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US Open 2018, si parte con poche sorprese, ma l’uscita di scena di Halep e Dimitrov è fragorosa. Lorenzi supereroe di un’Italia che c’è

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Prima giornata, primi 64 incontri (32 delle parti alte dei tabelloni maschile e femminile) degli US Open 2018, prime sorprese grandi e piccole a Flushing Meadows. Non ci sono stati poi così tanti ribaltoni, ma quelli che ci sono stati hanno fatto rumore: Halep da una parte, Dimitrov dall’altra. Di spunti, in sostanza, la giornata ne ha offerti parecchi.

La prima partita sul nuovo Louis Armstrong Stadium è anche quella della sorpresa: Kaia Kanepi elimina Simona Halep con doppio 6-4. Sorpresa relativa, però, perché la Kanepi, in un primo turno, è una delle avversarie meno gradite da qualsiasi testa di serie per la capacità che l’estone ha di trovare la giornata giusta. La Halep aveva vissuto un’estate da superstar, senza quasi mai perdere. Dopo quella subita l’anno scorso per mano di Maria Sharapova, questa seconda eliminazione consecutiva al primo turno a New York lascia la rumena sì al numero uno, ma con tanta delusione per un torneo che poteva vederla protagonista e invece porta avanti una Kanepi sempre in fiducia, sempre in spinta.

Dopo la Halep, di sorprese ed eliminazioni di teste di serie se ne vedono poche tra i due tabelloni. Quella più pesante, manco a dirlo, arriva in quello maschile ed è firmata Grigor Dimitrov: è vero che non deve avergli fatto molto piacere scoprire di dover rigiocare con Stan Wawrinka dopo la sconfitta di Wimbledon, ma qui il rovescio (non inteso come il colpo a una mano di uno dei due) è stato ancora più netto, inappellabile, fragoroso. Il bulgaro, per sua fortuna, difendeva un secondo turno, perciò la sua classifica non dovrebbe risentirne chissà quanto: certo è che per lui, pur numero 8 del mondo, le occasioni si riducono ogni anno di più. Anche così, però, sul campo 17 si stava per materializzare qualcosa di più clamoroso: la resurrezione di Ryan Harrison per mezzo dell’eliminazione di Kevin Anderson. Il sudafricano ha comunque vinto in cinque set, sempre tenendo a distanza di sicurezza l’avversario, però un inizio traballante, per difendere una finale, non è proprio il massimo. Chi, invece, la difesa non l’ha proprio cominciata è Andrey Rublev: l’anno scorso ai quarti, il russo ha ceduto piuttosto malamente a Jeremy Chardy e perderà una buona fetta di terreno in classifica mondiale.

L’organizzazione degli US Open aveva, nei fatti, dato i galloni di match principale alla partita tra Svetlana Kuznetsova e Venus Williams, uno tra i tre primi turni più interessanti di tutto il tabellone femminile. Sembrava di esser tornati a metà degli anni 2000, invece siamo nel 2018 e le due ex vincitrici di questo torneo hanno dato ottimi motivi per farsi vedere, battagliando per quasi tre ore prima che Venus ne uscisse vincitrice. Davvero pochi i ribaltoni al femminile, a parte Qiang Wang che elimina la numero 31 del tabellone Magdalena Rybarikova: sono in tante quelle che hanno ceduto un set (Svitolina, Sevastova, Mertens, Goerges) riuscendo poi a fare bottino pieno con più o meno problemi. Una menzione la merita Agnieszka Radwanska: ormai lontanissima dai tempi d’oro che l’hanno portata alla finale di Wimbledon e alla top 5 costante, la polacca lotta ancora. In anni lontani, con Tatiana Maria (già Malek prima di sposarsi) non ci avrebbe perso mai, ma gli anni lontani non sono il 2018, e il 2018 racconta una storia diversa.

Il capitolo italiani, sconfitta di Berrettini a parte (il romano ha comunque pochi motivi per recriminare), è di quelli che smentiscono molte previsioni pessimistiche. L’eroe di giornata è Paolo Lorenzi, che ancora una volta se n’è beatamente infischiato dei pronostici, delle prestazioni precedenti, di qualsiasi cosa. Kyle Edmund, sempre più sfiduciato nel corso del match, si aggiunge alla lunga lista delle vittime del senese che non muore mai. Difendere gli ottavi dell’anno scorso (trovò Kevin Anderson e gli strappò pure un set) forse è un po’ utopistico, ma questa parola Lorenzi l’ha cancellata da tempo dal suo vocabolario. Guai, però, a dimenticare gli altri azzurri che si sono battuti con successo oggi: da Andreas Seppi, che ha approfittato delle condizioni sempre più precarie di Querrey, a Lorenzo Sonego, che ha rimontato con grande capacità Gilles Muller, che sarà stato pure in chiusura di carriera, ma non ha lesinato energie nell’andare avanti per due set a uno prima di subire il caparbio ritorno dell’italiano. Per quanto riguarda Camila Giorgi, il primo turno era quanto di meglio potesse sperare: Whitney Osuigwe è una giocatrice potenzialmente forte, che a 16 anni già fa vedere cose molto interessanti (il dritto è già a ottimi livelli), ma che non può ancora essere costante. Per lei ci sarà tempo, per la Giorgi ci sarà Venus Williams, ed entrambe sanno chi, verosimilmente, l’attenderà dopo: Serena (che, nel frattempo, ha esordito senza patemi contro Magda Linette).

Ultime considerazioni sui match maschili: si aspetta un test un pochino più probante per Rafael Nadal, che ha approfittato del ritiro di David Ferrer (spiace, perché la sua carriera negli Slam non merita di finire così) dopo un set e mezzo per cominciare la sua difesa del numero uno e del titolo conquistato l’anno scorso. Ritorno, invece, un po’ in chiaroscuro per Andy Murray, ma l’impressione è che il primo set contro James Duckworth servisse più che altro a riprendere contatto con gli Slam. Era dall’anno scorso, con il suo contestatissimo forfait all’ultimo istante, che mancava. In attesa di rivederlo contro Fernando Verdasco, gli si può dare il bentornato nei tornei più importanti del mondo.





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Foto: Profilo Twitter Australian Open

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