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Ciclismo: 11 anni senza Marco Pantani, le emozioni non hanno tempo

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Sono ormai passati 11 anni dal quel tragico 14 Febbraio 2004 in cui Marco Pantani ci ha lasciato per continuare a rivivere nel ricordo grazie alle tante emozioni regalate. Anni di polemiche, casi riaperti e infangamento/glorificazione del personaggio in questione. Non vogliamo riaprire altre ferite, ma preferiamo raccontare chi era Pantani e perchè fosse così speciale.

Fin da quella tappa della Lienz-Merano, targata 1994,  con quello scatto a 50 km dal traguardo si intravedeva qualcosa di diverso dagli altri: coraggio, creatività e voglia di conquistare il mondo. Con tutta la squadra di Gianni Bugno, in discesa, a tirare a perdifiato nel tentativo di chiudere il buco ma, niente da fare, il giovane Marco non si prende ed ecco la prima vittoria da professionista. Ma Pantani non è di certo soddisfatto, la vittoria parziale è solo un punto di partenza perchè il vero obiettivo è far saltare il banco. L’occasione propizia è la tappa successiva. La Merano-Aprica si infiamma grazie allo scatto dello scricciolo di Cesenatico che sul Mortirolo stacca tutti. Un camoscio che affronta le rampe della terrificante erta con classe e leggerezza. Alle sue spalle Miguel Indurain, grazie alle sue qualità da passista, mantiene il distacco sul 1:30 e la discesa è occasione propizia per il Navarro che recupera il giovane della Carrera, in compagnia del colombiano Rodriguez. Il vero capolavoro di Pantani è anche questo: aver fatto stancare Indurain in discesa per poi punirlo sull’ultima salita prima dell’arrivo ad Aprica. E cosi è. Indurain arranca, la sua andatura è caracollante e lo smacco inferto da uno sbarbatello come Marco è pesante. I metri al traguardo sono sempre meno ed ecco il momento del trionfo e tutti dicono: e’ nata una stella!

Chi era Marco quindi? Un ciclista fuori dagli schemi,  che viveva la competizione intensamente e che riusciva a rendere sempre diverso quello che era ormai diventata un’abitudine. Di cosa parliamo? Del suo scatto, così particolare, continuo e costante, mantenendo sempre la velocità alta. Ivan Gotti un giorno disse:” Marco preferisco non guardarlo quando va su, altrimenti mi prende lo sconforto”. Questo era Pantani, un atleta che dava le sue stoccate sia sul piano fisico che psicologico. Uno scompaginatore di piani come nell’impresa del tour del ’98 che sa ancora di leggenda. Quella Grenoble-Le Deux Alpes e l’allungo decisivo sul Galibier in una giornata da lupi che sintetizza quello che era l’animo del ciclista romagnolo: mai domo e soddisfatto di se stesso, in continua sfida con la montagna, croce e delizia della sua vita da atleta. Quel giallo a Parigi, ce lo ricordiamo tutti, con Felice Gimondi a glorificarlo ma le parole non possono rievocare tutti i sapori, le sensazioni che il Pirata, come lo chiamavamo tutti, ci ha fatto vivere e per le quali ci siamo fortemente appassionati.

Nell’attualità, forse, abbiamo trovato altri corridori come Vincenzo Nibali o Fabio Aru in grado di trasmetterci quel qualcosa di diverso, di non programmato anche perchè l’essenza di Pantani era proprio questa: l’arte dell’improvvisazione sul pedale.  

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Immagine: pagina facebook Marco Pantani

giandomenico.tiseo@olimpiazzurra.com

Twitter: @Giandomatrix

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