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Antonello Restivo, basket: “Dinamo Sassari in A1 femminile per la grande passione di Sardara. Sarà un gruppo importante per valori umani”

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Per l’approdo in Serie A1 femminile, la Dinamo Sassari ha deciso di affidarsi a un allenatore di provata esperienza e soprattutto già conoscitore della realtà cestistica sarda. Antonello Restivo, infatti, ha già vissuto l’A1 nelle stagioni con il Cus Cagliari, una delle due anime del basket femminile di questa città (l’altra è la Virtus). Allievo di Phil Melillo, è stato scelto da Stefano Sardara per portare una ventata di novità (e di gioco frizzante) in un palasport che è dedicato proprio a una giocatrice sassarese, Roberta Serradimigni, che ha lasciato questo mondo troppo presto, quasi 24 anni fa, in un incidente stradale. Abbiamo raggiunto coach Restivo per un’intervista telefonica, in cui ha illustrato il suo credo cestistico, le ragioni dello sbarco della Dinamo nel femminile, una disamina sul prossimo campionato e tanti ricordi.

Come nasce la Dinamo femminile e quando è arrivato il primo contatto per allenarla?

“E’ nata dal grandissimo entusiasmo e dalla grandissima passione che il presidente Sardara ha per la pallacanestro e per la Dinamo. Lui aveva già in mente questa possibilità di poter creare un settore femminile, faceva già delle affiliazioni, collaborazioni, ma voleva fare qualcosa di più. Quindi è nata soprattutto per la grande passione e la grande voglia di mettersi in gioco di Sardara. Per quanto mi riguarda, mi ha chiamato un po’ dopo l’uscita dell’ufficializzazione della Serie A1 e da lì abbiamo iniziato la nostra avventura assieme alla Dinamo, perché ci ho messo veramente poco a dire di sì. Secondo me nel basket femminile una realtà come la Dinamo può fare molto bene. E’ un ambiente sicuramente bello, molto organizzato. Ho potuto apprezzare in questo periodo quanto di bello c’è nella Dinamo. C’è stata una sinergia importante, ci sarà”.

Non si può nemmeno parlare, a livello personale, di un vero e proprio debutto a Sassari, perché Lei per un periodo ha commentato a Videolina, l’emittente storicamente legata alla Dinamo.

“Quella è stata una parentesi, avevo fatto delle telecronache per Videolina, però sicuramente oltre a quello per noi, qua, in Sardegna, particolarmente per noi allenatori e addetti ai lavori, la Dinamo è sempre stata una situazione da seguire perché al di là dei successi, come costruzione di tutta la società, anche a livello europeo, è sicuramente un esempio che tutti quanti devono guardare e seguire”.

Che squadra ci si può immaginare?

“Cercherò di costruire una squadra aggressiva, che abbia nella testa la possibilità di giocare a campo aperto, in situazioni di ripartenza. Sarà una squadra fatta da un gruppo di italiane coeso, perché la cosa importante nel femminile è la situazione dello spogliatoio. Questo gruppo qui sarà sicuramente uno che negli anni ha fatto bene, che ha dimostrato non solo tecnicamente, ma importante anche a livello di valori umani, di passione per la pallacanestro, dedizione al lavoro. Questo ci sarà”.

La pallacanestro femminile in Sardegna ha sempre avuto un suo sviluppo: Selargius, le due Cagliari, per non citare altre realtà più antiche.

“Ho fatto tre anni al Cus Cagliari molto positivi, in A1. Poi c’è questa parte di squadre di A2 che continuano a rimanervi anni e anni. In Sardegna c’è questo mondo femminile, e anche a livello di iscrizioni e tesseramenti è un buon bacino. L’ingresso della Dinamo può solo spingere ancora di più il basket femminile in Sardegna, può essere da esempio per tutte le altre società che dovrebbero veramente prendere esempio per crescere anche loro e non rimanere circoscritte nel loro tipo di idea societaria”.

A Cagliari, peraltro, veniva gente non di secondo piano: Tamara Radocaj, Tricia Liston, Samantha Prahalis.

“Eravamo riusciti, al tempo, a portare dentro giocatrici importanti. La Sardegna è un posto in cui, quando vieni a giocare, ti rendi conto che è incantevole, ma anche solo in vacanza. Tutti quanti se ne innamorano. Soprattutto con le americane bisogna cercare di parlare, illustrare il tipo di progetto che hai, e devo essere sincero: un valore aggiunto che può avere l’esperienza con la Dinamo è proprio questo, perché posso dire alle straniere, e far vedere. Anzi, non devo nemmeno più di tanto spiegare cos’è la Dinamo, perché già lo vedono, già la conoscono. Sicuramente questo è un valore in più per cercare di portare qua gente importante, che al di là del risultato può anche far crescere lo spettacolo della lega femminile, come hanno fatto Tamara, Tricia e Samantha, con queste ultime due che sono state capocannoniere nelle loro annate. Questo di certo mi aiuterà e mi sta aiutando tanto. Cercheremo e vedremo di potercela fare”.

Quello del basket femminile è un discorso in continua evoluzione, perché se è vero che si parla del trio Schio-Ragusa-Venezia, è altrettanto vero che, proprio con la Reyer, con la Virtus Bologna e con Sassari, forse si sta iniziando a smuovere qualcosa in termini di interesse.

“Lo spero, perché il basket femminile è sicuramente piacevole, con una pallacanestro bella da vedere. Lo spero perché, secondo me, quello che manca al basket femminile è un tipo di mentalità societaria, di organizzazione che, ovviamente, per le squadre che hanno già la maschile e sono consolidate viene più facile. Sicuramente queste società possono essere un via, vediamo se ce ne saranno delle altre della maschile che possono ambire al femminile. Bisogna ricordare però anche l’esempio Schio, che mostra che si può lavorare molto bene anche pur non avendo la maschile, ma di certo avere un’importante solidità societaria e un’esperienza dietro è un valore aggiunto”.

A Schio, va detto, Marcello Cestaro ha fatto qualcosa di grandissima importanza per il basket femminile anche negli anni in cui aveva molte difficoltà, i primi 2000.

“Sicuramente. Ha sempre fatto tantissimo e ha avuto, e ha, una passione per il basket femminile importante. Un po’ tutti quanti hanno paura di quando la perderà, però per adesso ha fatto delle grandissime cose”.

Com’è passare dall’allenare squadre maschili all’allenare squadre femminili?

“Quando ho iniziato ad allenare il femminile mi feci diverse domande. A livello cestistico, di vedere soluzioni tattiche, schemi, allenamenti particolari e via dicendo, cambia poco. Cambia ovviamente a livello fisico, tantissimo, perché ci sono alcune cose che con i maschi riesci a tamponare per la fisicità. Invece con le donne è diverso. La differenza, sostanzialmente, sta in quello, poi tutto il resto è sempre pallacanestro, non è un altro sport, si fanno le stesse cose, ma i tuoi occhi vedono che cambia da quel punto di vista. Secondo me, ancor di più, quel tipo di soluzione tattica dev’essere ancor di più eseguita tecnicamente in modo eccelso a livello di spazio e tempo, perché il fisico può aiutarti fino a un certo punto. Sul campo, allenare pallacanestro maschile e femminile è uguale. Fuori dal campo, nello spogliatoio, ci sono delle differenze caratteriali, ci sono alcune cose che alle donne non creano reazioni positive, anzi. Se con un uomo cerchi di trovare una chiave per farlo arrabbiare perché può rendere di più, con una donna devi stare attento perché magari si chiude in sé stessa e chiude la saracinesca. Questa è la differenza importante, secondo me, nel femminile: la gestione di tutte queste dinamiche che ci sono. E poi, come dico sempre, l’altra differenza è che al maschile non devi bussare quando entri nello spogliatoio prima della partita, nel femminile sì”.

Quest’ultimo aspetto è un po’ curioso, perché testimonia la particolarità delle differenze.

“Più che particolare, è una differenza per cui secondo me una persona che si relaziona nel femminile deve sapere e prenderla così. Deve cercare il modo di arrivare a quello che vuoi, ma per altre vie. Sostanzialmente è questo, ma alla fine è quello che noi allenatori abbiamo sempre in testa. Il nostro obiettivo principale è raggiungere un’efficienza dell’atleta elevata e dobbiamo trovare i mezzi, anche perché tutti gli atleti non sono uguali, uomini o donne che siano. Da questo punto di vista il femminile è un po’ così. Ci sono certi tasti che puoi toccare e utilizzare per poterle far rendere di più e altri che invece nel maschile non puoi, e viceversa”.

E a proposito di tempi della pallacanestro maschile, Lei ha avuto tanta esperienza con Phil Melillo, tra Roseto e Pesaro, e poi altre ancora all’estero, al Partizan.

“Ho avuto la fortuna di poter iniziare da giovane una collaborazione con Phil, che è stato il mio maestro di sempre. Mi ha fatto vedere realmente cos’era la pallacanestro. Io ero in una normale situazione fine giocatore-inizio allenatore nelle giovanili a Cagliari e ancora certi aspetti non li conoscevo, è un mondo completamente diverso la pallacanestro di un certo livello con quella che uno può fare stando nella sua città. Ho avuto questa possibilità, che ovviamente mi ha dato tutto, la mia impronta a livello di etica di lavoro, a livello tecnico, mi ha costruito come allenatore. Di lì gli anni di Udine, Roseto e Scavolini, dove ho potuto incontrare delle persone che nel prosieguo della mia carriera mi hanno aiutato per poter fare esperienze fuori dall’Italia, come quella di Belgrado, molto molto bella. Da lì, costruendo costruendo, nel 2006 ho deciso di iniziare a intraprendere la carriera da capo allenatore e sentivo che avevo l’esperienza giusta, così mi sono buttato”.

A Pesaro, la stagione 2004-2005 è stata, per certi versi, la più complicata di tutte. Alphonso Ford ci aveva appena lasciati, ci fu il cambio Melillo-Crespi, ci fu l’Eurolega con tante imprese e poi i problemi che hanno portato al fallimento.

“Fu un destino, quell’anno. Ero molto legato ad Alphonso, ci fu quell’assurda situazione della vita. Doveva tornare, eravamo già in ritiro, poi ha fatto sapere che era stato ricoverato e di lì, in pochi giorni, andò via. Da lì ci fu una situazione di mercato dove riuscimmo a prendere Charlie Smith per tamponare Alphonso. Era pur sempre un gran giocatore, però a livello fisico e anche di caratteristiche cestistiche non era Alphonso. Ci fu il problema del numero 5 che non riuscimmo a trovare subito, e questa cosa ci penalizzò. Poi i risultati non erano sempre positivi: in Eurolega si andava molto bene, in campionato quando Melillo è stato esonerato eravamo al quinto posto, ma sono decisioni che possono capitare. E’ arrivato Marco Crespi, e con lui abbiamo fatto un percorso che ci ha portato a non accedere per poco ai playoff, ma ai quarti di finale di Eurolega contro il Maccabi. E’ stata un’annata fantastica, e come capita nel mondo dello sport poi ci sono stati dei problemi economici, di tentativi di cessione della società e altro, e poi è tutto passato di fronte ai giudici fallimentari. Quell’annata è iniziata con la perdita di Alphonso, poi facemmo bene in campo, ed è andata a finire che la Scavolini andò a giocare in Serie B (prima con il Falco, poi, tra varie vicende, recuperando il nome Victoria Libertas, N.d.R.), poi si sono rimessi a posto. Quell’anno tutti quanti andammo al funerale di Alphonso in America, quegli anni lì con lui ci hanno fatto crescere molto a livello umano, ci hanno fatto capire determinate cose e situazioni, perché non è facile pensare di poter avere una malattia del genere (la leucemia, N.d.R.), avere una grande passione come ce l’aveva lui per continuare a giocare a certi livelli, stando spesso lontano dalla famiglia. Quelle annate lì, anche se è arrivato il fallimento della Scavolini, sono state, a livello cestistico, sportivo e umano, molto importanti per noi. Tutti lo avevamo evidenziato, da Scarone a Djordjevic, a Rannikko“.

Anche quella di Roseto è una storia tutta particolare, con la discesa e le tante difficoltà. Di recente ha effettuato lo scambio di titoli con la Stella Azzurra Roma scendendo dalla A2 alla B. E’ un luogo di pallacanestro non solo normale, ma anche estiva (vedere il Lido delle Rose).

“Roseto è un po’ una cittadina che vive di pallacanestro. Mi ricordo le prime volte, quando eravamo in Serie A2, l’anno del primo posto e dell’A1, ma anche quelli successivi, il primo anno in A1, con Paolo Moretti, Mario Boni. Sono situazioni che si possono vedere solo in certe piazze perché durante gli allenamenti c’erano 1000-1500 persone a seguirti, per alcuni versi era una cosa strapositiva, per altri vivevi sempre un po’ con gli occhi puntati. Era difficile quella situazione, però la cosa positiva era che uscivi nel paesino a far due passi e tutti parlavano di pallacanestro, volevano sapere, interessarsi. Questa è una cosa positiva. Roseto è una piazza particolare da quel punto di vista. Poi sono arrivate, come in tante realtà, dei problemi economici e non sono mai riusciti a ripartire in una maniera importante. Anche lì c’era Amadio, che si trasferì alla Scavolini, e poi gli anni migliori di Roseto sono stati con lui. L’anno prima di trasferirsi alla Scavolini avevamo fatto gli ottavi di finale di ULEB Cup. Spero di rivedere prima o poi Roseto ad alti livelli, ma sicuramente il momento non è facile, come non lo è a livello economico trovare un imprenditore che possa farsi carico di tutto e ripartire per stare a certi livelli”.

Che campionato femminile ci si può aspettare quest’anno considerato tutto quello che s’è visto nel mercato estivo? Ed è possibile dire che Schio sia fatta perfino più per l’Eurolega che per il campionato?

“Sì, avremo sicuramente un campionato, ma questo accade da tanto tempo, diviso con diverse fasce. La fascia alta, i primi posti, saranno di Schio, Venezia, Ragusa, squadre di un livello nettamente superiore rispetto alle altre. Schio ha fatto una squadra importante, punterà decisamente ai primi quattro posti in Eurolega, e ha fatto una squadra importante anche Venezia, che cercherà anch’essa di far bene in Europa. Sarà un campionato di diverse fasce: questa sarà la prima, in poi ce ne sarà una centrale dove ci saranno squadre buone come Lucca, Bologna, Broni, San Martino, che da anni è consolidata dietro le prime quattro. Dopo ci sarà un’altra fascia, dove ci saremo noi. Un campionato buono, secondo me anche emozionante, lungo. Per quanto ci riguarda, sarà tosto, ma dobbiamo sicuramente prendere dalla parte nostra il fatto di un entusiasmo incredibile perché sicuramente la società e il patron Sardara, Federico Pasquini, Gian Mario Dettori, Giovanni Piras e tutta la società vogliono fare le cose fatte bene, hanno un entusiasmo incredibile, e da questo dovremo prendere l’energia giusta per cercare di fare il campionato che ci compete”.

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Ci sono tante filosofie diverse e variabili impazzite, come il Geas che ha confermato il suo nucleo e Campobasso che ha preso Julie Wojta.

La variabile Campobasso è la quarta che pensavo dietro a Schio, Ragusa e Venezia, perché oltre a Wojta hanno preso altre giocatrici importanti. Sarà lì, a lottare tra le prime quattro. Il Geas sta facendo un grandissimo lavoro da tanti anni, loro hanno questa squadra consolidata già da quando erano in Serie A2 e lì attaccano quei 2-3 tasselli importanti soprattutto a livello di straniere. Alcune di esse hanno già giocato nel campionato italiano e fatto molto bene, e di certo il Geas sarà una di quelle squadre che secondo me non sarà tra le prime quattro, ma immediatamente dopo. Sarà un po’ come San Martino in questi anni. Cinzia Zanotti sta facendo un ottimo lavoro, ma l’ha già fatto in passato stravincendo l’A2 e consolidandosi in A1. Anche loro pian piano hanno trovato la solidità, anche economica, che fa sì che possano programmare cercando pian piano di diventare sempre più importanti in A1″.

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Credit: Ciamillo

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