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Olimpiadi

Milano-Cortina 2026 arriva 50 anni dopo ‘le Olimpiadi mai viste’ di Denver 1976. Il Colorado rinunciò, ma non è il caso dell’Italia

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Denver 1976

La preoccupante situazione relativa al compimento degli impianti necessari ai Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026 ha fatto sorgere, da parte di alcuni, un paragone con quanto avvenuto 50 anni orsono. Nel 1973 il CIO cambiò in corsa la sede delle Olimpiadi bianche 1976. L’evento andò in scena a Innsbruck, ma era stato assegnato a Denver, che però si tirò indietro. Andiamo con ordine. Al di là dell’inquietante ricorrenza, i punti in comune con le difficoltà italiane sono pochi.

La città del Colorado ottenne l’organizzazione della XII edizione dei Giochi Olimpici Invernali nel maggio del 1970, superando la concorrenza di Sion (Svizzera), Tampere (Finlandia) e Vancouver (Canada). Guadagnata la manifestazione, The Mile High City cominciò a preparare minuziosamente quella che avrebbe dovuto essere un’edizione impeccabile. L’obiettivo, già allora, era quello di ridurre al minimo i costi e di avere una sorta di “Giochi in salotto”. Proprio questa visione si tramutò, però, in un boomerang.

La candidatura prevedeva che gli impianti fossero tutti raggiungibili nel giro di meno di un’ora dal centro della città. Affinché questo potesse avvenire, si progettava di utilizzare terreni inseriti nel Denver Mountain Park (un enorme parco naturale) per ospitare le gare delle discipline nordiche e per costruire la pista dedicata a bob/slittino. Proprio tale prospettiva portò all’innalzamento di barricate da parte di un folto gruppo di residenti, decisamente contrari al progetto. Costoro ritenevano che il carrozzone olimpico potesse rappresentare il grimaldello per scardinare i vincoli ambientali ed effettuare speculazioni che nulla avevano a che fare con i Giochi.

Olimpiadi Milano-Cortina 2026, l’Italia fa un altro passo verso una figuraccia epocale. Nessuna azienda vuole costruire la pista di bob, slittino e skeleton

Nacque un’associazione denominata POME (Protectors of Our Mountain Environment, ‘Difensori del nostro ambiente montano’), il cui scopo era quello di impedire lo svolgimento dell’appuntamento a Cinque Cerchi. Cominciò una campagna mediatica, che mise in difficoltà il comitato organizzatore, costretto a fronteggiare un’inaspettata opposizione interna, la quale guadagnò sempre più consenso.

Vedendo la malaparata, il management di Denver 1976 cominciò a tratteggiare un Piano B. Si vociferò di collocare le discipline nordiche a Steamboat Springs, 250 km a nord-ovest della città, e addirittura di spostare bob e slittino dall’altra parte degli States, utilizzando il budello di Lake Placid, nello stato di New York! Una prospettiva che, proprio per la sua palese irrealizzabilità, non convinse il POME, deciso ad andare fino in fondo.

Si sottopose la questione alla urne. Come d’abitudine, negli Stati Uniti, l’Election Day coincide con l’accorpamento di una serie di consultazioni. Così, il 7 novembre 1972, mentre in tutto il Paese Richard Nixon veniva confermato presidente per acclamazione, travolgendo il candidato democratico George McGovern, gli elettori del Colorado furono chiamati anche a esprimersi in merito a un quesito referendario per chiudere i rubinetti finanziari alle Olimpiadi 1976. La proposta raccolse quasi il 60% dei consensi.

In questo modo, allo stato del Colorado venne impedito di utilizzare fondi pubblici e, addirittura, di richiedere finanziamenti ad hoc in vista dei Giochi. L’organizzazione non ebbe altra scelta che rinunciare ufficialmente all’evento, informando il CIO, costretto a cercare in fretta e furia una soluzione d’emergenza. Si cercò di privilegiare la geograficità, offrendo le Olimpiadi a Vancouver. Però, proprio nell’autunno del 1972, il governo del British Columbia era cambiato. La nuova amministrazione non fu entusiasta di imbarcarsi in un progetto oneroso con tempistiche ristrette. Così, nel 1973, si optò per tornare a Innsbruck, già sede dell’edizione 1964, dove era tutto pronto.

Punti in comune tra la mai esistita Denver 1976 e la ventura Milano-Cortina 2026? Il vulnus ambientale legato allo Sliding Center, necessario alle gare di bob, slittino e skeleton. Cionondimeno, qui ci si ferma. I due casi non sono assimilabili. Cinquant’anni fa, il Colorado aveva steso un piano chiarissimo che incontrò una forte opposizione popolare. Non ci furono magagne organizzative relative agli impianti del ghiaccio e/o inciampi burocratici.

L’Italia non ha nessuna intenzione di tirarsi indietro, ma se è per questo non l’avevano neppure gli organizzatori di Denver 1976. Dalle nostre parti non si parla di rinunciare ai Giochi, e non succederà, ma si flirta pericolosamente con la poco edificante prospettiva di entrare nella storia come il primo Paese a mandare in scena un’edizione monca, dovuta all’incapacità di completare le opere necessarie. C’è ancora tempo per evitare l’agghiacciante scenario. Sempre meno, però. Più si resta fermi, più aumenta il rischio di cancrena e di dover fare i conti con le sue orride conseguenze.

Milano-Cortina 2026 sarà amputata? Nel qual caso dovrà sostenersi alla bell’e meglio con delle stampelle di produzione svizzera e/o austriaca, nonché di protesi costruite appositamente a Milano, destinate tuttavia a essere dismesse una volta archiviato l’appuntamento. Il Piano “A“, quello originario, è già stato cestinato. Lo stesso vale per il Piano “B“, perché due location (speed-skating e un palaghiaccio per l’hockey) sono cambiate in corsa.

Siamo al PianoC“. Forse “C” sta per “Corner”, ovvero “salvarsi in calcio d’angolo”? Al momento è così. La speranza è che non si debba ricorrere al Piano “D” (Decadenza) o al Piano “E” (Emergenza). Se poi non ci si dovesse fermare, quale possa essere il significato dell’eventuale lettera “F” lo si lascia all’immaginazione del lettore.

Foto: brochure pubblicitaria del Denver Olympic Committee