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L’Italia è grande: Francesco Molinari e il leggendario primo Major azzurro al British Open 2018

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Ci era andato vicinissimo Costantino Rocca, in quel 1995 nel quale giocò uno dei colpi più famosi dell’intera storia dell’Open Championship, a St. Andrews. Un putt lunghissimo alla 18, che gli valse il playoff contro John Daly, perso, ma guadagnando l’eterna celebrità per quella prodezza. Sembrava un sogno svanito, quello di vedere un italiano vincere uno dei quattro Major del golf. Invece, nel 2018 l’uomo dell’impresa è arrivato: Francesco Molinari da Torino, in un weekend da brividi a Carnoustie, celebre campo di Angus, in Scozia, dove per l’ottava volta si teneva l’unico torneo maggiore europeo.

Certo, Molinari, nato l’8 novembre 1982, non era nuovo alle grandi emozioni. Fratello più giovane di Edoardo, anche lui ottimo golfista con tre vittorie sull’European Tour, una presenza in Ryder Cup nel 2010 e il numero 14 del mondo nello stesso anno, “Chicco” conquistò la carta per giocare sul tour europeo nel 2005, e subito si rese protagonista, diventando, nel 2006, il primo italiano dai tempi di Massimo Mannelli (1980) a vincere l’Open d’Italia, quell’anno disputato al Castello di Tolcinasco. Non fu evento isolato, perché tre anni dopo i Molinari (tutti e due) vinsero per l’Italia la World Cup al Mission Hills di Shenzhen, in Cina, con un colpo di vantaggio sull’Irlanda, che aveva Graeme McDowell e un Rory McIlroy ventenne ma già in rampa di lancio, e sulla Svezia, che presentava Henrik Stenson e Robert Karlsson. Nel 2010 superò Lee Westwood per un colpo (-19 per l’azzurro, -18 per l’inglese) al WGC-HSBC Champions, diventando l’unico italiano ad aver vinto un torneo del WGC. Prima, però, fu protagonista in Ryder Cup assieme al fratello, per poi tornare nel 2012 e contribuire con un pareggio contro Tiger Woods al miracolo di Medinah, la clamorosa rimonta dell’Europa nell’ultima giornata coronata dal putt decisivo del tedesco Martin Kaymer.

Dopo aver vinto l’Open di Spagna nel 2012, gli servirono altri quattro anni per tornare al successo. E ancora una volta non fu una cosa banale, ma l’Open d’Italia, a 10 anni dalla prima volta e davanti all’inglese Danny Willett, che aveva vinto pochi mesi prima il Masters. Il capolavoro lo firmò all’ultima buca del Golf Club Milano, con una magia da brutta posizione con il secondo colpo che gli consentì di porre le basi per il -22 del trionfo. Nel 2017, nessuna vittoria, ma ottimo rendimento sia sull’European che sul PGA Tour (dove giocava già dal 2013 con occasionali ottimi risultati) e, soprattutto, uno spettacolare secondo posto al PGA Championship, dove uscì bene da un ultimo giro in cui regnarono prima il caos e poi l’americano Justin Thomas.

E poi venne il 2018. Perché il 2018 di Francesco Molinari non fu solo l’Open Championship, ma anche tante altre cose. Per iniziare, il 27 maggio portò a casa il BMW PGA Championship, il torneo più importante, il “flagship event” dell’European Tour. Al Wentworth Club di Virginia Water, nel Surrey, Chicco staccò di due colpi McIlroy, e non finì lì la corsa: secondo posto all’Open d’Italia, 25° allo US Open e poi vittoria al Quicken Loans National, sul PGA Tour, con un clamoroso ultimo giro da 62 colpi. Dal 1947 nessun italiano vinceva sul PGA Tour: allora fu il tempo di Toney Penna, napoletano poi naturalizzato americano, che riuscì a entrare in contatto anche con personaggi dello spettacolo del calibro di Dean Martin e Bing Crosby, non proprio due qualsiasi.

Nel 2018 il torneo che, dalle nostre parti, è noto principalmente come British Open aveva nell’americano Jordan Spieth il detentore. Aveva vinto con tre colpi di vantaggio sul connazionale Matt Kuchar al Royal Birkdale. Erano 16 gli ex campioni in gara, otto dei quali non superarono il taglio (uno di essi, David Duval, abbandonò l’Open dopo il primo giro). Nel giovedì d’apertura emerse Kevin Kisner: lo statunitense fu solo in testa con -5 (66 colpi), e tutto lasciava presagire un duello Stati Uniti-Sudafrica con altri possibili inserimenti e McIlroy in ottava posizione. Molinari chiuse 18° con -1 quella giornata.

Il giorno dopo, però, accaddero parecchie cose. Quattro degli ottavi del giovedì, gli americani Justin Thomas, Chez Reavie e Russell Henley, non superarono il taglio, così come lo spagnolo Jon Rahm, a causa di una giornataccia. Finì pure il torneo di Dustin Johnson, e l’americano era allora numero 1 del mondo, così come quello dell’altro big iberico, Sergio Garcia. Calarono sia Molinari che Tiger Woods, entrambi al 29° posto pari con il par, in testa salì Zach Johnson assieme a Kisner e l’inglese Tommy Fleetwood rimontò fino al terzo posto girando in 65.

Nel terzo giro le cose cambiarono ancora in maniera significativa. Kisner rimase sempre in testa, ma venne raggiunto da Xander Schauffele e dal detentore Jordan Spieth, che si portarono insieme a -9 staccando di due colpi l’altro americano Kevin Chappell. Ma fu lì che iniziò a emergere Francesco Molinari, in grado di scalare 24 posizioni e collocarsi quinto a -6 con un giro in 65, tra i migliori della giornata (ma non il migliore, che fu di Justin Rose, in 64). Con i suoi sei birdie il torinese fece un gran balzo in classifica, ma in sette lo inseguivano a un colpo di distanza, tra cui Rory McIlroy, Zach Johnson e Tiger Woods.

E poi venne domenica 22 luglio. Molinari e Tiger Woods si ritrovarono a percorrere insieme l’ultimo giro. Spesso e volentieri Tiger, in queste occasioni, è stato maestro nel girare la situazione a proprio favore soprattutto dal punto di vista psicologico. E per due ore abbondanti il 15° Major, per lui, parve molto più di un’utopia. Con Kisner che bruciò tutto il proprio vantaggio con tre bogey e un doppio bogey (a fronte di un birdie) nelle prime nove, Spieth che perse tre colpi tra la 5 e la 6 e Schauffele ne perse quattro in quelle stesse due buche e alla 7, ad andare in testa con -7 fu proprio lui, il californiano che un posto tra i più grandi della storia se l’era ormai guadagnato già da tempo.

Con la classifica in continua evoluzione, ed estremamente caotica, solo un uomo non tremò mai: Francesco Molinari. Tutti par, sempre par, fino alla buca 13. Nel frattempo, anche Woods incappò in un doppio bogey alla 11, il che portò Chicco in testa, anche se ancora non da solo. Alla 14, però, arrivò il momento: birdie, vetta solitaria della classifica. In verità, in tanti riuscirono a trovare il birdie in quella buca, con McIlroy e Rose che rientrarono di forza nella lotta realizzando l’eagle. Ma il bello doveva ancora venire, perché l’uomo venuto da Torino, all’ultima buca del torneo, quella 18a del quarto giro e la 72a in generale, allungò ancora. Birdie, -8. E a quel punto attese.

Tiger Woods era ormai staccato di tre colpi, e nulla poté fare. Finì sesto. McIlroy finì a -6 assieme a Rose, anche lui autore di un birdie alla 18. Con Spieth in giornata no (+5 in quella domenica e -4 totale), Kisner chiuse con regolarità a -6, ma Schauffele incappò nel bogey che gli costò il torneo (o quantomeno lo spareggio) alla 17. Con -6, avrebbe dovuto realizzare un miracoloso eagle su un par 4 decisamente lungo, un’eventualità estremamente complessa da verificarsi e che avrebbe richiesto un elemento simile a quello delle buche in uno: fortuna. Nulla di tutto ciò accadde. Il secondo colpo dell’americano alla 18 rimase corto rispetto alla bandiera, e Francesco Molinari, che nel frattempo era rimasto prima ad aspettare in club house e poi sul campo pratica, entrò nella storia. Champion Golfer of the Year, primo italiano di sempre. Divenne numero 6 del mondo, vetta inesplorata fino ad allora per il golf di casa nostra. Più in generale, si accostò alla storia dello sport italiano, quella vera.

Il 2018 continuò ad andare molto bene per Chicco, sesto al PGA Championship e ottavo al BMW Championship, ma soprattutto gli diede altre due grandissime soddisfazioni. La prima: cinque punti su cinque in Ryder Cup a Parigi, come nessun europeo era riuscito a fare, e una coppia inarrestabile con Fleetwood ribattezzata in men che non si dica “Moliwood“. La seconda: la Race to Dubai. Ipotecata con l’Open, la fece sua a Dubai in novembre. Gli bastò il 26° posto nel World Tour Championship negli Emirati Arabi Uniti per proclamarsi miglior golfista dell’European Tour per l’annata, benché il suo contributo ormai fosse arrivato ben oltre. L’eredità di Costantino Rocca, ormai, era stata raggiunta e superata con grande merito.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse / Olycom

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