Seguici su

Senza categoria

Tennis, Danielle Collins: “L’artrite reumatoide mi ha cambiato la vita ma voglio continuare a giocare, è ciò che amo”

Pubblicato

il

Danielle Collins occupa attualmente la posizione numero 51 del ranking Wta e in carriera è riuscita ad ottenere risultati molto interessanti come ad esempio la semifinale agli Australian Open nel 2019. Il suo best ranking è stato proprio il 23° posto raggiunto grazie all’exploit nello Slam australiano.

La bella 26enne ha raccontato a Behind the Racquet di come ha scoperto di soffrire di artrite reumatoide, patologia che condiziona inevitabilmente la sua vita e la sua carriera. Un esempio di forza e di grande volontà che potrà essere emulato da tutte quelle persone che si trovano nella sua stessa condizione.

Tutto cominciò quando avevo 15 anni: dolori alle costole e problemi quando andavo in bagno. I medici mi fecero fare un sacco di esami – ha raccontato Danielle Collins Un reumatologo mi disse che ero positiva a una malattia autoimmune. Poi, dopo un po’ di mesi sembrava tutto passato: i test del sangue erano normali. Eppure non sono stata bene per tutto il periodo del college. Mi mandavano dai medici, facevo esami ogni due mesi ma non ne usciva nulla. Eppure avevo sempre dolori. Sono stata operata a un polso, al menisco. Mi hanno diagnosticato varie tendiniti. Ma alla fine tutti erano convinti che i problemi fossero relativi al fatto che ero un atleta, mi allenavo tanto e facevo gare: il mio fisico era sotto stress“.

Purtroppo la sua condizione di salute non è migliorata con il tempo, anzi: “Quando sono uscita dal college le cose per un periodo sono andate meglio – scrive Collins  Alla vigilia degli open d’Australia di due anni fa sentivo male un po’ dappertutto: al collo, ai polsi, alle mani, un po’ a tutte le articolazioni. Ma lo attribuivo al fatto che mi ero allenata tantissimo. Poi il dolore è cambiato, non era più normale. Il mio medico mi consigliò di tornare dal reumatologo e di fare il test per l’artrite reumatoide. Rifiutavo quell’idea perché sapevo di cosa si trattava. Mia nonna ne soffriva. Ma io, pensavo, ero troppo giovane. Così ho tirato avanti con il dolore, che peggiorava quando avevo il ciclo. Avevo spesso sonnolenza, ero sempre stanca. Facevo fatica a tirarmi su dal letto. Una volta ho dormito 15 ore. La cosa peggiore è che mi stavo abituando a quello stato di cose. Non sapevo più che cosa voleva dire star bene e sentirsi in forze. Né alzarsi dal letto senza avere dolore alle mani e ai piedi. Il mio corpo si stava abituando a convivere col dolore“.

Il momento della diagnosi per Danielle Collins è stata molto difficile da superare: “Appena finita la partita ho fatto i bagagli per tornare a casa in Florida. Ho buttato i vestiti in valigia senza piegarli, tanto era il dolore alle mani. Ho pensato che fosse un’allergia, un intolleranza alimentare. Il mio medico mi ha detto di nuovo di farmi vedere dal reumatologo, ma io non ero convinta. L’allergologo mi ha detto di evitare il latte di cocco e gli alimenti con il glutine. Ma le cose non sono migliorate: i piedi mi facevano così male che mi pareva che cambiassero forma. Alla fine, tra il torneo di San Jose e Toronto decisi di farmi visitare dal reumatologo, per capire qualcosa prima degli UsOpen. Mi fecero fare un sacco di esami e dopo gli Us Open la diagnosi di artrite reumatoide fu certa“.

Ora la tennista statunitense ha imparato a convivere con il suo problema ed è diventato un esempio per moltissime persone: “Cominciai le cure. Non funzionarono granchè, finchè non trovai un mix di farmaci che insieme a una dieta molto controllata, mi faceva stare in modo decente. Ho trovato un po’ di pace dentro me stessa dicendomi che in fondo ognuno ha qualcosa di poco piacevole con cui deve fare i conti tutti i giorni. E io dovevo mettermi nella condizione di farlo, per essere una persona adulta in salute. Non c’era dubbio sul fatto che volessi continuare a giocare: è ciò che amo fare nella vita. E non voglio nemmeno essere considerata più debole degli altri, non voglio che la gente pensi a me come una persona malata, non voglio farmi definire da questa malattia -scrive in conclusione Danielle Collins Devo accettare la situazione e tirarne fuori gli aspetti positivi. Non sono la persona più esplicita del mondo ma sto cercando di sentirmi sempre meglio nel ruolo di qualcuno che può cercare di aiutare gli altri condividendo la propria esperienza“.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

“It was sad at times when my dad was more of a coach than a father. I started playing when I was about five or six years old, and he was always there for me. He was there on the court for me, helped me with fitness and was the person who struggled along side of me. Even though my dad put in the most effort my whole family was involved. When I was 14 my brother, who used to play tennis, started traveling with me. I am proud of what I have achieved on and off the court with help from them but I always have more goals. ⁣ ⁣ I think I deal with this fear of making a mistake and letting people down. Through the help my family gave me it was tough to be my own person. Slowly through travel and being away I began to learn how to deal with experiences on my own. I work so hard so my family feels like it was worth it. I remember back in 2006, playing my first Junior Australian Open. In my head I thought it would be good if I won a match or two but just didn’t want to let everyone down. It’s not easy to play your best under that kind of pressure. I guess since I was young I kept it simple and just tried to hit the ball. I played a few matches and found myself winning the tournament, which got me to number one in the world. This was possible from all the belief my father had in me, which I only began to realize now. ⁣ ⁣ About three years ago I had a really tough period where I wasn’t enjoying myself on court. I was dealing with some private things in my personal life that I couldn’t overcome. I wasn’t enjoying tennis, I wasn’t enjoying anything. I didn’t like where my life was at ranking wise and overall. I felt like a burnout. I had that for a couple years and I just couldn’t figure it out. Slowly, I had some help and began working on myself. I am happy and that doesn’t affect me the same way. I still have a lot of will and potential in me and more ambitious than ever before. This tough experience is behind me, but I am happy I went through it. It made me who I am. I know a lot of people who go through that period, whether athletes or not. How you respond to that shows your true character.” @nastia_pav⁣ ⁣ Go to behindtheracquet.com for extended stories, podcast and merch.

Un post condiviso da Behind The Racquet (@behindtheracquet) in data:

[sc name=”banner-article”]

CLICCA QUI PER TUTTE LE NOTIZIE DEL TENNIS

salvatore.serio@oasport.it

Clicca qui per seguire OA Sport su Instagram
Clicca qui per mettere “Mi piace” alla nostra pagina Facebook
Clicca qui per iscriverti al nostro gruppo
Clicca qui per seguirci su Twitter

Foto: LaPresse (AP Photo/Tertius Pickard)

Clicca per commentare

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *