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Sci di fondo

L’Italia è grande: Stefania Belmondo e i due troni di Olympia a 10 anni di distanza

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La donna che, assieme alla compagna ma soprattutto rivale Manuela Di Centa, ha cambiato la storia dello sci di fondo femminile in Italia è originaria di Pontebernardo di Pietraporzio, una frazione del comune di Vinadio in Piemonte e a sei anni, nel 1975, indossò un paio di sci di legno per disputare la sua prima gara di fondo a Pratolungo. Arrivò ultima, Stefania Belmondo ma da lì a 17 anni avrebbe iniziato una trama lunga dieci anni che ha lasciato un segno indelebile nella storia di questa disciplina, aprendo e chiudendo la sua carriera con due splendidi ori olimpici, il primo ad Albertville 1992, il secondo a Salt Lake City 2002.

Ad Albertville Stefania Belmondo arriva con una solida esperienza alle spalle, rafforzata dalla presenza, quattro anni prima, alle Olimpiadi di Calgary dove arrivarono risultati non straordinari ma tali da far intravedere qualcosa di buono in un panorama, quello dello sci di fondo femminile, che in Italia, a differenza di quello maschile, già in auge dalla metà degli anni ’80 ma prolifico anche in precedenza (basti pensare a Franco Nones), non ha mai portato medaglie olimpiche. Nel 1989 Stefania Belmondo ottiene la prima vittoria, nonché primo podio, in Coppa del Mondo, nella 15 km a tecnica libera di Salt Lake City, nel 1991 è argento in staffetta e bronzo bella 15 km individuale ai Mondiali italiani di Val di Fiemme e l’anno dopo affronta la sua seconda Olimpiade, non senza una buona dose di pressione e di attesa da parte di tutti gli addetti ai lavori e appassionati.

Stefania Belmondo non tradisce le attese anche se a Les Saisies, sede delle prove di Fondo, la prima gara è la 15 km a tecnica classica, la stessa gara del Bronzo mondiale dell’anno prima a Tesero. Nel paese di origine di Stefania Belmondo non arriva il segnale RAI, il satellite non è ancora una soluzione praticabile, e i compaesani di Stefania noleggiano un pullman per superare il confine transalpino e seguire la gara alla TV francese. La Egorova parte forte e sembra inafferrabile, Belmondo a metà gara raggiunge la terza posizione ma poi la sua azione perde di efficacia e viene superata da Valbe, Lukkarinen e dalla Smetanina. Chiude quinta a venti secondi dal podio, non senza qualche polemica per la qualità della sciolina.

La seconda gara è la 5 km a tecnica libera, prima parte dell’inseguimento, la sua preferita: 10 km a tecnica classica a caccia delle rivali che la precedono: la corsa sull’uomo o meglio, “sulla donna”, quella che predilige. Bisogna limitare i danni e Stefania Belmondo ci riesce benissimo, anche se manca il podio di pochissimo. Vince la finlandese Lukkarinen, seconda la “solita” Egorova, terza la Valbe e quarta la piemontese, a 12″ dalla finlandese e a 3″ dalla russa, terza classificata. La delusione c’è, così come la consapevolezza che la prima medaglia olimpica al femminile possa arrivare nell’inseguimento in skating. Infatti arriva l’argento: Stefania Belmondo va a riprendere, assieme a Valbe, le due rivali che la precedevano ma Egorova in salita la riesce a staccare. Belmondo ne ha di più delle altre due avversarie ed entra nella storia come prima italiana a salire su un podio a Cinque Cerchi.

Due giorni dopo sarà ancora podio, per Stefania Belmondo e per le sue compagne di staffetta, Vanzetta, Di Centa e Paruzzi con una rimonta straordinaria nell’ultima frazione della staffetta 4×5 km che significa terzo posto finale ma il bello deve ancora venire. C’è la 30 km a tecnica classica e Stefania Belmondo ci arriva in grandissima condizione. La piemontese parte forte e al primo intermedio ha 6”4 di vantaggio sulla svizzera Albrecht, ai 7 chilometri ha 28 secondi sulla Egorova, 45 sulla norvegese Nilsen, 51 sulla Valbe. Albrecht è scomparsa. Con avversarie di tale portata guai a cantare vittoria prima del traguardo arriva il momento di naturale flessione. A metà gara la Egorova riduce il divario: prima 17”, poi 10”, poi a 6 chilometri dal traguardo la siberiana è a meno di 8 secondi dalla Belmondo che sfodera un finale straordinario e respinge l’assalto della fortissima rivale chiudendo con 22″ di vantaggio, Valbe è terza. E’ l’oro olimpico, la teoria delle prime volte è completata.

Stefania Belmondo, nei dieci anni successivi, deve fare i conti con tanti avversari: quelli sul campo, tra cui la compagna Manuela Di Centa che con due ori le ruba la copertina a Lillehammer nel 1994, dove la piemontese (che nell’anno prima si era sottoposta ad un intervento al piede destro) raccoglie solo due bronzi e quelli invisibili, sotto forma, appunto, di infortuni, più o meno gravi che rendono tutto più complicato e sotto forma di doping che piano piano butta giù dalla torre alcune delle rivali più importanti, liberando il campo per altri podi ed altri successi.

A Nagano, nel 1998 arrivano altre due medaglie: il bronzo nella staffetta 4×5 km e l’argento nella 30 km, l’anno successivo due ori mondiali a Ramsau ma non la Coppa del Mondo (che resterà una chimera nella sua carriera) persa per minor numero di vittorie nonostante lo stesso punteggio, a favore della norvegese Bente Skari. Le due stagioni successive non le riservano le stesse soddisfazioni della precedente ma il pensiero è fisso sui Giochi Olimpici di Salt Lake City dove Stefania Belmondo arriva all’età di 33 anni ma con una condizione perfetta.

Negli Usa il fondo impara a conoscere le gare in linea sulla lunga distanza e la 15 km a tecnica classica, che apre il programma, lascia la tradizionale formula della partenza a intervalli e si disputa con la mass start. Stefania Belmondo, anche qui, si dimostra più forte di tutto: la campionessa azzurra rompe il bastoncino quando mancano 5 km al traguardo, ne riceve uno di fortuna ma non è dell’altezza giusta, perde tempo e terreno, sembra tutto perduto perchè davanti (dove c’è anche l’azzurra Gabriella Paruzzi) il ritmo è elevatissimo. Ce ne sarebbe abbastanza per mollare tutto, invece l’azzurra rimonta, Lazutina e Tchepalova non fanno la differenza e Belmondo, all’ultima salita, quando manca poco più di un chilometro, se ne va con Lazutina (che poi sarà squalificata per doping) e batte la russa in uno sprint straordinario piegandola negli ultimi 50 metri con uno spunto impressionante.

Belmondo ha chiuso il suo cerchio ma non finisce qui la sua storia olimpica perchè arrivano altre due medaglie pesantissime, entrambe differite: il bronzo nella 10 km a tecnica classica, dove il quinto posto iniziale diventa terzo per le squalifiche per doping di Lazutina, quarta, e Danilova, seconda e l’argento della 30 km a tecnica libera alle spalle della compagna Gabriella Paruzzi che vince così il suo primo e unico oro olimpico grazie alla squalifica della vincitrice sul campo Lazutina, per aver assunto una ingente quantità di darbopoietina, diretto discendente dell’EPO,

Chiusa l’esperienza olimpica e la stagione di Coppa del Mondo Stefania Belmondo annuncerà l’addio alle gare, riprovando, tre anni dopo, il ritorno alle gare in vista delle Olimpiadi sulla neve di casa per Torino 2006 ma a 150 giorni dalla Cerimonia di Apertura getta la spugna:Per la prima volta – dirà – una sconfitta significa felicità. Da oggi sono solo una mamma“. Dopo 150 giorni sarà proprio lei ad accendere la fiaccola olimpica allo stadio di Torino, qualche istante prima dell’ultima apparizione pubblica del maestro Luciano Pavarotti con un emozionante “Nessun Dorma” che tutto il mondo non dimenticherà, così come non dimenticherà lo scricciolo, il “trapulin” piemontese che ha cambiato la storia dello sci di fondo italiano.

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