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Ryder Cup 2023: le due edizioni della storia terminate in parità

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Severiano Seve Ballesteros

Per motivi diversi dal pari in quanto tale, le edizioni di Ryder Cup del 1969 e del 1989 sono diventate estremamente famose. Perché, se è vero che con quei due pareggi la squadra vincitrice due anni prima (USA nel primo caso, Europa nel secondo) si tenne il trofeo, è altrettanto vero che da lì sono nate situazioni destinate a protrarsi per molti anni a venire. Ma vediamo più nel dettaglio.

Partiamo, chiaramente, dal 1969. C’era una volta la Ryder di USA e Gran Bretagna, senza altri coinvolti. L’uomo sul quale faceva inevitabilmente affidamento il team britannico era Tony Jacklin, alla seconda Ryder, con ben tre compagni che invece erano alla settima. Di contro, gli States erano quasi totalmente rinnovati. Incredibilmente, a pensarci oggi, Jack Nicklaus era alla prima presenza dopo aver già vinto sette Major. Com’è possibile, ci si chiederebbe oggi? Semplice: al tempo le regole della PGA of America imponevano che un giocatore ne facesse parte da cinque anni per poter essere eleggibile dal capitano. E che capitano: Sam Snead, una delle leggende degli Anni ’40 e ’50. Di altre epoche resistettero solo Billy Casper e Gene Littler, mentre Lee Trevino fece anch’egli il proprio debutto in quest’occasione, con Nicklaus ed altri otto.

La formula, sebbene già abbastanza vicina a quella di oggi, aveva ancora delle differenze: venerdì con i soli foursome, sabato con i soli fourball, domenica con otto match singoli al mattino e altrettanti al pomeriggio. In totale i punti disponibili erano 32. La Gran Bretagna dominò la mattina del primo giorno (3,5-0,5), gli USA risposero accorciando sul 4,5-3,5 nel pomeriggio. Nel secondo giorno si passò, invece, dal 7-5 all’8-8. In breve, fu chiaro che la domenica sarebbe stata decisiva, cosa che non si poteva dire accaduta spesso in anni precedenti: del resto, molte volte gli USA avevano semplicemente dominato e reso inutile quasi ogni discorso già prima della domenica. Per intenderci, due anni prima, a Houston, era finita 23-7 per gli uomini a stelle e strisce.

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Ma questa era un’occasione diversa, in cui la Gran Bretagna sfoderò una grandissima prestazione, Jacklin batté Nicklaus 4&3 al mattino della domenica e fu 13-11 iniziale. Poi, nel pomeriggio, di nuovo rimonta USA. Il tutto in un’occasione estremamente competitiva, perché ben 18 match su 32 arrivarono all’ultima buca. Al Royal Birkdale, tutto si ridusse ancora a Nicklaus e Jacklin, alle ultime due buche con la futura leggenda USA avanti 1 up e il punteggio totale sul 15,5-15,5. A Jacklin riuscì uno spettacolare putt per l’eagle da oltre 10 metri, mentre Nicklaus lo mancò da poco più di 3. Risultato: pari all’ultima buca. E pari rimase. Entrambi arrivarono sul green di quel par 5 in due colpi, mancarono il putt per l’eagle e Nicklaus infilò facilmente il suo da un metro e mezzo. A quel punto, ce n’era poco più di mezzo tra Jacklin e la parità. Tuttavia, il nativo di Columbus non glielo lasciò effettuare. E, in altre parole, glielo concesse. Gli americani rimasero sbigottiti, Snead più tardi disse: “Siamo venuti qui per vincere, non per essere cari vecchi buoni giocatori“. Com’è come non è, il gesto di Nicklaus ebbe una valenza storica, non già per il 16-16 finale, ma anche per quel che affermò dopo: “Non credo che avresti sbagliato quel putt, ma date le circostanze non ti avrei mai dato l’opportunità di farlo“.

Dal 1969 al 1989 passarono vent’anni. Nel frattempo l’Europa continentale si era inserita a pieno titolo nella Ryder Cup, con i primi evidenti risultati: due vittorie in fila prima di arrivare al Belfry, che era nel pieno del suo tris di edizioni europee ospitate. Raymond Floyd era passato da rookie nel 1969 al ruolo di capitano nel 1989, e lo stesso poteva dirsi proprio per quel Tony Jacklin così grande protagonista vent’anni prima. Cinque i debuttanti negli USA, uno solo (Ronan Rafferty) per un’Europa che, al tempo, poteva vantare contemporaneamente Seve Ballesteros, Nick Faldo, Ian Woosnam e Bernhard Langer, oltre ai migliori anni di Josè Maria Olazabal.

La formula era diventata quella che conosciamo bene anche oggi: nei foursome del venerdì gli americani si portarono avanti 1-3, ma arrivò nei fourball un tonante 4-0 dell’Europa che ribaltò la situazione. Il divario non cambiò nel secondo giorno, e perciò si arrivò ai match singoli sul 9-7 per gli europei. Gli animi si scaldarono (per esplodere ancor più nella “War of the Shore” di due anni dopo) tra Seve Ballesteros e Paul Azinger, nel match singolo poi vinto dall’americano per 1 up. Lo spagnolo si trovò con una palla consumata, e ne chiese il cambio in base alla regola 5.3, che prescrive proprio questa circostanza. Azinger contestò la questione e l’arbitro chiamato gli diede ragione, al che Ballesteros gli disse: “E’ così che vuoi giocare oggi?“. Non fu tutto: finì con tutti e due in acqua alla 18, ma con Azinger cui fu consentito un drop da dove il green sarebbe stato raggiungibile. Centrò invece un bunker, solo per poi riuscire a salvare bogey e match.

Per la cronaca, il 14-14 arrivò in modo sostanzialmente inusuale. L’Europa aveva già ottenuto di potersi tenere la Ryder Cup quando José María Cañizares sconfisse Ken Green nel match numero 8 della giornata. Si era sul 14-10, ma gli States vinsero tutte le quattro successive sfide, raggiungendo così quella che, a tutt’oggi, rimane la seconda parità nella storia della Ryder.

Foto: LaPresse / Olycom