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Sci di fondo

“Non vorrei che le italiane abbiano perso di vista ciò che è davvero lo sci di fondo” ‘L’ululato del Bubo’ con Fulvio Valbusa

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La Coppa del Mondo di sci di fondo si è presa un weekend di pausa, lasciando spazio a svariati eventi di carattere nazionale. Tuttavia l’Ululato del Bubo non si ferma. La nona puntata della rubrica di approfondimento e analisi curata assieme a Fulvio Valbusa, campione olimpico di Torino 2006 e commentatore tecnico per Eurosport, rappresenta l’occasione di tracciare il bilancio della prima metà della stagione del fondo italiano, guardando anche alle prospettive per le settimane venture.

Bubo, è impossibile non cominciare da Federico Pellegrino, che ha apposto la firma sugli unici podi del movimento azzurro. Tuttavia, consentimi di dire, che a mio modo di vedere Chicco ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto, soprattutto a causa di circostanze sfavorevoli. Due podi in sette sprint sono un bottino relativamente scarno. Tu cosa ne pensi?
“Sono d’accordo. Tutti ci aspettavamo qualcosa di più a questo punto della stagione, anche lui stesso. Invece è andata diversamente, ma non certo per demeriti di Pellegrino. Okay, ogni tanto non è stato tatticamente perfetto come d’abitudine, però sovente è stata la sorte a dirgli male. Inoltre, e soprattutto, si è trovato di fronte un grandissimo Klæbo. Ormai è evidente che, se sta bene, il norvegese è praticamente imbattibile nelle sprint. D’altronde ha vinto le ultime 14 gare in questo format a cui ha preso parte. Contro un mostro del genere, c’è poco da fare”.

Però Pellegrino resta uno dei più grandi interpeti di sempre della sprint. Quali possono essere le contromisure per provare a battere, almeno una volta da qui a fine stagione, Klæbo?
“Innanzitutto credo che Chicco debba concentrarsi sulle gare nella tecnica a lui più favorevole, ovvero lo skating. Quella di Åre del prossimo 18 febbraio, più le due in Nord America a metà marzo. Per tentare di vincere, Pellegrino dovrà giocare d’esperienza e d’astuzia, come peraltro ha saputo già fare in passato. Io ribadisco che provare a cambiare lato del tabellone, scegliendo la quarta batteria, potrebbe essere un’idea da prendere in considerazione. Federico lo conosciamo, di solito preferisce prendere il toro per le corna e affrontare i problemi da subito. Però la mia opinione è che la tattica migliore potrebbe essere quella di arrivare in finale senza rischi, affrontando avversari di livello più basso per garantirsi l’accesso all’atto conclusivo spendendo meno energie possibile. È vero, avrebbe meno tempo per recuperare dopo la semifinale, ma personalmente sono convinto che al cambio di guadagnerebbe. Nel senso che l’intervallo inferiore tra gli ultimi due turni verrebbe compensato con gli interessi dal fatto di risparmiare più energie in vista della finale. Secondo me l’ipotesi di prendere una strada diversa rispetto al passato va quantomeno valutata”.

Passiamo a Francesco De Fabiani. Di lui abbiamo già parlato recentemente. Sino al Tour de Ski la sua stagione è stata assolutamente deficitaria, perché non è proprio esistito. Però, tra Nove Mesto e Oberstdorf, si sono visti segnali di vita. Il suo motore, inizialmente ingolfato, sta finalmente cominciando a carburare?
“Guarda, non voglio rimangiarmi quello che ho detto solo pochi giorni fa, ma se devo essere onesto il risultato di De Fabiani nella 15 km dei campionati italiani mi ha lasciato un po’ perplesso. Certo, bisognerebbe capire con quale spirito ha affrontato quella gara, però ho l’impressione che questo sia un inverno problematico per il DeFa. Credo che le sue difficoltà siano soprattutto di natura psicologica, anche se ci sono state anche delle magagne di natura fisica. La chiave per rivedere il vero De Fabiani, quello capace di vincere in Coppa del Mondo, sarà la capacità di ritrovare la forza mentale. Le prossime competizioni in Scandinavia gli possono dire benissimo. È chiaro, gli avversari non staranno a guardare e infilarsi nella lotta furibonda tra Klæbo e Bolshunov non sarà facile, però Francesco ha tutte le carte in regola per provarci. Sono convinto possa bastare veramente poco per permettergli di svoltare, anche solo un exploit potrebbe fare la differenza in positivo”.

Cosa vogliamo dire di Michael Rastelli, il quale avrà anche un rendimento silenzioso, ma si sta proponendo indiscutibilmente come il numero 3 del movimento italiano?
“Il Rasta è un grande atleta, il podio di Drammen di qualche anno fa non è stato casuale. Come dice Max Ambesi, “non è culo”, perché nel fondo per fare risultato devi esserci. Rastelli sta dimostrando di essere il nostro numero due nelle sprint, però deve capire quello che vuole fare da grande. La concorrenza ormai è altissima e per di più stanno arrivando al vertice nuovi norvegesi, quali Taugbøl e Valnes. Forse si potrebbe valutare l’ipotesi di specializzarsi sulle sprint, abbandonando definitivamente ogni velleità nelle prove distance, proprio allo scopo di cercare di ottenere il massimo dalle proprie potenzialità. Credo sia una riflessione da fare al termine della stagione”.

Invece, cosa vogliamo dire del resto del movimento?
“Guardando a quanto si è visto in Coppa del Mondo a Oberstdorf, nonché nei recenti campionati italiani, sono dell’idea che i vari Zelger, Ventura, Romano e Panisi non ruberebbero il posto a nessuno. L’ho già detto, lo ripeto e lo straripeto: non verrebbe lasciato a casa alcun fenomeno per far loro spazio. Sono stufo di dirlo, ma lo ribadisco per l’ennesima volta: piuttosto che continuare a riscaldare le solite minestre, tanto vale lanciare questi quattro. Ci saranno anche dei veterani, ma se ogni volta che tornano nel massimo circuito non convincono, allora che senso ha insistere? Se fosse per me, i quattro che ho citato avrebbero già il biglietto per lo Ski Tour scandinavo, soprattutto dopo aver dimostrato di essere i migliori dopo De Fabiani al campionato italiano. Peraltro sono anche giovani, quindi, dove starebbe il problema nel lanciarli?  Chiaramente in Coppa del Mondo dovrebbero tirare fuori gli attributi, perché il massimo circuito non è certo l’Opa Cup. Però, se non viene data loro alcuna possibilità, come possono farsi le ossa? Di conseguenza, penso che sarebbe giusto dar loro tre/quattro chance, seguendoli a dovere affinché possano esprimere al massimo le loro potenzialità. Vanno messi sul treno della Coppa del Mondo, perché il biglietto se lo sono conquistato sul campo”.

Passiamo alle ragazze. Cominciamo dal settore distance. Personalmente, l’unica per cui mi sento di dare un giudizio positivo è Anna Comarella, che sta trovando la sua dimensione nel massimo circuito. Il dato eclatante è che siamo a metà stagione ed è la sola italiana entrata in classifica di Coppa del Mondo distance. Bubo, a questo punto ti faccio una domanda scomoda. Non sarebbe il caso di fare un bel repulisiti generale e puntare tutto sulle giovani? A un certo punto bisogna fare delle scelte di campo, soprattutto considerando che nel 2026 ci saranno le Olimpiadi in casa. Dunque, non sarebbe il caso di fare spazio tutte le nate dal 1995 in poi, guardando al futuro? D’altronde, che senso ha continuare a schierare atlete navigate che in metà stagione non hanno ancora marcato un punto?
“Sono assolutamente d’accordo con te. Sono state date tante possibilità alle veterane, magari anche dal passato glorioso, senza che abbiano dato alcun segnale importante. L’unica riuscita a entrare nelle trenta è stata Comarella, che peraltro è giovane. Quindi avanti tutta con lei. Aggiungiamoci la Franchi, sua coetanea. Se invece il livello di quelle più navigate è quello visto sinora, allora sarebbe il caso cambiare politica, soprattutto alla luce delle tante chance date loro sino a questo momento. Meglio puntare su giovani e giovanissime. Lanciare una ragazza in Coppa del Mondo non significa bruciare i tempi, semmai vuol dire renderla consapevole che il massimo circuito è tosto. Se la ragazza è ambiziosa, allora automaticamente le servirà da stimolo per migliorare. Le nuove leve prenderanno bastonate? Servono a crescere! Il sottoscritto è nato con le randellate sulla testa. Mia sorella Sabina agli esordi non era una fuoriclasse. Lo stesso discorso vale per Gabriella Paruzzi. Eppure, guardate dove sono arrivate. Questo perché sono state cresciute con la mentalità di confrontarsi con le big per colmare il gap, adeguandosi al livello trovato”.

Passiamo alle sprinter. Io, sinceramente, vedo tanto potenziale non sfruttato. Mi sembra che non si riesca a dare continuità a certi exploit. Insomma, possibile che il percorso delle azzurre sia quasi sempre quello di fare un buon tempo in qualificazione, per poi essere eliminate in batteria? È questo il loro livello e ci dobbiamo mettere il cuore in pace, oppure possono dare  di più? A te la parola.
“Sai che io sono stato sempre chiaro e sincero in queste considerazioni. Proprio per questa ragione, permettimi un affondo, perché a questo punto della stagione ci vuole. Non vorrei che le nostre atlete abbiano perso di vista cosa sia veramente lo sci da fondo. Questo sport, quello vero intendo, è quello che vediamo correre dalle scandinave, dalle russe e dalle americane. Fatica, fatica e ancora fatica. Guardiamo alle gare: ci sono atlete che arrivano al traguardo, sfinite, massacrate, senza nemmeno il fiato di stare in piedi. Ecco, quello è il vero fondo, secondo me. Dare tutto quello che si ha in corpo per ambizione e soddisfazione personale”.

Quindi? Ci dobbiamo rassegnare all’attuale mediocrità?
“Certo che no, c’è margine di crescita. Di Lucia Scardoni ho già detto settimana scorsa, ha alti e bassi inspiegabili. Con il suo fisico potrebbe ottenere grandi risultati, ma al di là di alcuni lampi isolati, la sensazione è che non stia raccogliendo quanto potrebbe. A me sembra un problema di testa, quindi si dovrebbe lavorare allo scopo di rafforzare la parte mentale. Discorso completamente diverso per Greta Laurent, che si è sempre qualificata brillantemente per le batterie, ma non è mai riuscita a superare i quarti di finale. Io ho l’impressione che dovrebbe seguire le orme del suo compagno Chicco Pellegrino, il quale prende parte a tante gare distance proprio per costruirsi una grande base di resistenza di fondo che poi sfrutta nelle sprint, sia sul piano del fisico che della capacità di tenere alta la concentrazione per lunghi periodi. Quindi, nel suo caso, potrebbe essere utile prendere parte a più gare di distanza. Non per fare risultato, ma proprio per sfruttarle allo scopo di crescere in ottica sprint. Infine, aggiungo che secondo me, alla luce di quanto si è visto sinora in stagione, Nicole Monsorno deve diventare un punto fisso della squadra di Coppa del Mondo, soprattutto in ottica 2026. È una ragazza di vent’anni che ha già dimostrato di poter avvicinare la zona punti. Quindi non dovrebbero esserci dubbi in merito alla sua presenza nel massimo circuito, perché potrebbe essere un bello stimolo per le due veterane, le quali al tempo stesso rappresenterebbero un buon punto di riferimento per la crescita della nuova arrivata. I risultati sarebbero secondari, l’importante è di farle prendere le misure con lo sci di fondo che conta”.

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Foto: Davide Glatz

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