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Ciclismo

Stefano Garzelli: “Pantani era unico: una sera mi disse che…Nibali fa bene a cambiare, Colbrelli un esempio”

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Nella terza vita di Stefano Garzelli, già vincitore del Giro d’Italia 2000, in maglia Mercatone Uno,  e poi commentatore tv sulla Rai, ci sono la moglie Maria, che ha fatto i tre corsi da direttore sportivo e potrebbe guidare i professionisti; quattro figli maschi (Marco, Luca, Matteo e Leonardo) con due ciclisti e una novantina di giovani dello “Stefano Garzelli Team”, base a Valencia in Spagna (dove Stefano e famiglia vivono ormai da 18 anni, ndr), ai quali sta insegnando la vita e i principi dello sport. Nella sua lunga carriera il “Garzo”, classe 1973, s’impose alla Tirreno-Adriatico, nel 2010, due Tre Valli Varesine (2005 e 2006) oltre alle tappe al Giro e alla Vuelta di Spagna. 

Quando hai compreso, da professionista, dentro di te che la tua passione per il ciclismo sarebbe potuta diventare un lavoro?

“Al primo Giro d’Italia nel 1997 al fianco di Marco Pantani e chiusi in nona posizione. Lì a quella corsa ho capito che potevo diventare un buon corridore da corse a tappe.” 

Qual è stata la telefonata che ti ha cambiato la vita? 

“Ci ho messo un po’ a passare professionista. Nel 1996, dopo aver vinto il Piccolo Giro di Lombardia, mi chiamò Giuseppe Martinelli per chiedermi di passare professionista alla Mercatone Uno di Marco Pantani. E’ stata una telefonata che tutt’oggi ricordo con grande piacere, e una di quelle che mi ha cambiato la vita. Ringrazierò per sempre Martinelli per aver creduto in me.” 

Qual è il tuo ricordo più bello da corridore?

“Ce ne sono due: il Giro d’Italia del 2000 e la Tirreno-Adriatico nel 2010.” 

E quello più brutto invece?

“La mia positività nel 2002 quando ero in maglia rosa al Giro. Tutt’oggi non so darmi spiegazioni ma una cosa è certa: sono tranquillissimo e non devo dare spiegazioni a nessuno, ho la coscienza a posto. Quando sono tornato alle corse, dopo undici mesi di squalifica, ho vinto la prima tappa al Giro del Trentino (la Arco-Moena nel 2003, ndr). E’ stata una vittoria di rabbia che ho preparato tutto l’inverno. Lo stesso anno poi sono arrivato secondo alla Corsa Rosa. Purtroppo però quei mesi sono stati una piccola parte della mia vita che mi ha condizionato.” 

Che ricordo hai del Giro d’Italia del 2000? 

“La partenza da Roma è stata bellissima, il giorno prima siamo stati ricevuti al Papa ed è stata una grande emozione. E’ stato un Giro bello, sofferto, goduto e vinto. Partecipare alla Corsa Rosa è il sogno di ogni bambino in bicicletta, vincerlo poi è qualcosa che rimarrà per sempre impresso nel cuore. Un’emozione difficile da descrivere.” 

Chi è stato il tuo miglior gregario?

“Ce ne sono stati due: Dario Andriotto e Alessandro Donati. Con loro non dovevo parlare, bastava uno sguardo per capirsi. Sono state due persone molto importanti nella mia vita sportiva ma tutt’oggi siamo ancora molto legati.”

Hai mai visto un corridore più talentuoso di Marco Pantani in salita?

“No, per un semplice motivo: a dicembre con la squadra facevamo sempre il ritiro a Terracina e lì c’era una salita che si chiamava “Le Querce”: lui era arrivato al raduno senza allenamento, a differenza nostra che pedalavamo già da un paio di settimane, e ci staccò tutti. Questo è il talento.” 

C’è un aneddoto di Pantani che ricordi con affetto?

“Quando dopo la tappa di Briancon al Giro d’Italia del 2000, la sera prima della crono, siamo usciti a fare due passi e ad un certo punto guardandomi in faccia mi disse: “Stai tranquillo che domani vai in maglia rosa e vinci il Giro” e me lo disse con estrema tranquillità. Marco era un ragazzo che non parlava tanto, si apriva il giusto. Aveva ragione…” 

Com’è cambiato il ciclismo rispetto a 15/20 anni fa?

“Radicalmente. E’ cambiato tutto. Quello di oggi è un ciclismo meno spontaneo, è tutto calcolato e misurato con i watt e questo secondo me addormenta un po’ la corsa. Bisognerebbe togliere i misuratori di potenza in corsa se vogliamo avere già spettacolo e quindi lasciare agire di più l’istinto. Oggi il livello è più alto ma non perché si va più forte rispetto ad anni fa, ma in relazione al fatto che ci sono più corridori forti. Con la tecnologia di oggi è più facile far migliorare un corridore già da giovane. Ci sono ragazzi come Evenepoel o Ayuso che riescono a fare grandi cose già nei primi anni e questo è dovuto anche al fatto di poter studiare in modo più metodico il corridore e farlo crescere.” 

C’è un corridore in gruppo che ti somiglia?

“No, assolutamente. Come caratteristiche Julian Alaphilippe, ma è nettamente più forte di me.” 

Com’è messo il movimento ciclistico italiano?

“Se andiamo ad analizzare le corse di un giorno è stato dimostrando che non siamo secondi quasi a nessuno e quindi stiamo abbastanza bene. Se invece guardiamo i Grandi Giri siamo un po’ in carenza di corridori, ma secondo me è solo questione di aver pazienza. Mi piace molto Andrea Bagioli, ha dimostrato di andar forte anche all’ultima Vuelta, ma è ancora giovane.” 

Juan Ayuso può diventare secondo te l’alter ego di Tadej Pogacar? 

“Non lo so, è ancora presto per dirlo. Vedremo tra qualche anno.” 

Abbiamo visto Nibali tornare al successo dopo più di due anni. Può puntare ad un podio in un Grande Giro? 

“Vincenzo ha fatto la storia del ciclismo italiano e non solo. Poter lottare per il podio in un Grande Giro la vedo tosta soprattutto per i tempi di recupero: alla sua età recuperi in maniera totalmente differente rispetto ad un ragazzo di vent’anni, ma può provarci. Al Giro di Sicilia è andato molto forte e sono felice che sia tornato a vincere nella sua terra. Il prossimo anno poi cambierà squadra, torna in una formazione dove ha vinto tanto e credo che sia importante per lui cambiare aria, senza nulla togliere alla Trek-Segafredo che in questi anni ha fatto un grande lavoro.” 

Sonny Colbrelli ha trionfato nel velodromo più importante al mondo, quello di Roubaix. Un successo che all’Italia mancava dal 1999 quando a vincere fu Andrea Tafi… 

“Il modo in cui ha corso Sonny è stato esemplare. La Parigi-Roubaix di Colbrelli è stata l’università del ciclismo. Sfortunato invece Gianni Moscon, avrebbe fatto anche lui qualcosa di straordinario, ma da quando ha cambiato la bici in seguito alla foratura non la guidava più come prima e il posteriore gli partiva molto di più. Magari è stata solo una mia impressione…”.

Foto: Olycom.com

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