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US Open 2018: Marco Cecchinato e l’allergia al cemento. Questione mentale più che tecnica

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Allergia: reazione eccessiva nei confronti di sostanze abitualmente innocue. La definizione che meglio sembra descrivere il complicato rapporto tra Marco Cecchinato e il cemento americano. Con la sconfitta contro il francese Julien Benneteau arrivata nella serata italiana di ieri, l’estate del palermitano si è chiusa in pesante passivo: quattro sconfitte e nessuna vittoria.

Quattro sconfitte diverse tra loro. Due abbastanza nette (e se quella con l’esuberante Francis Tiafoe a Toronto ci poteva stare, meno “accettabile” per un giocatore alle porte della top 20 è invece quella con Jan-Lennard Struff a Winston-Salem), due combattute e perse di un’incollatura. Contro Adrian Mannarino a Cincinnati Marco ha avuto addirittura un match point nel tiebreak del terzo; ieri, invece, ha sciupato un set e un break di vantaggio e nel quarto set ha avuto una miriade di occasioni per breakkare il suo avversario.

È senz’altro prematuro trarre conclusioni, ma i timori post-Roland Garros sono per il momento confermati. Cecchinato fatica a staccarsi dalla terra rossa. Non è un caso che dopo la parentesi sull’erba (chiusa con due vittorie a Eastbourne e la sconfitta al primo turno a Wimbledon, pur contro il talentuoso Alex de Minaur), si è rituffato sull’amato rosso. Sì, ha vinto un torneo (a Umag), che ha certamente dato fiducia, morale e punti, ma quelle due settimane (ha giocato poi ad Amburgo perdendo al primo turno) inevitabilmente hanno sottratto qualcosa dal punto vista tecnico, fisico e mentale alla preparazione in vista del cemento. Trovarsi da una settimana all’altra a dover cambiare prospettiva e programmazione e gestire una posizione tra i primi 30 del mondo non è semplice, ma quel cordone ombelicale con il rosso prima o poi va tagliato.

Probabile, dunque, che il problema sia mentale ancor prima che tecnico. Sul cemento cambiano gli appoggi ed è più difficile, se non mettendo a rischio le ginocchia, giocare colpi in recupero scivolando, rispetto alla terra che dà a Marco anche un timing diverso sulla palla, consentendogli di organizzare meglio gioco e colpi. La sensazione, però, è che lo step che Marco deve compiere è nella sua testa, cambiando approccio a questa superficie.

I numeri non lo aiutano, perché allargando la statistica alla carriera il conto sale a otto sconfitte e nessuna vittoria a livello ATP su un cemento che somiglia sempre più a un tabù. Niente conclusioni affrettate, però, perché Marco ha già dimostrato di avere la personalità e il carattere per affrontare qualsiasi tipo di sfida. È arrivato da poco ai piani alti. Diamogli tempo.

 





 

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alessandro.tarallo@oasport.it

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Foto: lev radin / Shutterstock.com

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