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Editoriali

‘Italia, come stai?’: Aru e Pennetta, il re e la regina; Chamizo conquista l’America. Campioni di tutto!

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Lo sport italiano è tornato a ruggire e vincere. E che vittorie! Dopo un’estate difficilissima, abbiamo rialzato con orgoglio la testa. Sia chiaro, i problemi, soprattutto in molte discipline olimpiche, permangono e restano le preoccupazioni per Rio 2016, dove comunque si registra un passio avanti nel medagliere virtuale. Tuttavia i trionfi del fine settimana appena trascorso possiedono una caratura internazionale di primissimo livello e contribuiscono a riportare l’Italia nell’elite dello sport mondiale. E la sensazione è che non sia finita qui…

Sono stati giorni magici, iniziati con l’impresa del nostro gladiatore Frank Chamizo. Lo Spartacus azzurro ha regalato al Bel Paese una vittoria storica: mai, infatti, era arrivato un oro mondiale nella lotta libera. Un successo tutt’altro che inaspettato. L’italo-cubano in questa stagione (la prima in cui ha potuto rappresentare l’Italia in competizioni internazionali come Giochi Europei e Mondiali) non ha sbagliato un colpo. Dall’oro europeo Under23, passando per l’argento ai Giochi Europei di Baku, fino all’apoteosi iridata. In mezzo tanti tornei vinti superando i migliori lottatori al mondo, tra cui anche il numero uno russo Soslan Romanov. Risultati che avevano consentito a Chamizo di presentarsi a Las Vegas da n.5 del ranking, dunque tra i più credibili candidati per una medaglia. Agilità ed esplosività di gambe fanno dell’azzurro un atleta molto difficile da battere. Nonostante la giovane età (classe 1992), Chamizo è già un lottatore completo e senza punti deboli. Ha tutto, insomma, per vivere da assoluto protagonista anche le prossime Olimpiadi di Rio. Il neo-iridato rappresenta tuttavia la più classica oasi nel deserto di un movimento che continua a navigare nelle retrovie. Al di là dell’oro di Chamizo, l’Italia ha infatti confermato il modesto trend degli ultimi anni, con eliminazioni precoci e piazzamenti ben lontani dal vertice planetario. One man show, in sostanza…

A New York si è materializzato il più grande miracolo della storia dello sport italiano. Una finale degli US Open tutta azzurra, vinta da Flavia Pennetta sull’amica di sempre Roberta Vinci. Un risultato meritatissimo, dopo aver sconfitto in semifinale le numero 1 e 2 del mondo. Le nostre portacolori hanno disputato il torneo della vita, sfoderando il livello di tennis più alto e solido delle proprie carriere. Mai l’Italia aveva raggiunto un picco simile in questo sport. Una finale tutta tricolore che è già leggenda. Proiettandoci sul futuro, sarebbe fondamentale provare a convincere Pennetta a disputare un’altra stagione in vista delle Olimpiadi di Rio, dove soprattutto in coppia con Sara Errani potrebbe puntare almeno ad una medaglia (senza dimenticare un possibile doppio misto con il fidanzato Fabio Fognini). Un’ipotesi che al momento la brindisina esclude, ma non del tutto. L’apoteosi americana non deve far commettere l’errore di adagiarsi sugli allori. Nei prossimi anni, il tennis italiano femminile rischia di sparire. Pennetta ha annunciato l’addio, Francesca Schiavone, in progressivo declino da un triennio, potrebbe seguirla a ruota; Vinci ha ormai 32 anni, mentre Errani, classe 1987, garantisce ancora 4-5 stagioni ad altissimi livelli (e chissà che un giorno non possa puntare anche lei ad uno Slam, magari a quel Roland Garros di cui è già stata finalista). Il prospetto più interessante resta la 23enne Camila Giorgi, sin qui talento incostante e mentalmente fragile. L’auspicio è che, come le più titolate connazionali, possa esprimere il meglio di sé a partire dai 27-28 anni. Dopo la Giorgi, ad ogni modo, non si vede all’orizzonte alcuna giovane tennista da top100. La Federazione dovrà correre ai ripari in tempi brevi, per far sì che l’età dell’oro delle varie Schiavone, Pennetta, Vinci ed Errani possa avere un seguito e non eclissarsi nel buio dei ricordi nostalgici.

Che avesse la stoffa del campionissimo lo si era compreso da tempo. Non si conquistano due podi al Giro d’Italia per caso. La differenza tra un ottimo piazzamento ed una vittoria, tuttavia, è enorme, per questo, aggiudicandosi la Vuelta, Fabio Aru ha compiuto l’ultimo salto di qualità che lo ha collocato nella ristrettissima cerchia di ciclisti in grado attualmente di lottare per un Grande Giro. Tra questi, insieme a Nairo Quintana e l’emergente Mikel Landa, il sardo è anche il più giovane, con i vari Chris Froome, Vincenzo Nibali ed Alberto Contador che hanno superato le 30 primavere. Insomma, il futuro è tutto dalla parte del Cavaliere dei Quattro Mori, ben deciso a dare l’assalto a quella Tripla Corona (Giro-Tour-Vuelta) riuscita in Italia ai soli Felice Gimondi e Vincenzo Nibali.
Oltretutto sono ancora notevoli i margini di miglioramento del capitano dell’Astana, in particolare sulle salite con pendenze superiori al 10% ed a cronometro. Proprio nelle prove contro il tempo ha già compiuto notevoli passi avanti, come dimostra il decimo posto nella tappa di Burgos a 1’53” dallo specialista olandese Tom Dumoulin. Nel 2016, salvo sorprese, Aru parteciperà per la prima volta al Tour de France, forse la corsa a tappe che, per il tipo di salite, maggiormente si adatta alle sue caratteristiche. Non dimentichiamo, poi, che proprio attorno ad Aru e Nibali il ct Davide Cassani vorrebbe costruire la prossima nazionale olimpica: il percorso di Rio 2016, infatti, è da scalatori puri (clicca qui per saperne di più). Insomma, l’italia del ciclismo ha trovato in Fabio Aru il faro del prossimo decennio.

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federico.militello@oasport.it

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