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Sochi 2014, il mondo cresce, l’Italia non abbastanza
Cala il sipario sulle Olimpiadi invernali di Sochi 2014, è il momento dei bilanci per l’Italia. Partiamo dai numeri. Per quanto riguarda il totale di medaglie, è stata migliorata l’edizione di Vancouver 2010: siamo passati da 5 ad 8 podi (sesto miglior bottino di sempre), cui si aggiunge un numero esagerato di quarti posti, ben otto. Rispetto ai Giochi canadesi, tuttavia, è mancato l’oro, fattore non da poco, e la posizione finale nel medagliere è scesa dalla sedicesima alla ventiduesima. Per la prima nella storia il Bel Paese esce dalla top20 ed il fatto che così tante nazioni ci siano davanti, a nostro parere, rende il bottino conclusivo insufficiente.
E’ evidente come i fasti degli anni ’90 e ’00 siano ormai lontanissimi. Quella era un’Italia zeppa di campioni (Tomba, Compagnoni, Di Centa, Belmondo, Zoeggeler, etc…), capace di imporsi per un ventennio come una delle big invernali a livello mondiale. Con Vancouver è iniziato il declino, o meglio, un ritorno indietro nel tempo, per la precisione agli anni ’70, quando si faticava a portare a casa 5 medaglie e gli ori scarseggiavano. Non è un caso se l’ultima edizione senza la medaglia del metallo più prezioso, prima di Sochi 2014, risale a ben 34 anni fa, per la precisione a Lake Placid 1980 (con soli 2 argenti chiudemmo tredicesimi). Il calo dell’Italia fa da contraltare alla crescita inarrestabile della stragrande maggioranza delle nazioni, da quelle alpine come la nostra (Francia e Svizzera, con cui il termine di paragone appare impietoso), a quelle con scarsa tradizione come Bielorussia, Polonia, Repubblica Ceca, senza dimenticare l’esplosione imperiale dell’Olanda (lei sì una potenza…) nello speed skating e l’ascesa di Paesi asiatici come Cina e Corea del Sud.
Trincerarsi dietro i classici alibi con frasi del tipo ‘abbiamo fatto più medaglie di Vancouver e siamo stati sfortunati con tanti quarti posti‘ rappresenterebbe la pietra tombale degli sport invernali italiani. Significherebbe lasciare le cose come stanno, ovvero avere tanti buoni/discreti atleti in diverse discipline, nessun campione e tanti ‘vuoti’ ingiustificabili, a partire da bob, freestyle e le discipline non alpine dello snowboard, per non parlare di curling ed hockey ghiaccio dove non eravamo neppure presenti. Siamo cresciuti come numero di medaglie rispetto alla passata edizione, ma non è abbastanza. Non può bastare ad un’Italia che, per storia, blasone e tradizione, deve guardare sempre al vertice: guai abituarsi alla mediocrità, sostantivo che purtroppo ha caratterizzato le nostre ultime due Olimpiadi invernali. E, soprattutto, guai a parlare di sfortuna, l’alibi dei perdenti e di chi non vuole fare nulla per cambiare.
Lasciamo Sochi con 21 nazioni davanti a noi nel medagliere (tra cui Gran Bretagna, Slovacchia, Slovenia…) ed 11 per numero di podi complessivi. Il verdetto è inappellabile: siamo un Paese di secondo piano sullo scenario degli sport invernali, noi che fino a pochi anni fa incutevamo timore e rispetto.
In tante discipline, come vedremo nei prossimi giorni, non mancano i talenti per il rilancio, in altre invece bisognerà partire da zero e probabilmente non basteranno 4 anni per colmare il gap dalle prime posizioni. Di certo servirà una svolta radicale per vedere un’Italia protagonista a Pyeongchang 2018, un nuovo inizio. Se invece cadremo nell’errore di accontentarci e far finta che va tutto bene, allora anche in Corea dovremo rassegnarci a vedere vincere gli altri.
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federico.militello@olimpiazzurra.com
