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Formula 1

F1, Yuki Tsunoda diventerà il primo pilota giapponese a vincere un Gran Premio?

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Yuki Tsunoda è stato, senza ombra di dubbio, uno dei protagonisti del Gran Premio del Bahrain di Formula 1. Il giapponese ha concluso al posto, raccogliendo 2 punti all’esordio assoluto, impressionando sia per la gestione della gara che per la sue capacità di guida, tanto da meritarsi i complimenti di Ross Brawn e Helmut Marko. Quest’ultimo si è addirittura spinto a indicarlo come un futuro Campione del Mondo. Una previsione molto azzardata, ma il talento non manca al quasi ventunenne proveniente dalla prefettura di Kanagawa. In Alpha Tauri giurano di non averlo scelto solo perché pupillo della Honda, peraltro prossima all’uscita dalla F1. In effetti il nipponico ha cominciato nel modo migliore per guadagnarsi la riconferma anche in ottica futura. Di sicuro la presenza di Tsunoda, già entrato nella storia come il pilota di Formula Uno più minuto di sempre (è alto solo 159 centimetri), permette al Paese del Sol Levante di tornare ad avere un proprio uomo nel Circus e, forse, anche di sognare in grande.

La prima ondata giapponese risale a metà anni ’70, complici anche gli avventurosi tentativi di un paio di costruttori nipponici (Maki e Kojima su tutti). È composta da autentiche meteore, ovvero piloti che gareggiano solo occasionalmente. Il primo uomo del Sol Levante ad arrivare in Formula Uno è Hiroshi Fushida nel 1975, il quale però non riesce a partire in alcun GP. Si qualifica in Olanda, ma non ha modo di prendere il via a causa di un problema al motore! Invece, nei due anni successivi, alcuni giapponesi si presentano in occasione del Gran Premio di casa. Tra di essi, si fanno notare soprattutto Masahiro Hasemi, Kazuyoshi Hoshino e Kunimitsu Takahashi, capaci di ottenere piazzamenti attorno alla decima posizione tra qualifica e gara. Ondata sì, ma del tutto estemporanea e di brevissima durata. Si deve attendere il 1987 per avere il primo pilota nipponico a tempo pieno.

Si tratta di Satoru Nakajima, dominatore indiscusso del campionato nazionale di Formula 2 di inizio anni ’80 e collaudatore della Honda, ormai pesantemente impegnata in Formula Uno. Addirittura la Casa dell’ala dorata tenta di convincere la Williams ad affiancarlo a Nelson Piquet nel 1986, silurando Nigel Mansell! Patron Frank si rifiuta categoricamente. Così, l’arrivo di Nakajima in F1 si concretizza l’anno successivo con la Lotus. Inizialmente non considerato all’altezza della massima categoria automobilistica, successivamente si guadagna il rispetto degli addetti ai lavori sia per le sue qualità umane che per alcuni lampi di alto livello. Su tutti, il Gran Premio d’Australia 1989, caratterizzato da un vero e proprio diluvio. In quelle condizioni tremende, Satoru chiude quarto e realizza il giro più veloce della gara. Conclude la sua esperienza agonistica dopo cinque stagioni e una decina di piazzamenti in zona punti.

Nel frattempo, in Giappone i successi della Honda hanno generato un’autentica bolla attorno all’automobilismo a ruote scoperte. Il periodo a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inzio dei ’90 è una sorta di età dell’oro, poiché la F1 viene investita da ingenti capitali provenienti dal Sol Levante e con gli sponsor arrivano anche tanti piloti. Molti di loro privi delle necessarie qualità per emergere, ma alcuni indubbiamente meritevoli. Fra di essi spicca Aguri Suzuki, che nel 1990 scrive la storia della categoria, diventando il primo nipponico a chiudere sul podio. Il clamoroso risultato arriva, peraltro, nel Gran Premio di casa e ne fa un autentico eroe nazionale, tanto che successivamente verranno addirittura prodotti videogames con il suo nome! Sarà però anche il punto più alto della sua carriera, che si trascinerà senza ulteriori picchi fino al 1995. Suzuki farà il suo ritorno in F1 nel 2006 come costruttore, creando la scuderia Super Aguri, che avrà vita breve, ma saprà comportarsi dignitosamente.

Nel frattempo si distingue anche Ukyo Katayama. Arrivato nella massima categoria automobilistica nel 1992 grazie al supporto della Japan Tobacco, si mette in mostra a bordo della Tyrrell nel 1994, arrivando due volte quinto e vedendosi costretto al ritiro in Germania a causa di un problema tecnico quando occupa la terza posizione. Prestazioni notevoli, che gli sarebbero valse l’interesse della Benetton come possibile compagno di squadra di Michael Schumacher per il 1995 (dopotutto, Japan Tobacco sponsorizzava anche il team diretto da Flavio Briatore). Katayama, però, si tira indietro. Solo al termine della sua carriera rivelerà che, proprio in quel 1994, viene colpito da un tumore benigno alla schiena che richiede un’operazione, dopo la quale non sarà più il pilota di prima.

Il boom si esaurisce e senza di esso i piloti nipponici si diradano. Cionondimeno, con l’avvento del XXI secolo, la nuova stella del Sol Levante diventa Takuma Sato, altro prodotto della Honda. Nel 2001 domina la scena nella Formula 3 britannica e viene promosso in F1. Disputa un notevole 2004 con la Bar, riuscendo a salire sul podio nel Gran Premio degli Stati Uniti. Negli anni seguenti non è in grado di ripetersi, ma regala anche gli unici piazzamenti in zona punti alla già citata Super Aguri, compreso un 6° posto nel GP del Canada. Sarà un segno del destino, perché Sato farà successivamente fortuna proprio in Nordamerica, vincendo per due volte la 500 miglia di Indianapolis (nello stesso luogo dove ha ottenuto l’unico podio in F1 della carriera).

Gli anni ’10 sono caratterizzati soprattutto da Kamui Kobayashi, uomo Toyota, che proprio come Tsunoda esordisce con un nono posto. Diventa un punto fermo della Sauber tra il 2010 e il 2012, entrando a ripetizione in zona punti e conquistando anche un podio, peraltro proprio a Suzuka. Quando il team elvetico annuncia la sua sostituzione con Esteban Gutierrez per il 2013, c’è chi ventila un passaggio del giapponese alla Ferrari al posto di Felipe Massa! Si tratta di una boutade perché la carriera di Kobayashi in F1 si conclude poco dopo, al termine di un’infruttuosa stagione con la Catheram. Attualmente corre nel Mondiale Endurance, di cui si è laureato Campione nel 2020 assieme a Mike Conway e José Maria Lopez. Il prossimo obiettivo è di trionfare nella 24 ore di Le Mans, già vinta tre volte dal connazionale Kazuki Nakajima, figlio di Satoru e a sua volta impegnato in F1 tra il 2007 e il 2009, seppur con scarso successo.

Va sottolineato come il Giappone si sia caratterizzato anche per alcuni autentici oggetti di culto, ovvero piloti dal dubbio talento che però hanno saputo entrare nel cuore degli appassionati. Uno su tutti è Taki Inoue, impegnato tra il 1994 e il 1995 con Simtek e Arrows. È passato alla storia come l’unico uomo capace di farsi tamponare dalla Safety Car (durante le prove libere del GP di Montecarlo) e di venire investito da un’ambulanza (subito dopo il ritiro nel GP di Ungheria). Inoltre non si può dimenticare Yuji Ide, arrivato alla Super Aguri nel 2006 all’età di 31 anni senza aver praticamente mai neppure girato su una F1. La Fia gli revoca la superlicenza dopo quattro gare in seguito a uno spettacolare incidente a Imola…

Yuki Tsunoda, però, non sembra appartenere alla categoria degli Inoue e degli Ide, bensì a quella dei Sato e dei Kobayashi. Impossibile dire se, davvero, diventerà un Campione del Mondo. Di sicuro il Giappone aspetta ancora il primo pilota capace di vincere una gara. Quella è la prossima pietra miliare da raggiungere. Il Paese del Sol Levante sogna di riuscirci ormai da tre decenni, ma sinora non è mai stato in grado di farcela. Tsunoda eredita il testimone con la speranza di diventare il migliore di sempre, almeno tra i connazionali, nel prossimo futuro.

Foto: La Presse

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