendeva il britannico Pat Hughes e Lucia Valerio. A proposito di lei, ne va ricordata la vittoria nell’edizione 1931, cui si aggiunge il successo in doppio nel 1930 e in misto ancora nel 1931. Per vedere il primo italiano vincitore si dovette aspettare il 1933, quando Emanuele Sertorio uscì per l’unica volta dall’ombra dei grandi nomi del suo tempo per vincere contro il francese André Martin-Legeay. Nel 1934, invece, fu finale tutta italiana tra Giovanni Palmieri e l’altro grande pioniere del tennis italiano, Giorgio De Stefani, due anni prima finalista in quello che oggi è il Roland Garros: vinse Palmieri 6-3 6-0 7-5. E tornò in finale l’anno dopo, in quella che fu la prima edizione a Roma, disputata nell’odierno Foro Italico, allora intitolato a chi quell’Italia la governava per imperio, senza possibilità di opposizione. In quegli anni vanno registrati anche i successi di Alberto Del Bono, De Stefani e Palmieri in doppio nel 1931, 1932 e 1934, di Anna Luzzatti e Rossetta Gagliardi in doppio femminile nel 1931, nonché le altre quattro finali in sei anni di Lucia Valerio in singolare (tre in doppio).

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Poi il torneo non si giocò più fino al 1950, l’anno in cui, dopo la guerra, fu tutto fatto ripartire senza più avere (quasi) alcuno stop. Lo scenario naturale fu ovviamente quello del Foro Italico, nel quale per qualche anno l’unico trionfo azzurro fu femminile, con Annalisa Ullstein Bossi nel 1950. Di queste edizioni rimane famosa la finale del 1955, in cui Fausto Gardini e Giuseppe “Beppe” Merlo, i massimi nomi dell’epoca, si misurarono senza esclusione di colpi. Merlo ebbe due match point nel quarto set, poi i crampi, poi un terzo match point, poi, sul 6-6, con scene inenarrabili sulle tribune, il giudice arbitro Onorati che stabilì la vittoria di Gardini per ritiro di Merlo, ormai in preda ai crampi e quasi incapace di reggersi in piedi.

Ben meno drammatica la finale del 1957, anche questa tutta italiana, in cui Merlo si trovò a cedere in tre set a Nicola Pietrangeli, già allora nel gotha del tennis e in finale anche l’anno successivo, perdendo però dall’australiano Mervyn Rose al quinto. Nel 1961, poi, ci fu una specie di rivincita della semifinale di Wimbledon 1960 tra Pietrangeli e Rod Laver. Non a Roma, però: per il centenario dell’Unità d’Italia si era infatti deciso di spostare per un anno gli Internazionali a Torino. Fu lì che, dopo un 6-8 nel primo set, Pietrangeli non lasciò più niente: 6-1 6-1 6-2. E, si sa, si parlava del migliore al mondo sul rosso in quegli anni. Non gli riuscì mai, invece, di vincere il torneo di doppio insieme a Orlando Sirola, nonostante sette finali disputate di cui una, quella del 1960, sospesa sull’11-11 del quarto parziale (Roy Emerson e Neale Fraser erano avanti di un set) e mai più ripresa. Oltre a quelle sette ce n’è un’ottava insieme al sudafricano Cliff Drysdale, persa anche quella contro Emerson e Fred Stolle nel 1966, ultimo anno in cui, peraltro, Pietrangeli raggiunse l’ultimo atto in singolare. Per il resto, a parte il titolo in misto nel 1958 di Giorgio Fachini, il primo compagno di doppio del maggior tennista italiano pre-Era Open.

Era Open, appunto. Come detto, questa tolse di mezzo il misto e lasciò solo il singolare in scena. Furono gli anni in cui il Foro Italico fu quasi mitizzato. Celebre la definizione di Bud Collins: “Gli inglesi hanno inventato il tennis, gli italiani l’hanno umanizzato”. Dove per umano si poteva intendere qualche estemporaneità che veniva da qualche altro genere di tribune, come potevano essere le monete che, a intervalli, in campo ci finivano.

Fu il 1976 l’anno chiave di tutta la vicenda. Adriano Panatta ne fu l’interprete: dagli undici match point annullati al primo turno all’australiano Kim Warwick accadde di tutto. Batté Tonino Zugarelli e Zeljko Franulovic, poi Harold Solomon (l’americano poi avversario in finale a Parigi), dopo un match dall’andamento incomprensibile (Panatta fu 5-4 nel secondo set e 4-0 nel terzo), avanti 2-6 7-6 5-4, nel secondo punto del decimo gioco s’infuriò per una palla contestata. Ne seguì un diverbio tra molte persone, e dopo cinque minuti Solomon prese e se ne andò. Panatta, battuto l’eterno John Newcombe in semifinale, andò poi a sconfiggere Guillermo Vilas, il più grande degli argentini nella storia, per 2-6 7-6 6-2 7-6. L’ultimo trionfo italiano agli Internazionali d’Italia fu questo.

Nel 1977 e 1978, però, due ulteriori finali italiane ci furono. Zugarelli, infatti, riuscì contro parecchi pronostici a issarsi fino all’ultimo atto dopo un percorso di gran valore, al termine del quale dovette però arrendersi a Vitas Gerulaitis. L’americano, che ci ha lasciati troppo presto nel 1994, fu il primo avversario di Panatta nel 1978: da quel sorteggio balordo Adriano uscì vincitore per 7-6 7-5 e poi si lanciò verso la finale, in un cammino contrassegnato da un’altra vicenda spinosa in semifinale contro Josè Higueras. Con lo spagnolo si era sullo 0-6 7-5 (dall’1-5; erano semifinali ai 3 set su 5), quando a rotazione persero tutti la calma. Prima il pubblico, che lanciò oggetti. Poi il giudice di sedia Bowron, con decisioni non sempre comprensibili. Infine Higueras, che se ne andò. Risultato: finale Panatta-Bjorn Borg, con lo svedese che ce la fece in cinque set e una minaccia di andarsene anche lui se fosse volata un’altra moneta in campo. Non ne volarono.

Da allora, per vedere una figura italiana almeno in semifinale a Roma ci vollero 39 anni. Già, 39, perché nel frattempo quel che era successo nel femminile era accaduto altrove. Il successo del 1985 di Raffaella Reggi, infatti, era giunto all’Italsider di Taranto, dopo che nei cinque anni precedenti il torneo era stato spostato a Perugia e sarebbe tornato al Foro Italico solo nel 1987. Batté l’americana Vicki Nelson-Dunbar (sì, la giocatrice dello scambio di 29 minuti e 643 colpi assieme a Jean Hepner, con annessa durata di 6 ore e 31 minuti nel torneo di Richmond, in Virginia).

2007, si diceva. Fu quello l’anno in cui, dopo una serie di speranze mal poste, di eroi per una settimana e quant’altro, accadde. Filippo Volandri ebbe bisogno di una wild card per entrare in tabellone. Una volta battuto facilmente il russo Teymuraz Gabashvili, sconfisse in tre set Richard Gasquet, e il francese aveva già del credito importantissimo. Poi, Roger Federer. Il numero 1 d’Italia che batté il numero 1 mondiale per 6-2 6-4, l’eco mediatica, il gran successo anche sul ceco Tomas Berdych nei quarti di finale con una delle migliori prestazioni al servizio in carriera. Poi venne la semifinale e venne anche Fernando Gonzalez: il cileno, “Mano de Piedra”, pose fine ai suoi sogni con un 6-1 6-2.

Negli anni successivi furono soprattutto le donne a essere protagoniste al Foro. E, per la verità, avrebbero potuto esserlo già anche nel primo decennio del nuovo millennio. Nel 2013 Sara Errani arrivò fino in semifinale, ma le sbarrò la strada Victoria Azarenka (la bielorussa perse poi la finale con Serena Williams). Nel 2014, invece, mise in fila sul proprio percorso la cinese Na Li nei quarti e la serba Jelena Jankovic in semifinale, ma un infortunio a metà primo set le tolse ogni possibilità nella finale con Serena. Di lei si ricorda molto bene anche il successo in doppio nell’edizione 2012 insieme a Roberta Vinci.

E veniamo infine all’ultimo momento di gloria vissuto da un tennista italiano a Roma. Lorenzo Sonego giocò un grandissimo torneo nel 2021: partito all’ombra di molti, riuscì a infilare gente del calibro di Gael Monfils (Francia), Dominic Thiem (Austria, campione in carica degli US Open), Andrey Rublev (Russia). Il suo destino fu Novak Djokovic, ma per un attimo sembrò che anche il serbo fosse vulnerabile, in una giornata particolarissima perché il quarto con Rublev si era giocato alla mattina. Finì 3-6 7-6(5) 6-2 a favore del numero 1 mondiale, ma il torinese diede una scarica enorme. Che, ora, c’è chi vorrebbe ripetere. E sperare.