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Doping di stato? Se esiste, è quello della Turchia

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Doping di stato: la storia, quella scritta dai vincitori della Guerra Fredda, ci ha fatto credere per venticinque anni che un sistema doping centralizzato ed organizzato esistesse solamente in quei Paesi che si trovavano ad oriente della “Cortina di Ferro” tanto cara a Winston Churchill. Il doping di stato era quello della Germania dell’Est, dell’Unione Sovietica, tuttalpiù della Cina. Oggi, a distanza di oltre due decenni e grazie ad inchieste durate anni, siamo venuti a sapere che un sistema dello stesso tipo esisteva anche in Germania Occidentale, e molto probabilmente non ne erano lontani neppure gli Stati Uniti, viste le accuse che stanno saltando fuori contro la squadra di atletica a stelle e strisce delle Olimpiadi di Seoul 1988. La Guerra Fredda c’era per tutti, ed ognuno aveva intenzione di dimostrare, anche attraverso lo sport, la propria superiorità, ad oriente come ad occidente.

Oggi, con la Guerra Fredda che è un lontano ricordo, che senso avrebbe proporre un doping di stato organizzato? Gruppi di allenamento, team privati e sponsor sono elementi sufficienti a far capire come il doping quest’oggi non sia organizzato dai Paesi o dalle nazionali, come semplicisticamente molti ci vogliono far credere, accusando quella o quell’altra nazionale di farne uso in modo sistematico, ma piuttosto da parte di chi vuole coltivare degli interessi privati, personali o in un gruppo. Sicuramente in alcuni Paesi il problema è più grave che in altri (e attenzione a commettere l’errore di non includere l’Italia nel primo gruppo), ma ciò non significhi che siano le federazioni ad organizzare l’uso di doping da parte degli atleti.

Se proprio volessimo trovare un Paese che più di ogni altro si avvicini al vecchio modello del doping di stato, quello non sarebbe la tanto vituperata Russia, ma piuttosto la Turchia. Se consideriamo il numero di praticanti delle varie discipline e di medaglie vinte, infatti, i casi doping che coinvolgono gli atleti russi assumono una proporzione molto simile a quella di altri Paesi. A fare notizia, in questo caso, sono le quantità, poiché, a causa dei tanti atleti di alto livello che vi sono in Russia, anche una bassa percentuale di positività porta a coinvolgere numerosi sportivi. Nel caso della Turchia, invece, dobbiamo constatare come negli ultimi anni quasi tutti i vincitori di medaglie nell’atletica siano stati pescati dall’antidoping.

La prima a cadere fu Süreyya Ayhan, sorprendente vincitrice dei 1500 metri ai Campionati Europei del 2002 e dell’argento mondiale l’anno dopo, prima che la sua carriera venisse stroncata dalle tante squalifiche. Poi è stata la volta dell’ostacolista Nevin Yanıt, alla quale fu sottratto il titolo continentale dei 100 m ostacoli del 2012, in favore della bielorussa Alina Talay. Le altre squalifiche riguardano i casi recenti di Elvan Abeylegesse ed Aslı Çakır Alptekin, costrette anche loro a restituire gli allori conquistati nelle competizioni internazionali, e chiacchierato è anche il nome di Gamze Bulut, che per il momento ha recuperato i titoli europeo ed olimpico dei 1500 metri persi da Alptekin. Insomma, si tratta praticamente di tutte le atlete turche in grado di vincere medaglie negli ultimi anni, almeno al femminile.

Come se non bastasse, la Turchia è stata coinvolta in diversi casi doping di due degli sport che le regalano più medaglie internazionali, il sollevamento pesi e la lotta, l’ultimo dei quali ha coinvolto il medagliato mondiale della lotta libera Şamil Erdoğan. Centro del traffico di sostanze dopanti internazionali (chiedetelo ad Alex Schwazer), la Turchia meriterebbe dunque una maggior attenzione da parte della IAAF e della WADA, nonché da parte delle inchieste giornalistiche che negli ultimi tempi si stanno occupando del mondo oscuro del doping.

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giulio.chinappi@oasport.it

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