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Ciclismo, 18 anni dalla morte di Marco Pantani: il ricordo del Pirata

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Eccoci qui una volta ancora. Nel giorno degli innamorati non si può far altro che ricordare chi tanto si è amato in sella a una bicicletta da corsa. Lui era diverso dagli altri: niente cardiofrequenzimetro, niente radioline e niente calcoli. Se le gambe girano, si parte anche su un cavalcavia. Marco Pantani ci ha lasciato 18 anni fa, in quel 14 febbraio 2004 a Rimini. Nel residence Le Rose si è consumata la fine dell’eroe del pedale romagnolo, che più di ogni altro aveva conferito quel senso di epicità in tempi moderni al ciclismo.

A Cesenatico è prevista una commemorazione voluta dalla famiglia (alle ore 20 presso la chiesa di San Giacomo sul porto canale della cittadina romagnola) e tanti appassionati, come da tradizione, ricorderanno in maniera diversa il campione, la cui tragica fine è al centro di una nuova inchiesta giudiziaria.

Un senso di vuoto lo si prova, nonostante tutto questo tempo, è ciò è parzialmente compensato dalla forza del ricordo delle sue imprese. Lo avevamo conosciuto in quel Giro d’Italia del 1994, quando lo scricciolo di Cesenatico mise in difficoltà il “Re” Miguel Indurain, mai visto ondeggiare così con le spalle come in quella circostanza, nel tentativo di tenere il ritmo del “Pirata”. Era questo il suo nickmane e nella “Merano-Aprica” iniziò a saccheggiare i cuori degli appassionati, ponendo il proprio marchio a fuoco. Per lui la bicicletta era come una sorella, da accudire, con cui condividere momenti belli e brutti. Una compagna di viaggio fedele per far vedere al mondo quanto forte sapesse andare. “Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno” scrisse il suo “5 maggio” ciclistico, affrontando le erte impervie più velocemente degli altri.

Marco Pantani e Lance Armstrong stavano per correre insieme. La rivelazione di Cassani e Martinelli

Il suo era uno stile particolare: mani basse, un moto perpetuo sui pedali. Con coraggio e spirito di iniziativa dava un colore diverso a ogni tappa, rendendo prevedibile l’imprevedibile. Un ossimoro per noi comuni mortali, ma non per lui. Sotto il diluvio del Col du Galibier nel 1998, a 50 km dal traguardo, fece il vuoto, strappando la Maglia Gialla al Panzer tedesco Jan Ullrich e conquistando il simbolo del primato. “Una tappa che ci rimarrà nel cuore e nel cervello“, così descrisse l’impresa Adriano De Zan. Un anno speciale, condito dalla doppietta Giro-Tour. L’erta di Montecampione fu l’occasione in cui il “Pirata” doveva fare la differenza nei confronti del russo Pavel Tonkov per far sua la Corsa Rosa. Il duello da “Mezzogiorno di fuoco” in quella scalata fu all’ultimo sangue e senza esclusione di colpi. Una lotta di nervi che sorrise al romagnolo in un altro dei suoi capolavori.

Siamo prossimi ai titoli di coda e si vuol concludere con la scalata di Courchevel nel 2000, quando l’americano Lance Armstrong, colui che sembrava imbattibile, fu abbattuto dal colpo di pedale del corridore italiano. Si chiude così perché Pantani è rimasto, rimane e rimarrà per sempre un artista del ciclismo, unico e immortale.

Foto: LaPresse