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Editoriali

Olimpiadi Invernali PyeongChang 2018: Italia promossa e di nuovo competitiva. Donne al potere, ma non manca qualche ombra

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Bilancio più che positivo per l’Italia alle Olimpiadi Invernali di PyeongChang 2018. Raggiunto l’obiettivo delle 10 medaglie fissato dal presidente del Coni Giovanni Malagò, anche se è lecito pensare che il numero uno dello sport italiano avesse stabilito un traguardo minimo e prudenziale, ben consapevole al tempo stesso di poter contare su potenzialità addirittura superiori. La spedizione azzurra ha dimostrato in effetti di poter valere anche un numero maggiore di podi.

Il bottino finale va considerato dunque in linea con le aspettative. Per la sesta volta nella sua storia l’Italia ha raggiunto la doppia cifra, dato che ci fa comprendere come si tratti di un risultato tutt’altro che disprezzabile: non accadeva dall’edizione casalinga di Torino 2006. In una sola Olimpiade, inoltre, il Bel Paese ha triplicato il numero di ori vinti nelle due edizioni precedenti. Non che ci volesse molto, a dire il vero. I tre successi, tuttavia, non apparivano per niente scontati alla vigilia dei Giochi e più di ogni altra cosa certificano la ritrovata competitività dell’Italia nel panorama internazionale.

Dieci le posizioni guadagnate nel medagliere rispetto a Sochi 2014: dalla ventiduesima alla dodicesima. Non è mancato molto per la top10, rimasta a portata di mano praticamente fino all’ultimo giorno. Nelle ultime due decadi, i tempi sono cambiati. A Nagano 1998 l’Italia colse 10 podi come a PyeongChang 2018, ma con un oro in meno: finì decima nel medagliere. L’asticella si è alzata notevolmente. Sono aumentate non solo le discipline, ma anche le nazioni che concorrono alle prime posizioni. Come già preventivato alla vigilia, per ambire alla top10 servono ormai tra i 4 ed i 6 ori.

Rispetto alle Olimpiadi estive, all’Italia mancano un paio di sport ‘serbatoio’ come scherma e tiro a volo da cui attingere un buon gruzzolo di medaglie d’oro. L’Olanda punta quasi tutto sullo speed skating, la Corea del Sud sullo short track. Per il Bel Paese non esistono invece podi o, ancor di più, ori ‘sicuri’. Siamo competitivi nella stragrande maggioranza degli sport, senza però poter contare sul dominatore alla Martin Fourcade che, da solo, riesce a portare a casa tre titoli.





I Giochi di PyeongChang ci lasciano in eredità due fuoriclasse come Sofia Goggia e Michela Moioli che, se lo vorranno, saranno destinate a segnare un’era dello sport tricolore, mentre una terza, Arianna Fontana, si è addirittura consacrata come una delle più grandi leggende di tutti i tempi. La valtellinese non ha ancora sciolto i dubbi sul proprio futuro: qualora proseguisse per altri quattro anni, sarebbe una benedizione. Bisognerà altresì comprendere le cause che hanno portato diversi atleti di punta a smarrirsi proprio nell’appuntamento clou della stagione: alcuni di questi, spesso formidabili in Coppa del Mondo, non hanno retto la pressione del grande evento.

Verrà ricordata inoltre come l’Olimpiade delle donne: il 60% delle medaglie sono state conquistate dal gentil sesso, senza dimenticare la gara mista di biathlon. E dire che gli ultimi ori al femminile risalivano addirittura al 2002 con Daniela Ceccarelli, Stefania Belmondo e Gabriella Paruzzi. La sensazione è che tale tendenza possa addirittura accentuarsi in vista di Pechino 2022.

L’avventura coreana ha poi messo in risalto alcune discipline dove è stata attuata una programmazione mirata che, con impegno e tanto lavoro, sta portando e poterà risultati nel lungo periodo: pensiamo in particolare a biathlon (malgrado il tallone d’Achille dell’ultimo poligono…), snowboard, speed skating, sci alpino femminile (molto preoccupante, invece, la situazione degli uomini) ed anche slittino. Altri settori potrebbero faticare a breve qualora le proprie stelle decidano di abbandonare l’attività agonistica (pattinaggio artistico e short track), mentre restano dei vuoti allarmanti. Non è possibile, ad esempio, che l’Italia sia completamente sparita nel bob, sport in cui vanta una gloriosa tradizione. Non bene neppure skeleton (pur con l’attenuante dell’infortunato Mattia Gaspari) e combinata nordica. C’è poi un atavico problema: non si investe nelle discipline acrobatiche, né nello snowboard né nel freestyle. Prendiamo come esempio i moguls e gli aerials: non solo non erano presenti azzurri, ma non esiste neppure una Nazionale italiana, né tanto meno una scuola che si preoccupi di insegnarli ai giovanissimi. L’indirizzo del CIO è ben chiaro: per andare incontro alle esigenze delle nuove generazioni, questo tipo di gare sarà destinato a crescere progressivamente. Non investirci significa rinunciare ad una fetta importante di eventi che assegnano medaglie pesanti.

In conclusione, l’Italia aveva ottenuto risultati molto importanti nell’arco del quadriennio, imponendosi come una nazione eclettica e capace come poche altre di eccellere su più fronti. Serviva però la prova a cinque cerchi per certificare una ritrovata competitività sul proscenio mondiale. L’esame è stato superato con un bel 7,5. Dopo i tormenti di Vancouver 2010 e Sochi 2014, ghiaccio e neve ci sono tornati amici.

federico.militello@oasport.it




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